Dovremmo comportarci tutti come i grandi cuochi che non è che facciano da mangiare e basta ma studiano proprio il cibo in tutti i modi nei loro accostamenti e secondo tanti aspetti che chi non ci capisce molto di cucina nemmeno riesce ad immaginare. Anche nello sport e nell’attività fisica non bisogna solo allenarsi ma bisogna anche studiare l’allenamento ed è solo in quel modo che possiamo svolgere allenamenti più utili e produttivi. Tale atteggiamento era più diffuso fra gli atleti un tempo, adesso c’è più un adeguamento a tecniche di allenamento abbastanza standardizzate generalmente molto consistenti in volume e si è persa un po’ la capacità di mettersi in atteggiamento critico nei confronti della metodologia dell’allenamento sportivo.
Questa cosa che io ho provato a sviscerare in lungo ed in largo su questo sito, ribadendo il fatto che bisogna indugiare più sulla qualità dell’allenamento sportivo che sulla quantità dello stesso è macroscopicamente evidenziata in altri ambiti dell’esistenza e va a spiegare anche perché mi occupo così spesso di scuola.
Intanto la scuola è quell’ambiente dove passano molte ore una gran parte degli atleti che considero io. Se è vero che siamo tutti atleti da zero a cent’anni e più, è anche vero che i soggetti di età compresa fra 10 e 25 anni forse sono anche più atleti degli altri e allora ci tocca dire che la scuola è quell’ambiente dove la maggior parte di quei personaggi che possiamo chiamare “atleti a tutto tondo” si informano e inevitabilmente vanno ad acquisire comportamenti e standard d’informazione che condizionano certamente la pratica sportiva.
Per arrivare al dunque, perché certamente avrete già capito che qui ci scappa la ormai consueta critica alla scuola italiana, io sono convinto che a scuola si studino troppo poco i sistemi d’ informazione lasciando molto spazio ad un nozionismo che non fa molta luce su questi. Praticamente dovremmo imparare dai grandi cuochi che non si limitano a cucinare e basta ma studiano letteralmente il cibo ed i vari abbinamenti di questo.
Se non impariamo a scuola a valutare le modalità di efficace trasmissione dell’informazione è difficile che riusciremo a farlo poi nello sport e rischieremo di portare tale atteggiamento in tutti gli ambiti. Quando scrivo “meno compiti, più sport” non intendo che la scuola deva puntare a formare una grande quantità di asini disinformati che praticano una sana attività sportiva per un buon numero di ore ma si disinteressano completamente della scuola. Al contrario dico che un’ impegnata ricerca della razionalizzazione dei tempi di apprendimento nella scuola deve anche produrre atleti più attenti ed in grado di sostenere in modo fisiologico, senza bisogno di nessun ausilio farmacologico, preparazioni assolutamente razionali quali possono essere quelle organizzate sulla base di un allenamento al giorno.
Se è vero che la preparazione degli atleti nell’ambito professionistico, impostata su una cadenza di due allenamenti giornalieri implica degli adattamenti che possono anche far pensare ad un ricorso talvolta all’ausilio farmacologico e comunque stravolge la vita dell’atleta in modo tale che oltre a questa pratica c’è spazio per ben poco altro e quasi mai si riesce a conciliare con una normale prosecuzione degli studi (attenzione che non ho scritto che l’atleta professionista non possa studiare, ho solo evidenziato come l’atleta professionista non riesca a studiare in modo normale, con le stesse modalità con le quali studia un atleta non professionista, poi ciò non toglie che l’atleta professionista possa avere anche la capacità di ottenere ottimi risultati nello studio), è anche vero che una preparazione sportiva impostata su un allenamento al giorno deve essere quanto di più fisiologico e razionale si possa ipotizzare per un giovane che frequenta la scuola. Impensabile ipotizzare che questo deva normalmente servirsi di farmaci per supportare questo tipo di preparazione ed auspicabile che questo soggetto non accusi problemi di sovraccarico di alcun tipo da questo tipo di preparazione perché in tal caso vuole dire che sta semplicemente sbagliando qualcosa.
Guardate che per “sovraccarico” intendo un concetto un po’ più ampio di quello che s’intende comunemente in tutte le preparazioni sportive. E’ sovraccarico quello di colui che stressa un tendine e deve ridurre i carichi di allenamento perché quel tendine non riesce adattarsi normalmente a certi carichi di allenamento ma è sovraccarico, in senso più ampio, anche quello di un atleta che non ce la fa a conciliare impegno scolastico con impegno sportivo e questo accade perché come talvolta sono esagerati in volume gli allenamenti molto spesso sono esagerati in volume anche gli impegni di tipo scolastico.
La qualità che deve informare l’allenamento sportivo deve anche certamente informare l’apprendimento scolastico altrimenti va a finire che per conseguire determinati obiettivi bisogna dedicare ore ed ore a certe materie per le quali obiettivamente non si può spendere una fetta di tempo troppo importante. Se nella quota di impegno di uno studente medio ci sono 50 ore dedicate allo studio e 6 ore dedicate all’attività fisica è evidente che anche con una preparazione fisica super efficace quel personaggio non potrà essere definito un atleta bensì uno studioso professionista che a tempo perso fa un po’ di attività fisica per mantenere un minimo grado di salute. Per contro se tale personaggio facesse 50 ore di allenamento e solo 6 ore di studio alla settimana non potremmo dire di essere in presenza di uno studente lavoratore bensì solo di un professionista dello sport che ogni tanto si diletta a leggere qualcosa per il gusto di restare un po’ informato.
L’ipotesi di fare un “fifty-fifty” all’americana sul tipo 30 ore di studio e 30 ore di pratica sportiva non è un’ipotesi percorribile nel nostro sistema che ha radici culturali ben diverse dal sistema americano ma la persecuzione di un modello cosiddetto “due terzi” dove allo studio sono dedicati i due terzi del tempo disponibile dello studente e quindi circa 40 ore alla settimana mentre un terzo circa e quindi attorno alle venti ore devono essere dedicate alla pratica sportiva è un’ ipotesi che dovrebbe essere caldamente essere sostenuta in una società che a cuore la sana crescita psicofisica di tutti i ragazzi.
Il nozionismo fa danni non solo sui tempi di apprendimento del ragazzo che ingolfandosi di informazioni disimpara a selezionare quelle realmente utili per un efficace percorso formativo, ma fa danni anche sull’organizzazione del regime di vita dello studente che finisce per fare i conti con tempi di lavoro sui libri fuori da ogni logica ed inconciliabili con una vita sana.
Studiare l’informazione non è per niente facile, per certi versi può anche essere un po’ scomodo perché come per incanto certi atteggiamenti molto in voga nella scuola attuale quale l’abituale somministrazione dei test a crocetta appaiono subito poco convenienti. Ovviamente se si studia bene l’informazione si potrà notare anche che molte informazioni che vengono date con gli attuali programmi ministeriali non hanno in realtà l’utilità determinante che discrimina l’allievo ben preparato da quello incompetente ed inoltre studiando l’informazione si è anche costretti a rivedere continuamente l’opportunità di attingere nel conseguimento della stessa da determinate fonti o da altre.
Insomma come l’atleta discute con il tecnico la preparazione anche lo studente rielabora con l’insegnante tutto il processo di apprendimento perché un conto è immagazzinare informazioni come può fare un computer ed un conto è imparare a pensare in modo critico scoprendo che i libri saranno anche tutti sacri ma sono stati scritti tutti da persone umane.
Studiare l’informazione è forse anche più importante che informarsi e anche se può sembrare un gioco di parole è come dire che non agiamo in base a quanto abbiamo appreso ma agiamo semplicemente in base a quanto abbiamo rielaborato in seguito all’acquisizione di determinate informazioni. Molto semplicemente l’informazione degli altri diventa nostra solo dopo essere passata da un nostro filtro, se non passa da questo può anche essere restituita ad un insegnante contentissimo di aver verificato che l’abbiamo valutata ma non possiamo certamente dire che sia stata un’informazione sulla quale costruire qualcosa.