IL LIBRETTO DI PTG: GIMNOSOFIA

Questo articolo che è un po’ lunghetto se è vero che è proprio un piccolo E-Book, una volta si intitolava  “I tre consigli preferiti di PTG” ed era un articolo proprio breve con tre consigli asciutti asciutti, proprio nello stile telegrafico tanto di moda adesso. Ecco, ho un po’ cambiato stile nel senso che, pur lasciando questo breve articoletto sotto, ci ho aggiunto un pappardella che occorre almeno un’ora per leggerla e che non fa altro che spiegare la filosofia di questi tre consigli. Pertanto i consigli restano quelli di prima ma ciò che è cambiato è il modo di esporli non più poche righe ma un bel po’ di centinaia di righe. Se volete sapere il mio perché a questi tre consigli provo a spiegarvelo in modo esaustivo. Se restano dubbi sono sempre disponibile a tentare di essere un po’ più chiaro, spero che almeno alcuni miei concetti base emergano dal libretto “Gimnosofia”. Per chi ha tempo e voglia buona lettura. PTG

I MIEI TRE CONSIGLI PREFERITI

In questi tempi di comunicazione telegrafica, di sms da poche battute, a chi mi taglia le gambe sulla mia logorroica prudenza a pesare ogni consiglio e mi intima “Non ho tempo! Dammi subito tre consigli veloci!” Rispondo laconicamente. Non si può trattare con rapidità e superficialità l’attività motoria, comunque, se proprio vuoi…

1°) Spegni la televisione. E’ il primo, più importante e decisivo gesto per cominciare a muoversi

2°) Inizia a muoverti con molta gradualità scegliendo cose divertenti e che siano assolutamente sopportabili anche psicologicamente oltre che fisicamente.

3°) Ascolta soprattutto le reazioni e le sensazioni tue più che i proclami dei grandi santoni del movimento e, pertanto, se anche qualcosa di questo sito  ostacola i tuoi progetti non darci peso. Quello che pensi tu sulla tua attività motoria è molto più importante di quello che penso io. In ogni caso se vuoi farmi domande sappi che mi fanno piacere: è praticamente la mia miglior possibilità di arricchimento professionale tentare di risponderti in modo utile.

p.s.: ecco a margine dei tre sintetici consigli alcune riflessioni un po’ meno sintetiche…

GIMNOSOFIA

Gimnosofia è una parola strana che non so nemmeno io cosa voglia dire, in portoghese ha un certo significato, in italiano più che altro non esiste. Se la parola incuriosisce può comunque essere utile per fare pubblicità ad un pensiero che non è nemmeno troppo complesso. Voglio usare questo termine per indicare una specie di filosofia del movimento. Invece che ginnastica o movimento fine a sé stessi, movimento come mezzo per abbracciare un certo stile di vita, movimento come strumento per leggere la realtà in un certo modo. Dunque un modo poco innocente e spensierato di intendere l’attività motoria ma invece piuttosto presuntuoso al punto tale da mettere in discussione tutta la società alla luce di alcune considerazioni che nascono a margine dello studio del movimento.

Se tutto è politica dare un connotato politico anche allo studio del movimento non è poi molto difficile. Semmai è difficile dire se il movimento sia di destra o di sinistra ma, in ogni caso, implica una serie di scelte con deciso impatto politico. L’importanza di muoversi si fonde certamente con alcune urgenze politiche degli ambientalisti, la scelta di favorire il movimento dell’intera popolazione invece che esclusivamente quello dei campioni dello sport ha un preciso impatto politico con risvolti sociali di indubbia importanza.

Dare peso davvero al principio “mens sana in corpore sano” invece che solo per finta come si fa spesso per riempirsi la bocca di frasi convenienti è una precisa scelta politica anche molto gravosa ed energica in un panorama sociale dove questa indicazione è assolutamente ignorata.

Tornando al nome di fantasia “Gimnosofia”, un’ improbabile interpretazione dal greco potrebbe far pensare ad una scienza del movimento, della ginnastica, ma io, che non ho studiato il greco, non intendo arrivare a ciò, tanto più che non credo nemmeno in una vera e propria scienza del movimento, ciò a cui penso invece è ad un’utilizzazione del movimento come strumento per ricominciare a pensare. Non oso immaginare come strumento di informazione visto che siamo in tempi di informazione rigidamente controllata e opportunamente deviata ma almeno come strumento di riappropriazione del pensiero, visto che viviamo anche tempi dove da più parti ci viene proposto di non pensare più, di non dannarsi l’anima e di accettare per valido ciò che è già stato pensato per noi. Dovremmo accettare una serie di bisogni artificiali e darci da fare per soddisfarli senza pensarci più di tanto. Usare il movimento per riappropriarsi della capacità di pensare è la rivoluzione proposta dalla Gimnosofia, un termine abbastanza stupido per un intento che teoricamente non è proprio del tutto stupido.

LA VITA E’ MOVIMENTO

Che la vita è movimento non è un’invenzione degli insegnanti di educazione fisica, ce lo dicono i medici, gli scienziati, ci manca solo che ce lo dicano anche i meccanici visto che quando la nostra auto sta troppo ferma in garage dopo può avere degli inconvenienti.

Chi ha il cane si preoccupa sempre di fargli fare il giretto quotidiano e non glielo fa fare solo per l’espletamento dei bisogni fisiologici (se fosse solo per quello si può abituarlo anche a farli in un angolino) ma anche perché il cane, ancor più dell’automobile, si intristisce se non lo facciamo muovere e la sua salute ne risente. Ecco, come ci occupiamo della nostra automobile e, ancora con maggior puntualità, del nostro cane dovremmo occuparci del cane che c’è in noi o, con riferimento a certi soggetti, dell’automobile che c’è in noi e dovremmo avere l’accortezza di concederci il giretto quotidiano. Invece con noi stessi siamo disattenti e poco accorti. Cosa vuol dire? Che ci amiamo meno di quanto amiamo il nostro cane o la nostra automobile?

Non c’è dubbio sul fatto che la vita sia movimento ed i medici quando parlano dei documentati danni da sedentarietà trattano di quelli del nostro organismo, non di quelli patiti dal cane o dall’automobile per cui non possiamo dire che sia un problema di informazione, tutti sappiamo che la vita è movimento e che senza movimento la salute se ne va inesorabilmente e con essa la vita. Quando valutiamo lo stato di salute di un novantenne o anche di un ultra novantenne oltre che a dire se è lucido o meno ci soffermiamo a valutare con attenzione le sue capacità motorie residue e se si muove solo sulla sedia a rotelle affermiamo sconsolati che si muove “solo” sulla sedia a rotelle, dimenticando che magari abbiamo passato la maggior parte dei presunti momenti di movimento della nostra esistenza su un macchinario che pur senza essere una sedia a rotelle era comunque un sedile trasportato da un marchingegno… a rotelle.

Perché siamo così attenti alle capacità motorie residue di un novantenne che magari in sedia a rotelle ci sta pure comodo e non ha alcuna intenzione di alzarsi rischiando di cadere procurandosi la temutissima frattura del femore, quando siamo così poco attenti alle nostre abitudini di movimento da zero a novant’anni? Cosa accade che improvvisamente a novant’anni ci accorgiamo che è importante camminare e che forse era meglio camminare e muoversi un po’ più per tutto il resto della vita? E’ un po’ come quel fumatore incallito che a novant’anni ha solo la bronchite cronica (fortunato…) e che pensa che se non avesse mai fumato adesso avrebbe i polmoni un po’ più sani.

La vita è movimento, non c’è dubbio e, come ci lamentiamo di quei politici che appena eletti si siedono sulla poltrona e non fanno più niente in attesa delle elezioni successive per ricominciare una stressantissima campagna elettorale, dovremmo lamentarci di noi stessi quando le inventiamo tutte ma proprio tutte per fare meno movimento possibile ed inventiamo anche telecomandi assurdi ed automatismi che nemmeno il più sfortunato dei disabili sente la necessità assoluta di adoperare. Ci siamo inventati delle disabilità fittizie inventando comportamenti da disabile per i soggetti sani. Comportamenti che si sono radicati nelle nostre abitudini ed hanno prodotto mancanze di movimento patologiche. Così ci scandalizziamo quando qualche architetto lungimirante progetta palazzi di lusso e li dota di posti auto solo per i disabili mentre per i normodotati prevede che questi si avvicinino al palazzo a piedi. Ma non si rendono conto, questi architetti eccentrici, che al giorno d’oggi siamo un po’ tutti disabili così come siamo un po’ tutti schiavi dell’automobile che abbiamo bisogno di sentire abbaiare, pardon di sentire nella sua sirena d’allarme se è in stato di pericolo e pertanto non possiamo allontanarcene troppo in modo incosciente?

Il fatto che la vita sia movimento è una di quelle ovvietà che non ci aiutano a risolvere i problemi del movimento. Per la vita è essenziale anche mangiare ma non tutti gli abitanti della terra hanno accessibilità al cibo nelle modalità necessarie ad un buon sostentamento. E’ necessaria l’aria per respirare e ce la stiamo sporcando sempre di più, è necessaria l’acqua da bere e stiamo inquinando sempre di più anche quella per cui dire che la vita è movimento è una bella frase inutile che corrisponde a verità ma non ha una sua indicazione pratica molto utile, diciamo pure un’ovvietà che non si può trascurare e non ci si può certamente accontentare di dirla per esorcizzarla, per fare in modo che la trasgressione di questa ovvietà non produca danni devastanti.

Come dire che la fame nel mondo va combattuta non è sufficiente per combatterla davvero. Almeno, il primo passo da fare è mettersi d’accordo sul fatto che la vita è davvero movimento e questa non è una frase fatta per riempirsi la bocca. Per riempirci la bocca diciamo che la vita non è telecomando, non è fare gli spettatori ma è scendere in campo. Con il nostro corpo e non con il televoto.

Poi la frittata può anche essere rigirata e allora scopriamo che il movimento è vita. Quella, forse, è una cosa meno da medici e scienziati e pare proprio una frase che potrebbero essersi inventati gli insegnanti di educazione fisica per smerciare il loro prodotto che è, appunto, il movimento.

Dire “il movimento è vita” è forse un po’ più insidioso che dire “la vita è movimento” perché mentre su questa seconda sono tutti d’accordo sulla prima c’è gente che obietta che ci sono tante altre cose che sono vita quali la musica, l’arte, il sesso, il lavoro, la politica, e pure lo sport visto alla tv o addirittura la tv senza sport. Insomma ci sono tante cose che sono vita. Tentiamo un po’ di vedere perché il movimento è vita più di altre cose, almeno della tv.

IL MOVIMENTO E’ VITA

Dunque questa è la classica frase da insegnanti di educazione fisica e grazie a questa frase l’insegnante ti fa passare il concetto che la sua materia sia forse la più importante di tutte probabilmente solo dopo la religione. Difficile dire che la matematica sia vita, che la geografia sia vita, che la storia sia vita e che la conoscenza della propria lingua o di una lingua straniera sia vita con la stessa convinzione con la quale si dice il movimento è vita. Se rinunci al movimento rinunci ad un qualcosa di troppo importante, ti metti in una sorta di disabilità come certamente non fai se rinunci alla matematica o alla geografia.

Si tratta di chiarire quale tipo di movimento è vita. Per certi versi era vita anche quel movimento di alzarsi dalla sedia per cambiare canale, dal primo al secondo e viceversa, alla televisione, era un movimento molto salutare che si faceva non molte volte ogni sera ma rendeva comunque il guardare la televisione una cosa molto più sana di adesso. Quando, dopo un po’ di cambi sul primo ed un po’ di cambi sul secondo, verificato che la televisione non aveva programmi interessanti, in modo risolutivo si premeva il tasto interruttore generale e ci si metteva a fare dell’altro di più produttivo.

L’avvento del telecomando della televisione, verso fine anni ’70, è stato devastante non in quanto ci ha tolto la possibilità di tenere ben esercitato il quadricipite femorale con frequenti alzate e sedute dalla poltrona ma in quanto ha favorito la permanenza del cittadino medio davanti alla televisione per tempi assolutamente sconvenienti trasformandolo da cittadino a telespettatore.

Quando si intende il movimento è vita non si intende settorialmente dire che se tieni sviluppato ed efficiente il quadricipite femorale alzandoti più volte dalla poltrona ne avrai benefici in termini di salute ma si intende più globalmente dire che se grazie al non uso del telecomando ad un certo punto lasci perdere l televisione e te ne esci dalla porta a fare quattro passi in centro hai fatto un qualcosa di vitale importanza collegato con il movimento che ha in sé tutto l’entusiasmo e la vita del movimento, cosa che anche il migliore dei programmi televisivi fa fatica a sostituire.

Il movimento è vita è pure un’ affermazione insidiosa perché implica che il movimento non sia banalizzato, non sia ridotto a sterile routine paranoica e così se in un goal fatto a calcetto fra amici ci può essere tutto l’entusiasmo di una rete siglata da professionisti nel campionato di massima serie, in una serie di 10 sollevamenti su panca con un certo carico può esserci tutta la paranoia che ci può essere nell’espletamento del più banale dei lavori di routine che non riteniamo minimamente degno di essere chiamato “vita”.

Dire “il movimento è vita” implica un’assunzione di responsabilità da parte della categoria dei gestori di attività motoria perché se ciò non è poi vero casca il palco e allora davvero un cittadino-spettatore può essere tentato di passare la serata davanti alla televisione.

Allora potremmo semplicemente dire “il movimento deve essere vita” per stare a testimoniare che se il movimento è davvero vita allora è quello giusto che merita di essere considerato come veramente importante e fondamentale per aumentare la qualità della vita. Un movimento che migliora la qualità della vita migliora quasi certamente anche i presupposti per restare in salute. Questa considerazione pone risposta al quesito di attività fisica strumentale alla ridefinizione corporea. L’attività fisica è troppo importante e porta con sé contenuti emotivi troppo decisivi per poter essere relegata al ruolo di mero strumento di rimodellamento corporeo.

Nella considerazione che nell’esecuzione del movimento è coinvolto tutto il sistema nervoso oltre che l’insieme dei muscoli, tendini, legamenti e ossa del nostro apparato locomotore c’è questo concetto di movimento-vita che è imprescindibile se vogliamo considerare il movimento nella sua interezza e non solo in modo superficiale.

E’ curioso come chiamiamo “apparato locomotore” tutto questo sistema di tendini, ossa, legamenti, muscoli, organi e circuiti nervosi che ci consentono di muoverci quasi che il movimento fosse essenzialmente deputato a farci spostare da un punto all’altro nella nostra esistenza . In realtà per questi spostamenti usiamo sempre più l’automobile che non l’apparato locomotore e così questo apparato si trova a svolgere compiti che sono per lo più non collegati con il nome dell’apparato. Se il movimento ci serve per battere i tasti ad una tastiera di computer ma da un computer all’altro ci spostiamo con qualche mezzo che non implica assolutamente la messa in funzione del nostro apparato locomotore potremmo anche chiamarlo “apparato battitasti” con riferimento alla funzione più frequentemente richiesta e stimolata. Considerare la locomozione come fatto importante della nostra esistenza è una cosa istintiva e l’abbiamo sempre fatto, negli ultimi 60 anni valutando con molta attenzione tutto quanto è avvenuto intorno al mondo dell’auto, tornare a farlo considerando il nostro apparato locomotore più che strumenti esterni che non c’entrano con il nostro fisico è cosa fondamentale per avere un approccio salutistico con il movimento.

Il movimento non è solo vita ma è anche emozione, entusiasmo, salute e dunque vita intesa nel senso più ampio del termine. Anche il danaro è vita ma accumulandolo oltre una certa misura necessaria al pagamento di cose fondamentali non aumenta la qualità della vita, il movimento invece è vita nel senso che condotto in un certo modo riesce veramente ad ampliarla oltre che ad allungarla.

Come insegnanti di attività motoria siamo chiamati ad un importantissimo compito perché se è vero che i medici sono deputati ad allungare la vita sconfiggendo le patologie ed i fattori di morte precoce, gli insegnanti di attività motoria e sport sono incaricati del difficile compito di tentare di allargarla. La vita oltre che lunga deve essere anche larga. Moltitudini di zombie che vanno in giro in auto ad oltre novant’anni non hanno questo gran significato se questi zombie non sono capaci di vivere anche fuori dall’auto e muoversi almeno un po’ anche con il loro fisico oltre che con la grande protesi dell’uomo moderno che è l’automobile.

Si può vivere anche un lungo periodo in sedia a rotelle se le abilità motorie residue sono fortemente compromesse ma finché non lo sono è opportuno che queste rotelle siano più quelle della bicicletta per sani che non quelle dell’auto che ci rende disabili anzitempo.

A questi scopi obiettivamente forse si può giungere soprattutto trasmettendo l’entusiasmo per l’attività motoria e allora l’affermazione “il movimento è vita” assume un significato più pieno e complesso che spiega tutto.

LIBERTA’ E MOVIMENTO

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Mai come nella nostra epoca il mondo è stato controllato da una elite di ricchi potenti che ha a cuore solo il mantenimento delle proprie ricchezze e del proprio potere. La libertà è ovviamente condizionata dalle volontà di questi “signori” che in poche centinaia si permettono di condizionare le scelte politiche dell’intero pianeta. Sono libertà funzionali al mantenimento di certi equilibri e alcune cose essenziali per la qualità della vita sono assolutamente ignorate, anzi peggio, controllate ed incanalate da scelte razionalmente operate per non turbare il sistema economico. E’ il sistema economico dei ricchi, degli industriali, del capitalismo ed ha prodotto danni ecologici planetari macroscopici ed irreversibili. Se vogliamo sono scelte anche un po’ irrazionali perché poi questi ricchi vivono sullo stesso pianeta che viviamo noi, non vivono sulla luna e certe patologie colpiscono assolutamente senza guardare il conto in banca andando a peggiorare notevolmente anche la salute dei ricchi stessi che con il loro danaro non riescono comunque a garantirsi la salute eterna e l’immortalità.

Parlare di libertà in un sistema così fortemente controllato è molto difficile ma diciamo che il movimento può essere una buona lente per tentare di vedere un po’ meglio in questa matassa aggrovigliatissima.

Il fatto è che il movimento può farci sentire più liberi anche se non lo siamo e può farci sentire un po’ più ricchi anche se non abbiamo molto danaro.

In effetti le restrizioni di libertà di movimento vero e proprio sono forse anche inferiori a quelle dei secoli scorsi e così anche se il singolo cittadino a livello politico vale meno di zero e non ha assolutamente nessun potere se non ha un conto in banca stratosferico a livello di movimento hai delle indicazioni ben precise, sei invitato caldamente a partecipare ad un certo tipo di stile di vita ma se sei un dissidente e vuoi per esempio girare a piedi per la tua città puoi farlo in molte città del mondo. Vi sono stati periodi dove tale scelta non era nemmeno possibile, si pensi per esempio ai tempi del colosso sovietico quando per un cittadino dell’est europeo girare a piedi per la propria città in certi orari veniva vista come una cosa potenzialmente sovversiva e ti chiedevano i documenti per strada per il solo fatto di aver avuto questa strana idea di stare per strada in orari non convenzionali. Adesso, se hai la fortuna di non vivere in un paese martoriato dalla guerra, puoi stare per strada all’ora che vuoi anzi ti invitano pure ad entrare in qualche negozio dove si può comprare qualche cosa tanto i negozi sono aperti a tutte le ore per vendere di più. Poi c’è da dire che bisogna stare un po’ attenti in che strade circolare perché la povertà dilagante ha fatto aumentare considerevolmente il numero dei balordi che sono pronti a darti una botta in testa ed a rischiare la galera pur di fregarti pochi dollari ma quello è un inconveniente da risolvere con sistemi di sicurezza da ricchi e dunque è un problema solo per alcune categorie di cittadini.

La libertà negata più che altro è quella dei cittadini che scelgono di non sostenere il sistema dell’automobile ma quella più che una libertà negata dei tempi recenti è una “non libertà” di ormai vecchia data. Semmai è curioso come con l’acuirsi del problema, che è decisamente peggiorato negli ultimi decenni, vengano costantemente soffocate le richieste dei cittadini che reclamano il diritto a spostarsi anche senza automobile nella loro città. I soli paesi del nord Europa mostrano una certa attenzione in tal senso ma sono ancora una minoranza elitaria.

La pubblicità condiziona in modo determinante le nostre scelte in tema di movimento e così molti si trovano a pedalare in palestra, a camminare in palestra oppure a sollevare improbabili pesi e a lottare contro strane macchine da ginnastica sempre chiusi fra quattro mura in palestra. La pubblicità è martellante e le persone che si trovano impegnate in tali strane gesta sono sempre di più. Questa può diventare una forma di libertà negata nel momento in cui si forma un esercito di istruttori che va in giro a predicare che la vera attività motoria è questa ma su tale argomento io sono abbastanza fiducioso ed ottimista e penso che questo movimento sia un gigante con i piedi d’argilla destinato a crollare. Il vero problema è la sedentarietà, è quella che ti toglie l’ossigeno impedendoti di pensare con la necessaria lucidità. Quando uno si muove ma si muove in modo poco razionale e sconveniente come per esempio chi si ostina a camminare al chiuso e continua a sollevare pesi che non servono assolutamente a nulla per una preparazione razionale pian piano si accorge degli errori che sta facendo anche se ha alle calcagna un istruttore idiota pagato per dire che l’attività motoria nel ventunesimo secolo si fa così. In effetti, quando uno comincia a muoversi, in qualsiasi modo si muova, anche nel più sbagliato, comincia ad acquisire una certa libertà ed arriva piuttosto in fretta a porsi i quesiti sulla qualità del proprio movimento. I soggetti più pericolosi sono proprio i sedentari e purtroppo per questi c’è da dire che sono pericolosi anche gli adepti del movimento coatti nel senso che chi si muove in modo scriteriato e poco corretto è poco pericoloso per sé stesso perché prima o poi impara a distinguere i propri errori ma è pericoloso per gli altri che riescono a vedere con grande maestria le follie di chi si muove in modo poco razionale e ne traggono spunto per dire che anche all’interno dei discepoli del movimento la follia regna sovrana. E’ vero che buona parte del movimento è mercificata e data in pasto secondo criteri assurdi per alimentare il business del movimento (purtroppo esiste anche quello) ma l’errore più grosso è chiaramente la sedentarietà e quando un soggetto mobile si comporta in modo goffo e maldestro rischia di fare più danni quasi verso questa categoria che non verso sé stesso. Insomma diventa un testimonial sconveniente di una cosa che è sacrosanta. E’ un po’ come se l’automobilista fosse sempre lì a cambiare la gomma forata: il pedone prende coraggio e capisce che il suo andare a piedi è vincente. Ecco in tema di attività motoria i temerari che sudano come dei deficienti in palestra quando potrebbero benissimo divertirsi con il movimento fuori dalla palestra fanno al movimento la stessa pubblicità che fa all’automobile un automobilista che sostituisce la gomma bucata.

Resta una certa libertà di scelta, il movimento non è certamente solo quello della sofferenza all’interno delle mura della palestra e quello del rimodellamento delle proporzioni corporee ma c’è da dire che una buona schiera di istruttori sottopagati stanno facendo pubblicità a quel tipo di movimento, evidentemente il mercato è arrivato anche lì e sta tentando di inquinare una delle nostre pulsioni primordiali che è quella verso il movimento. La mia fiducia è istintiva e anche se dopo l’apparizione del fronte di liberazione dei nani da giardino ho invocato la creazione di un fronte di liberazione dei pedalatori da palestra sono convinto che l’ossigenazione del cervello di chi si muove riuscirà a produrre nuove consapevolezze anche se ci si muove in modo un po’ goffo e potenzialmente sbagliato. Alla fine non ci si muove mai in modo sbagliato, semmai si può commettere l’errore di non pensare a come ci si muove ma quello è un errore al quale prima o poi si pone rimedio, pensa molto di meno il sedentario.

MOVIMENTO ED INFORMAZIONE

Poter mettere in correlazione il movimento con l’informazione in tempi nei quali l’informazione è rigidamente controllata e non c’è nessuna speranza di poter attingere ad un’informazione trasparente e disinteressata può sembrare esercizio funambolico di pura sconsideratezza e, per certi versi, lo è proprio, però pare incredibile ma il movimento, studiato con una certa attenzione nei suoi dettagli, può essere quella cartina al tornasole che ci fa capire un po’ come funziona l’informazione ai giorni nostri.

Facciamo un esempio splendido e illuminante: il cardio fitness. Cardio fitness vuol dire semplicemente che hai bisogno di camminare perché se non cammini il tuo cuore ne risente, le tue arterie cominciano a funzionare meno bene di quanto dovrebbero funzionare, anche i tuoi polmoni non ne traggono beneficio e tendono a guastarsi molto di più quasi come se fossi un fumatore anche se in realtà non hai mai fumato nemmeno una sigaretta in vita tua. Insomma camminare non è un  capriccio ma è una cosa essenziale per restare in salute.

Allora in modo molto logico e razionale ti aspetteresti che gli amministratori della tua città adottassero delle politiche per disincentivare la mobilità con il mezzo privato aumentando contemporaneamente la fruibilità dei mezzi pubblici e la possibilità di andare a piedi in tutti i quartieri della città. Niente di tutto ciò, solo singole iniziative a spot per far finta di far qualcosa, solo qualche blocco del traffico qua e là non replicato adducendo la scusa che il blocco del traffico non è risolutivo per i problemi dell’inquinamento. Ho capito che non è risolutivo per i problemi dell’inquinamento ma è decisivo per porre la popolazione di fronte al problema traffico e far capire che un traffico non regolamentato del tipo “via libera per tutti” stile anni ’60 non è più proponibile nelle nostre città che straripano di auto.

Ciò non basta. Siccome non si fa nulla per permettere ai cittadini di andare a piedi ma esiste il cardio fitness che è quella cosa che ti dicono che bisogna camminare perché fa bene alla salute, allora facciamo che il cardio fitness si fa in palestra così vendiamo un po’ di tapis roulant e ti mettiamo come assistente un istruttore che ti dice come devi camminare su tapis roulant (per non cascare giù…).

Quando analizzi questo tipo di attività fisica capisci come funziona l’informazione e capisci anche che se è così nelle palestre è così anche nelle farmacie dove si fa finta di fare prevenzione sanitaria ma si continuano a vendere un sacco di farmaci assolutamente inutili.

Allora capisci che la vera salute alla quale si ambisce non è la tua ma quella del sistema economico che ha delle precise regole di sostentamento e che mina l’informazione alla base.

Le regole dell’attività motoria si scoprono praticandola e così si scopre che molte leggende metropolitane legate all’attività motoria sono messe in piedi ad arte solo per alimentare un certo sistema economico.

Poi non ci si può lamentare se la popolazione nei confronti di un decreto per la maggior diffusione dei vaccini alimenta strani sospetti e va a credere che dietro a tale decreto ci sia anzitutto la tutela degli interessi delle multinazionali del farmaco. Se racconti molte bugie la gente non ti crede più nemmeno quando racconti la verità ed allora anche se aumentare la percentuale dei vaccinati in realtà è una bella mossa la gente va a credere che questa bella mossa non sia studiata assolutamente per la salute della cittadinanza ma prevalentemente per la salute delle case farmaceutiche. Per acquistare credibilità bisogna impegnarsi veramente in tante altre cose che servono per tutelare la salute dei cittadini e così i blocchi del traffico vanno fatti davvero e non per finta perché muoiono molte più persone di inquinamento che non di vaccini non somministrati. Alcune malattie sono molto pericolose e contagiose ma l’inquinamento ne ammazza tanti e ne fa ammalare ancora di più pur senza essere contagioso.

Si potrà obiettare che un conto è imbrogliare la gente ed orientare i consumi con riferimento ai soggetti sani ed un conto è approfittare di malattie o potenziali malattie per aumentare il fatturato delle case farmaceutiche e le due cose sono effettivamente su due piani diversi ed hanno una gravità diversa ma che credibilità ha una ditta che prende in giro i sani proponendo integratori assolutamente inutili solo con la finalità di supportare un’attività sportiva che non va supportata con integratori ma con una sana alimentazione? Perché non si può immaginare che questa ditta sia in grado di speculare anche sulle disgrazie dei meno sani andando a gonfiare con strategie di mercato quello stratosferico bilancio di spesa farmaceutica che pone l’Italia fra i paese più spendaccioni in tal senso? Siamo davvero così malaticci e bisognosi di medicine o piuttosto le multinazionali del farmaco hanno trovato le strategie di marketing necessarie a venderci di tutto?

Quando si tratta di patologie il discorso si fa molto complesso ed ogni cattiva presunzione può essere assimilata ad una calunnia ma trattando di movimento per i sani non c’è dubbio che sia in atto una colossale presa in giro perpetrata da importanti case farmaceutiche ai danni dei cittadini e supportata dalla televisione che non dovrebbe prestare il fianco per simili speculazioni. Del resto la televisione è anche quella che continua a pubblicizzare in modo spudorato l’automobile che è quel mezzo che non riesce a far evolvere le nostre abitudini di movimento e mai che si veda in tv la pubblicità di una bicicletta o di una bicicletta elettrica, altro mezzo che potrebbe farci aprire gli occhi in tema di reali necessità di movimento per la salute.

Dunque il movimento non ha l’effetto magico di farci comprendere la realtà in mezzo all’informazione deviata ma ha la possibilità di farci capire come funzionano questi meccanismi di deviazione dell’informazione perché grazie al movimento possiamo toccare con mano e sperimentare su noi stessi quelle che sono le enormi bufale sostenute dal mercato per continuare a tenere in piedi business decisamente artificiali. L’integratore per novantenni proposto ai quarantenni che fanno sport non è che l’ultima di una serie di proposte poco serie e facilmente smascherabili dallo sportivo attento che non abbocca e non si fa abbindolare dal mercato.

DIFENDERSI CON IL MOVIMENTO

Quando scrivo di “difesa” con il movimento non alludo all’autodifesa che si può mettere in pratica per esempio con l’apprendimento delle arti marziali per difendersi da un aggressore. Ritengo che quel tipo di autodifesa sia sacrosanta per una donna che si vuole difendere da aggressioni a scopo di violenza sessuale ma non sono molto convinto che l’autodifesa, salvo che non sia messa in pratica da soggetti molto esperti, sia una grande soluzione per difendersi da uno scippo.

Gli scippatori essenzialmente sono dei balordi, non sono dei veri e propri professionisti del crimine e sono pericolosi proprio per quello. A volte non sanno nemmeno loro quello che fanno ed agiscono in modo istintivo in preda a stati confusionari provocati da droghe, non hanno certamente la precisione chirurgica del criminale in grande stile che ti ruba la vita, ti schiavizza e ti prosciuga per tutta l’esistenza e per far ciò ha la necessità che tu sopravviva. Al criminale da strapazzo non interessa nulla della tua sopravvivenza, può anche ammazzarti e dopo andrà a scippare un altro. Con quel tipo di criminali a mio parere è inutile tentare di difendersi: è molto più sensato consegnare portafoglio e telefonino e scappare via, in fin dei conti è questo che loro vogliono e con pochi giorni di lavoro, se non ti fanno del male, il danno può essere colmato. Pertanto in presenza di questo tipo di criminali ritengo che l’importante sia salvare la salute nell’immediato, con riferimento al momento preciso dell’aggressione ed in tal senso penso che la dote fisica da curare sia quella della capacità di fuggire. Se gli hai dato quelle quattro fesserie che cerca (al più anche l’orologio, se hai il cattivo gusto di circolare con un orologio troppo pregiato al polso…) puoi pure scappare via che non ti correrà dietro. Non è così purtroppo per le donne per le quali ritengo l’apprendimento delle tecniche di autodifesa una cosa molto utile per tentare di resistere alle aggressioni ma a quel punto devono sapersi aiutare anche con stratagemmi che possono andare al di là della sola capacità fisica di reagire, quali spray urticanti e sistemi di allarme vari che possano mettere in fuga l’aggressore.

Ma la vera autodifesa della quale voglio trattare in questo capitoletto, da mettere in pratica anche grazie al movimento, è quella nei confronti di chi non ti vuole sopprimere ma ti vuole tenere in vita per sfruttarti più a lungo possibile.

Mi spiego, nella nostra società la disoccupazione è una balla pazzesca. La realtà è che per colpa di un numero stordente di lavoratori che si ammazzano di lavoro arrivando a lavorare fino 14 ore al giorno, i più dei quali sottopagati, c’è un numero altrettanto elevato di soggetti che restano senza lavoro perché quel lavoro è svolto da chi si ammazza di lavoro. Il lavoro non manca, è solo distribuito male. E perché è distribuito male? Per far comodo alle esigenze di razionalizzazione di quelli che sono i veri criminali del nostro tempo (non i balordi borseggiatori…) supportati anche da un sistema politico che li sostiene.

Io sono assolutamente contrario al reddito di cittadinanza che ritengo misura assurda ed offensiva anche nei confronti dei soggetti disabili ma sono per una razionalizzazione urgente ed immediata del sistema del lavoro per la quale sarei disposto ad inventarmi anche multe nei confronti di chi lavora troppo ed ovviamente anche nei confronti di chi fa lavorare troppo proponendo salari da fame.

Il problema non è il lavoro in nero. E’ chiaro che il lavoro in nero è una via di fuga per il datore di lavoro stritolato da tasse che non gli consentono di tenere in piedi l’azienda. Il problema è quando questo lavoro in nero è sottopagato e con la scusa che il lavoratore percepisce questi compensi senza pagarci su le tasse deve accontentarsi di paghe da terzo mondo. Si deve mettere in conto che quel lavoratore non maturerà mai alcun diritto alla pensione e pertanto quella paga che ad una prima analisi può apparire accettabile è in realtà uno sfruttamento insostenibile. Va messo in galera non quel datore di lavoro che paga in nero per difendersi dallo Stato ma quel datore di lavoro che nonostante paghi in nero si permette pure il lusso di sfruttare il lavoratore. Allora il tuo crimine non è più contro lo Stato che ha tentato di prosciugarti l’azienda con tasse impossibili ma contro quel lavoratore che ha l’unica colpa di trovarsi immerso in un sistema dove la distribuzione del lavoro è gestita in modo criminale.

Come si fa a difendersi con il movimento da questo sistema? L’unica via possibile è quella di tentare di consumare meno possibile per poter sopravvivere con paghe da fame e poter lavorare come persone umane più che come schiavi. In sintesi meglio lavorare otto ore al giorno e tirare la cinghia che non lavorare 14 ore al giorno e potersi permettere la vacanza di lusso. Il problema è che molte volte questa non viene ritenuta un’opzione possibile perché il dipendente che vuole lavorare un numero sopportabile di ore viene ritenuto un fannullone che non ha a cuore le sorti dell’azienda e rischia pure il licenziamento. Praticamente bisogna ammazzarsi di lavoro per mantenere il posto. E qui sì che dovrebbero scattare le multe e le tutele sindacali.

Il movimento ci viene comunque in soccorso come svago a basso prezzo che ci può aiutare a razionalizzare il tempo libero e anche a valorizzarlo dandogli la giusta importanza. E’ chiaro che se il tempo libero viene visto come una cosa superflua, un inutile capriccio al quale si può ben rinunciare, allora lo stile delle 14 ore di lavoro al giorno (che poi è anche lo stile del secondo lavoro di chi, pur lavorando secondo orari umani, dopo pensa bene di integrare con un secondo lavoro…) diventa un’opzione perseguibile, una cosa quasi ovvia per quel capofamiglia coscienzioso e responsabile che in un paese organizzato male si deve fare in quattro per far avere le cose essenziali alla famiglia.

In questo senso il movimento viene ancora visto come quel lusso che può riguardare solo le persone che possono permettersi il lusso di lavorare secondo un orario normale e non ammazzarsi con il superlavoro.

Visto che si tratta di un lusso in termini di tempo disponibile dovremmo almeno fare in modo che non si tratti di un lusso come spesa da sostenere perché a quel punto va ad alimentare un circolo perverso come un cane che si morde la coda: devo lavorare di più per potermi permettere di pagare l’attività fisica che… non ho il tempo di fare perché devo lavorare troppo!

No, il circolo vizioso va interrotto selezionando pratiche di movimento a basso costo che ci diano almeno la libertà di non dover lavorare ulteriormente per poterle finanziare. Poi il movimento dovrebbe avere anche un’ altra finalità fantastica, già accennata prima, che è proprio quella di far capire quanto sia importante il tempo dedicato al movimento. Il lavoratore che si rende conto di ciò è meno disposto ad ammazzarsi di lavoro e a barattare la sua salute (perché di questo si tratta alla fine) con i compensi garantiti dalle ore di straordinario. E’ ovvio che si tratta sempre di combattere contro il terrore di perdere il posto di lavoro ma allora fra i vari terrorismi con i quali dobbiamo fare i conti nella nostra società vanno fatti i conti anche con quello: oltre al terrore di esser investiti sulle strisce pedonali (da un deficiente incosciente, non da un terrorista deficiente…) ci può essere il terrore di essere licenziati  se si lavora un numero equo di ore che possa salvaguardare le nostre necessità di tempo libero e di movimento per la salute.

MOVIMENTO ED ECOLOGIA

Secondo alcuni inquina già troppo un atleta che consuma ossigeno e butta fuori anidride carbonica ventilando in modo abbastanza energico in seguito ad un impegno sportivo. Secondo me inquina troppo l’atleta che, non riuscendo a sostenere i due allenamenti al giorno, si aiuta con i farmaci che andrebbero somministrati ai malati e non ai sani che vogliono sostenere preparazioni sportive impossibili.

Sono due punti di vista piuttosto rigidi sull’inquinamento e sull’ecologia che testimoniano che la nostra presenza sulla terra non è a impatto zero. Comunque, anche se non andiamo su una splendida vettura a gasolio che inquina oltremodo, riusciamo ad inquinare anche semplicemente respirando in modo un po’ più profondo dell’usuale.

A parte questi cavilli, esiste davvero un problema ambientale dovuto al fatto che siamo sette miliardi e che molti di noi consumano risorse in modo indecente fregandosene altamente di produrre una quantità insostenibile di rifiuti. Non esistono delle politiche efficaci per il contenimento dei rifiuti e siamo ancora al punto che le fabbriche non si preoccupano minimamente dei problemi di smaltimento che saranno procurati dagli scarti dei loro prodotti. Evidentemente è il caso di cominciare a tassare le aziende anche per il problema ambientale che possono provocare. Se inquini paghi perché crei un grande problema.

Il movimento può aiutarci a livello ecologico perché può aiutarci a consumare di meno. Anche se un atleta mangia di più perché brucia di più ed ha bisogno di un’alimentazione superiore rispetto ad un sedentario, però il minor inquinamento può essere misurato in termini di prodotti assolutamente inutili che chi pratica sport può essere portato a “non” acquistare. Chi pratica sport ragiona meglio e cede meno alle lusinghe del mercato, mangia di più ma acquista meno cose inutili. Il vero consumatore del superfluo, il malato di shopping compulsivo in genere non è un atleta o una persona dedita ad una sana attività fisica.

Poi c’è un altro piccolo dettaglio che può far ridurre l’inquinamento a chi si muove di più. Chi si muove di più va anche di più a piedi ed in bicicletta e pertanto usa meno l’automobile riuscendo a ridurre l’inquinamento anche per quello. Inoltre chi si muove di più tendenzialmente è anche più sano e quindi può permettersi il lusso di consumare meno farmaci. E’ opportuno ricordare, a tal proposito, che l’industria farmaceutica è una di quelle che inquinano di più anche se il suo modo di inquinare è meno apparente e deve essere valutato nel lungo periodo in base alle ricadute ambientali che ha in tempi successivi al processo produttivo.

Siamo abituati a considerare l’ecologia come quella cosa alla quale bisogna pensare per avere un pianeta più sano e che dunque possa limitare il diffondersi di quel tipo di patologie (una fra tutte il cancro) che trovano un grande alleato nei disastri ecologici. Però la frittata si può anche girare e si può pure dire che un uomo più sano contribuisce ad avere un ambiente più sano. Partendo dalla salute dell’uomo si arriva anche alla salute dell’ambiente e vedendo l’ecologia in un modo un po’ diverso si può affermare che l’ambiente è malato perché l’uomo è malato e non viceversa. Allora si tratta di curare l’uomo per salvare anche l’ambiente e non di partire a salvare l’ambiente per poi riuscire a curare l’uomo.

Essenzialmente l’uomo contemporaneo è malato di iperproduzione e di consumismo. Queste due patologie sono alimentate da uno squilibrio nella distribuzione del lavoro e della ricchezza che sono assolutamente patologici e che fin tanto che non vengono cambiati non possono portare ad un decremento dei consumi. Si produce all’esasperazione perché molte persone sono disoccupate, si consuma in modo folle per continuare a sostenere ritmi produttivi insostenibili. Il problema invece è redistribuire il lavoro e non lavorare di più. Il famoso motto “Lavorare di meno, lavorare tutti” che nessun politico è riuscito a realizzare, né comunista, né, tanto meno, capitalista.

Sintetizzando, l’attività fisica può essere ecologicamente vincente perché tende a migliorare la salute dei cittadini ed, in ultima istanza, può aiutare a ridurre i consumi. Il cittadino sano consuma meno perché non è tormentato dallo shopping compulsivo e non ha bisogno di riempirsi la casa di cose inutili per raggiungere il suo equilibrio psico fisico. Il cittadino sano può permettersi di usare meno l’auto perché va di più in bicicletta e a piedi ed in tal modo riduce anche l’inquinamento dei centri urbani. Alla fine il cittadino sano consuma anche meno farmaci e così pone rimedio anche a quella pandemia tipica della società attuale che è un consumo di farmaci esasperato che oltre che essere fonte di inquinamento è pure il presupposto per la diffusione di nuove patologie. E’ un cane che si morde la coda. Usiamo più farmaci perché stiamo male ma stiamo male anche perché usiamo troppi farmaci spesso in modo indiscriminato, in modo incontrollato ed assolutamente pericoloso per la nostra salute. Il paradosso è che bisogna assolutamente ridurre il consumo di farmaci non per un problema ecologico ma per un problema di salute. Le resistenze a certi antibiotici si stanno sviluppando non solo perché li assumiamo anche in circostanze nelle quali non andrebbero utilizzati ma anche perché ormai ce li troviamo dappertutto e li assumiamo giornalmente senza rendercene conto.

Dire che la riduzione dei consumi va ad aggravare il problema dell’occupazione è una follia politica che può far comodo solo ad una ristretta elite di industriali. La riduzione dei consumi è necessaria per ridisegnare l’assetto sociale e per tentare di limitare almeno parzialmente quei folli squilibri economici che producono povertà patologiche diffuse in interi stati e comunque infiltrate pericolosamente anche in nazioni ricche. Anche le nazioni più ricche hanno fasce sociali decisamente disagiate che hanno bisogno di una tutela politica e di una rivisitazione energica del mondo del lavoro. Solo laddove le politiche sociali hanno un  forte impatto sulla comunità si riescono ad appianare quegli squilibri patologici e non è certamente nei paesi dove si produce di più che questo problema è meno sentito. Squilibri sociali e produzione non viaggiano assolutamente di pari passo, anzi, si può tranquillamente dire che in presenza di squilibri sociali patologici la produzione può aumentare anche all’infinito che il problema non si risolve. Secondo alcuni economisti addirittura lo squilibrio sociale è proprio figlio dell’iperproduzione.

Per cui, secondo l’ottica dell’attività motoria non si tratta di curare l’ambiente per curare l’uomo ma di rivedere l’ecologia secondo il concetto di curare l’uomo per curare l’ambiente. Un uomo più sano consuma di meno e fa bene all’ambiente.

MODA ED ATTIVITA’ FISICA: IL LUSSO DI POTER EVITARE LE MODE

La moda divide il mondo in due: chi la fa e chi la subisce, purtroppo quelli che la subiscono sono un numero decisamente superiore a quelli che la fanno e così si può tranquillamente dire che la moda è una delle tante cose che servono ad arricchire pochi per impoverire molti. Con il movimento si può tentare di porsi in una posizione di armistizio nei confronti della moda, tentare di evitarla senza farla e senza nemmeno subirla. Per non farla non si fa questa gran fatica, basta lavorare in un campo che con la moda non c’entra proprio nulla e, per fortuna, ne esistono ancora, anche se la moda è decisamente invadente è giusto rilevare come molte professioni non risentano della sua influenza e possano essere condotte egregiamente senza necessariamente “essere alla moda”. Non subirla è molto più difficile. Per non subire la moda bisogna essere dei mezzi eroi, delle persone coraggiose e sicure di sé. E’ quasi impossibile non subirla nel senso che quando andiamo ad acquistare qualsiasi accidente è molto facile che ci imbattiamo in qualcosa alla moda e può pure capitare che il prodotto non di moda non ci sia proprio sugli scaffali, praticamente la moda è un trucchetto per alzare il prezzo di un qualcosa che se non fosse per la moda costerebbe abbastanza poco.

Come può, concretamente, l’attività fisica salvarci dalla moda? Si tratta di capire come la salute sia più importante delle apparenze e capire ciò grazie all’attività fisica non è proprio difficile. Improntare un piano di preparazione fisica secondo la moda o secondo l’aspetto salutistico è una cosa diametralmente opposta. L’attività fisica sostenuta per seguire le mode è una palla pazzesca, quella per stare bene è anche divertente oltre che salutare. Allora ci si chiede per quale motivo continui a sopravvivere anche l’attività fisica che ha la precisa finalità di sostenere le mode e la risposta sta semplicemente nella potenza del mercato. Il mercato è talmente potente che è capace di venderti anche le cose sconvenienti. C’è gente disposta a calare di una taglia pur di mettere un vestito e non è un fatto di salute: è solo un fatto di moda, magari quella taglia per motivi di salute non deve nemmeno essere persa ma se deve essere persa per stare in un certo vestito allora si fa l’impossibile, a costo di alimentarsi in modo scorretto. Si può ravvisare addirittura una certa correlazione fra moda e problemi di anoressia quando il tarlo per la moda assume contorni patologici e quello è proprio il caso nel quale da una patologia che può sembrare di lieve entità (il tarlo per la moda) si passa ad una conclamata, grave e di una pericolosità elevatissima (l’anoressia).

Il fisico efficiente è quello sano e che funziona bene e per ottenerlo con l’attività fisica non  è necessario fare miracoli ma solo una costante pratica di attività motoria mirata e razionale, il fisico alla moda non si sa bene come sia perché continua a cambiare (e già qui non ci siamo perché ognuno ha il suo fisico e non può cambiarlo in base alle esigenze della moda) ma soprattutto fa conto con canoni estetici che non c’entrano niente con la salute. E’ garantito che se i canoni estetici sono rigidi qualcuno che va in cerca dell’adeguamento del suo fisico a quei canoni va a caccia di problemi perché è praticamente impossibile cambiare le proprie proporzioni corporee senza creare grandi stress al proprio organismo. Questo è anche il grande problema delle diete e del fallimento della maggior parte di esse: la gente non ha capito che il regime dietetico va studiato per stare bene e non per cambiare taglia. Molte persone si mettono a dieta per un fatto di moda e così si rovinano la salute e rovinano anche in modo spesso irreversibile il loro rapporto con il cibo che è una cosa molto importante se è vero che dobbiamo portarcela dietro fin che campiamo.

Molte volte l’insegnante di educazione fisica interviene a porre rimedio con un piano di attività motoria a problemi, anche di natura muscolare, che sono stati causati da diete inopportune, diete sbagliate e mal calibrate che non hanno messo in preventivo il mantenimento di una buona efficienza muscolare. Altre volte l’insegnante di educazione fisica si trova a difendersi da richieste assurde di gente assolutamente normopeso che per motivi intollerabili vuole ridurre o aumentare la massa muscolare, assecondare tali richieste formulando piani di preparazione molto impegnativi e non esenti da rischi è quanto meno scorretto deontologicamente. Educazione fisica vuol dire anzitutto capire come funziona il fisico e studiare le strategie per farlo funzionare meglio possibile acquistando in salute, non vuol dire mettere a punto strategie per stravolgere il fisico o per demolirlo a seconda dei gusti.

Chi fa una sana e calibrata attività fisica acquista anche una sicurezza psicologica che lo mette al riparo da tentazioni idiote, se anche il suo fisico non è alla moda sa che il suo fisico funziona bene così ed il problema semmai è della moda che non fa i conti con la realtà, chi non si sente in pace con sé stesso e non percepisce l’efficienza del suo fisico può essere tentato di cambiarlo secondo i canoni della moda, tanto star male per nulla o star male per la moda poco cambia. Il grande compito dell’attività motoria è quello di far capire che con un’attività fisica razionale si raggiungono stati di benessere psicofisico che l’esigenza della moda riescono proprio a farla andare sotto i tacchi. In breve, la moda è un problema per i malati che sono malati già nel momento in cui si mettono in testa di perseguire la moda e che rischiano di diventarlo ancora di più durante il processo di adeguamento alle esigenze della moda. E’ evidente che il problema non è solo di chi chiede di fare certi programmi di attività fisica ma anche di chi si offre per organizzarli. Il problema dell’insegnante contemporaneo diventa allora quello di trasformare il telespettatore in un protagonista. Ho sempre sostenuto che una delle mosse più efficaci per combattere la sedentarietà sia quella di spegnere la televisione: tale mossa è conveniente sia materialmente per il tempo che si libera in questa virtuosa operazione ma è anche indirettamente utile per la reazione che si  può provocare a livello psicologico ai contenuti devianti promossi dalla televisione.

C’è un’altra moda che ormai non è più una moda che la televisione continua a propinarci: è quella del campione padreterno che compie gesta televisive di assoluto valore e che devono assolutamente essere viste. Ecco, quelle gesta eroiche che il telespettatore può avere la sana curiosità di guardare deve essere ben chiaro che non sono per niente più eroiche di quelle che il telespettatore medio deve essere chiamato quotidianamente a fare per poter mantenere la salute. Se c’è tempo per quelle gesta, bene, altrimenti la televisione deve restare assolutamente spenta per permettere l’espletamento delle gesta sportive eroiche del telespettatore che sono ancora più importanti di quelle dell’eroe televisivo. Se ci teniamo alla salute questa è l’unica moda che può essere lanciata.

MOBILITA’ URBANA E MOVIMENTO

Alcuni anni fa un produttore d bici elettriche uscì con una frase un po’ ad effetto: “Il problema delle piste ciclabili è un falso problema, strade ce ne sono in abbondanza, si tratta semplicemente di decidere a livello politico che tutte le strade sono delle piste ciclabili e dare la precedenza alle biciclette poi, se proprio necessario, con calma verranno costruite altre strade per le auto.” Questa frase non fu mai fatta propria da alcun politico e così rimase lettera morta, talmente morta che nessuno se ne ricorda più anche se la sua attualità è rimasta.

Tutte le strade possono essere delle piste ciclabili, basta volerlo.

Io dico che, senza arrivare a tanto, si potrebbe prendere seriamente in considerazione l’ipotesi di lasciare l’uso dell’auto nei centri urbani a disabili ed anziani che non riescono ad usufruire facilmente del trasporto pubblico. Sarebbe una mossa decisamente positiva nei confronti di anziani e disabili che hanno diverse necessità di trasporto rispetto alle persone normodotate e a loro verrebbe chiesto, in cambio di queste agevolazioni, di usare il mezzo privato con una filosofia ben diversa da quella che accompagna l’uso dell’autovettura in città attualmente. L’auto privata sarebbe quel mezzo che, pur muovendosi molto lentamente, potrebbe consentire ad anziani ed ai disabili di arrivare proprio vicino al posto di destinazione, per cui auto non più vista come mezzo rapido di spostamento, bensì vista come mezzo di soccorso che ti consente di arrivare laddove non arriva il mezzo pubblico. Il mezzo pubblico diventerebbe il mezzo più veloce di spostamento urbano e dovrebbe certamente avere delle corsie dedicate per non diventare pericoloso nei confronti dei pedoni, delle biciclette e delle auto. In un traffico così regolato non sarebbe utopia prevedere dei percorsi  misti bici auto come purtroppo avviene anche adesso ma in quel contesto la pericolosità delle auto diminuirebbe notevolmente osservando di limitare rigidamente la loro velocità (e non per finta come si fa già adesso in alcuni centri abitati) al limite dei 30 chilometri all’ora.

Il movimento dei pedoni normodotati diventa l’ingrediente numero uno per la realizzazione di una simile rivoluzione del traffico urbano. E’ evidente che per muoversi con i mezzi pubblici è necessario camminare abbastanza ed è proprio per quello che dovrebbero essere previste deroghe per i soggetti con problemi di deambulazione. In una città del genere oltre ad essere favorito il cittadino che usa il mezzo pubblico, perché l’efficienza e la rapidità di quel mezzo aumentano in modo decisivo, vengono favoriti anche il pedone ed il ciclista che si trovano a camminare e pedalare in un ambiente più salubre non ammorbato dai gas di scarico delle auto in fila.

Sembrano cose del futuro ma non lo sono poi tanto se si trova la volontà politica di realizzarle. E’ chiaro che i potentati dell’industria automobilistica riescono ancora a condizionare la politica come e più che nel secolo scorso, quasi che una riconversione dell’industria automobilistica fosse una manovra impossibile.

Allo stato attuale delle cose è in atto una vera e propria guerra fra automobilisti e ciclisti-pedoni nelle città e fintanto che la cosa non viene regolamentata questa guerra continua a mietere vittime innocenti fra i pedoni ed i ciclisti oltre a continuare ad alimentare il serio problema dell’inquinamento dell’aria. Per dire quanto siamo distanti dal risolvere il problema è sufficiente rilevare come la stessa industria automobilistica, che in talune situazioni può tranquillamente identificarsi come il carnefice, in altre vada ad identificarsi come la vittima quando per tutelare l’industria petrolifera si continua ad ostacolare il passaggio delle vetture dal motore a carburante a quello elettrico. In effetti l’industria automobilistica potrebbe anche trarre nuovo impulso dal passaggio dai vecchi motori a quelli elettrici ma bisogna fare i conti con l’industria petrolifera e così, freno nel freno, non solo le auto continuano ad intasare i centri urbani ma continuano pure a farlo con mezzi con la tecnologia del secolo scorso.

In un contesto simile il pedone che autonomamente decide di andare a piedi o in bici anche se la città non è fatta per lui è un vero eroe ma un eroe probabilmente inutile se il suo gesto resta isolato perché non è decisivo per dare una diversa impronta al traffico. Non c’è dubbio, saranno i tempi della politica a scandire i tempi di questa rivoluzione auspicata più che quelli della voglia di movimento dei cittadini che al momento si accontenteranno di pedalare e camminare in palestra.

SPORT E PACIFISMO

Dire che lo sport accosti all’idea di pace mi pare un po’ azzardato, almeno lo sport che ha a che fare con le nazioni. Semmai lo sport è forse più democratico della maggior parte dei governi nel senso che nello sport la bomba atomica ce l’hanno tutti (il doping di alto livello) e purtroppo tutti la usano mettendosi ad armi pari.

Non vedo un nesso fra pacifismo e sport delle squadre nazionali perché è proprio lì che ti insegnano ad esasperare l’agonismo, che bisogna ancora vincere per la Patria e visto che bisogna vincere per la Patria bisogna ammettere che mentre il doping individuale è quasi stato sconfitto del tutto ed i pochi scemi che si dopano a titolo individuale prima o poi vengono scoperti anche dal più inefficiente degli istituti antidoping, il doping di stato continua imperterrito il suo percorso ed è diffuso praticamente in tutti gli stati ed è difficilmente smascherabile da un antidoping che non sia veramente all’avanguardia, per motivi tecnici ma anche politici. E’ il doping di stato ad inquinare lo sport professionistico in un modo forse ancora più preoccupante che negli anni addietro e a rendere la battaglia contro il doping sistematico una cosa tipo Don Chisciotte contro i mulini a vento.

Se vogliamo inneggiare ad un concetto di pacifismo globale (sogno splendido o folle utopia?) dobbiamo un po’ dimenticare i nazionalismi e le bandiere. Purtroppo lo sport, soprattutto quello di alto livello, non ci aiuta molto in tal senso e lo sport televisivo funziona proprio nel senso che un telespettatore accende la tv, vede un atleta che non ha mai visto prima e fa il tifo per lui perché indossa la maglia della sua nazione. Si fa il tifo per la squadra, non per il soggetto per cui anche il più individuale degli sport che è l’atletica finisce per essere uno sport di squadra perché si guarda quanti atleti della tal nazione sono giunti a medaglia.

Una bella idea di pacifismo poteva essere sostenuta dal far gareggiare gli atleti sotto la bandiera del Comitato Olimpico ma erano i presupposti che erano sbagliati. Con quella mossa si è inteso riabilitare atleti che potevano avere problemi con il doping in quanto appartenenti a nazioni fermate da problemi sul doping. In tale contesto gli atleti che hanno gareggiato per la bandiera del Comitato Olimpico si sono sentiti costretti a gareggiare per quella bandiera come rimedio per non poter gareggiare per i colori della propria nazione. Una scelta obbligata e non libera dunque. E così non è passato il concetto che quella poteva essere la bandiera più bella, la vera bandiera del pacifismo che mette i valori dello sport sopra i valori delle nazioni. Se passa questo concetto lo sport ne viene fuori vincitore e la filosofia del doping viene sconfitta. Non conta vincere perché non devo sostenere nessuna Patria, se vinco bene, altrimenti amen perché lo sport intero è orgoglioso delle mie gesta, sia che vinca sia che perda, ho servito lo sport, non la Patria e per servirlo davvero devo dimostrare che lo sport fa bene alla salute e dunque non ha nessun senso che vada a migliorare le mie prestazioni in modo artificiale con pericolosi ausili farmacologici. Ovviamente dietro a questi discorsi innocenti oltre che la problematica dello sport di facciata con evidenti contenuti politici c’è anche la questione degli sponsor che sono i veri padroni dello sport e pertanto non è una questione risolvibile solo con le buone parole.

E’ per questo che io sostengo che il vero sport che inneggia ai valori del pacifismo sia lo sport dei numeri due, lo sport per tutti, non quello dei professionisti. perché lo sport possa darci qualcosa in tal senso bisogna partire dal concetto che davvero vincere, anche se bello, non è stramaledettamente necessario, ma questa idea nobile purtroppo è sostenibile solo nello sport non circondato da flussi finanziari imponenti e pertanto solo nello sport veramente dilettantistico. Il vero spirito olimpico pertanto è perseguibile in molti ambiti dello sport ma purtroppo non alle Olimpiadi dove vincere o perdere non è per niente la stessa cosa perché sposta flussi finanziari da capogiro.

Lo sport può essere un’ idea pacifista ed aiuta anche ad incanalare l’aggressività nella competizione ma tutti questi discorsi etici si sciolgono come neve al sole quando andiamo a trattare lo sport professionistico, lì le dinamiche sono ben diverse, le nazioni giocano tutte le loro carte, compresa quella che in gergo viene definita la “bomba atomica” che non è altro che l’ultima messa a punto del supporto farmacologico di alto livello, a disposizione anche di stati che non hanno nemmeno i vaccini per vaccinare i loro bambini.

RELIGIONE E ATTIVITA’ FISICA

Più o meno tutte le religioni ci insegnano che il corpo va rispettato, ce l’ha dato il Padreterno e noi dobbiamo rispettarlo per fare la volontà del Padre.

Religione e attività fisica hanno in comune una cosa: pur essendo di fondamentale importanza per garantire l’equilibrio psico fisico dei fanciulli e di tutto il genere umano sono due cose profondamente trascurate dalla scuola. Sono le cosiddette materie “materasso” dove l’impegno è del tutto facoltativo (praticamente anche la materia è facoltativa nel senso che ci si può esonerare senza compromettere l’esito dell’anno scolastico). E allora religione ed attività fisica potrebbero anche andare a braccetto per richiedere un’autentica riforma della scuola che così com’è non va nel senso che è un parcheggio che non informa assolutamente il mondo del lavoro, anzi lo subisce. Invece di essere il mondo del lavoro che si adegua da quanto emerge dagli studi della scuola è la scuola ad adeguarsi a quanto emerge dalle esigenze del mondo del lavoro. Ma allora a scuola cosa si studia? Si studia solo l’obbedienza? Se il mondo del lavoro non funziona perché è evidente che non funziona se produce disoccupazione galoppante deve essere riformato. Ma chi lo riforma se chi dovrebbe studiare il mondo nuovo studia solo i sistemi per adattarsi a quello vecchio?

La scuola insegna ad adattarsi al mondo del danaro, insegna ciò perché i principi religiosi non intaccano minimamente i programmi ministeriali in nome di una falsa laicità che non è assolutamente produttiva. La stessa educazione civica il cui insegnamento sarebbe in grado di stravolgere la società implicando un cambiamento di stile in ambiti dove l’educazione civica proprio non esiste, è bistrattata e molto spesso ignorata nella scuola, quasi che fosse un inutile fardello, retaggio di una scuola superata che non aveva esasperazione dei tecnicismi quale quella di adesso.

Religione ed educazione fisica viaggiano di pari passo perché puntano entrambe alla costruzione dello studente. Qui non si punta a costruire nulla, si punta solo ad informare. Sappi che quando sarai fuori di qui avrai bisogno di queste, queste e queste informazioni per adeguarti al mondo del lavoro. Poi se troverai posto o meno quello non si sa, più cose sai di quelle che interessano a loro più possibilità hai di collocarti. Poi, se hai scoperto che vivi in una società sbagliata, che va rifondata, quello non è compito tuo perché quelle così lì a scuola non vanno studiate, zitto e studia. L’incubo del sessantotto ha prodotto danni inestimabili. Siccome quei giovani credevano di cambiare il mondo ed è stato necessario reprimerli per andare avanti, adesso facciamo prevenzione, a scuola non si discute, si impara e basta.

Religione ed attività fisica hanno in comune un impatto devastante sulla società se seriamente considerate, è per quello che nella società attuale sono messe ai margini. Se un giovane reclama il diritto al movimento e chiede che questo sia sostenuto dalla scuola è un illuso e se lo stesso giovane reclama il diritto a costruire una società della solidarietà e non succube delle logiche del mercato come suggerito dai principi religiosi, quel giovane è etichettato per pazzo scatenato e sovversivo. Fra le varie mode, quella di ragionare con spirito critico non è sostenuta molto dai nostri media.

Sia la religione che l’educazione fisica possono riuscire a salvare dalla miopia che è uno dei problemi che affliggono di più gli studenti di oggi. E’ una miopia metaforica nel senso che questi non riescono a guardare più in là della punta del naso e si occupano solo di risolvere uno alla volta i mille problemi che la scuola presenta loro che, anche se sono problemi concreti in quanto creano problemi di adattamento allo studente, in realtà sono finti problemi perché puntano solo a colmare lacune di informazione ma non certo a creare una forma mentis autonoma nello studente. E’ quasi come se la scuola volesse tenere occupata la mente dello studente con mille nozioni ingombranti per far sì che il problema esistenziale non emerga. Ed il problema esistenziale nel giovane d’oggi esiste eccome perché sa che quasi di sicuro fuori dalla scuola sarà atteso da una battaglia epocale per collocarsi, battaglia che forse sarà costretto ad andare a giocare all’estero (ed in tal senso, se proprio si vuole essere tecnici e concreti si dovrebbe insistere di più su un buon apprendimento della lingua straniera perché sarà quello il vero strumento che il giovane andrà ad usare appena fuori da scuola per cercare opportunità).

E una scuola paradossalmente ingessata sul mondo del lavoro che però difficilmente offrirà soluzioni per questi giovani. Religione ed educazione fisica devono dare la forza a questi giovani più che le informazioni per affrontare la vita. Di che informazioni avranno bisogno adesso non lo sappiamo, sono proprio i tecnicismi a rendere obsoleto in poco tempo ciò attualmente può apparire come potenzialmente utile ma non si può correre dietro ai tecnicismi perché non ha senso.

E’ chiaro che una scuola che da molta importanza all’attività fisica (e pertanto anche all’aspetto relazionale perché ciò è consequenziale) e alla religione (e pertanto anche alla capacità di mettere in discussione tutto perché un sano accostamento alla religione ti fa guardare la realtà a 360°) può creare molti più problemi di una scuola che distribuisce solo informazioni e verifica costantemente che queste informazioni siano trasmesse in modo corretto (le famose “verifiche”).

Non è solo un problema di scuola, è un problema di società intera. Sperare che una sana attività fisica ci ossigeni bene il cervello e ci faccia aprire gli occhi senza incappare nella miopia patologica è illusione perseguibile. La speranza è sempre l’ultima e morire.

CONCLUSIONE

Ho scritto “conclusione” e non “conclusioni” perché di conclusione ce n’è una sola ed è già tanto che ci sia quella.

Siamo in una società dove l’informazione è monolitica. Televisione, Internet, giornali passano solo l’informazione che serve per perpetuare la società dello stress. Lavorare meno è necessario per far lavorare tutti oltre che per migliorare la qualità della vita. Purtroppo le dinamiche dell’iperproduzione hanno condotto a questa società dai folli squilibri dove si va da chi lavora troppo a chi proprio non lavora, da chi in una giornata di lavoro tira su i soldi che sarebbero necessari per mantenere una famiglia intera per un anno a chi, dopo un’intensa giornata di lavoro prende sì e no ciò che basta per mantenere sé stesso solo per quella giornata.

L’attività fisica può essere quell’antidoto necessario a farci pensare meglio se è vero che può servirci ad ossigenare il cervello. Purtroppo anche la gestione dell’attività fisica è condizionata dalla società dello stress e così possiamo trovarci a pedalare chiusi in una palestra invece che all’aria aperta come sarebbe opportuno fare. C’è da sperare che l’ossigeno arrivi ugualmente e ci possa servire per capire in primo luogo come muoverci correttamente per restare in salute ma anche per farci assaporare la vita con meno stress e dando la giusta importanza alle cose. Il danaro sarà anche importante ma è un mezzo e non un fine.

Dare troppa importanza al movimento non ha senso ma darne molta almeno come importante strumento per mantenere la salute può anche essere utile per riprendersi quegli spazi che la società dello stress tende a toglierci. Forse per sconfiggere tale società la prima cosa da fare è spegnere la televisione e andare a camminare fuori. Non è un gesto clamoroso ma è comunque più rivoluzionario di quanto si possa pensare. E’ fa certamente bene alla salute.

Nota dopo la stesura:

Sono stato un po’ dibattuto sul pubblicare o meno questo breve ma insidioso libretto.

Tale scelta fa a botte anzitutto con la mia idea che i discorsi sull’attività motoria devano essere anzitutto specifici più che generici e dunque riguardare situazioni concrete ben precise.

Da questa predica abbastanza “generica” emerge che io ce l’ho con la scuola perché serve il mondo del lavoro senza aiutare nessuno a tentare di cambiarlo. Poi emerge che ce l’ho con il mercato e con la società dei consumi in genere perché al di là del problema ambientale sta mettendo la qualità della vita in secondo piano. Non conta più vivere bene, si può vivere anche male ma con tante cose e con la possibilità di poterne comprare ancora di più. Siamo schiavi del danaro che sta soffocando tutti gli ideali.

Per sdrammatizzare e non farmi prendere troppo sul serio voglio descrivere brevemente un episodio di circa venticinque anni fa che però fotografa ancora abbastanza bene il mio modo di pensare attuale.

Nel calcio a 5 seguivo, con le squadre giovanili, un ragazzo di 17 anni che giocava molto bene ed aveva una gran passione per quello sport. Molto educato, era il classico ragazzo che imparava e faceva imparare gli altri, quasi una specie di secondo allenatore in campo. Sempre puntuale e presente a tutti gli allenamenti. Non mi resi conto che esagerava un po’ nel senso che gli allenamenti li recuperava alla grande aiutato da un recupero fisico tipico dell’età senza nessun problema, ma evidentemente dedicava decisamente molto tempo allo sport. Quell’anno mi chiese se poteva partecipare anche agli allenamenti dei ragazzi più giovani, lui che era già stato chiamato anche dalla prima squadra e dunque in linea teorica con i più giovani avrebbe dovuto solo che annoiarsi. Invece anche con i più giovani era di una correttezza esemplare, è riuscito a far crescere il gruppo e mi ha dato proprio una mano a fare un buon lavoro. Se non fosse che si divertiva alla grande (ed è per quello che stava bene con tutti) sarebbe stato quasi da pagarlo per l’appoggio concreto dato al gruppo. Anche grazie a quel surpluss di allenamento migliorò ulteriormente e fu chiamato ancora con più insistenza dalla prima squadra che giocava in serie A. In breve, anche se si trattava di calcio a 5 dove il livello prestativo non era certamente paragonabile a quello del grande calcio, avevo portato un ragazzo delle giovanili a poter giocare anche in prima squadra, senza grandi stratagemmi, solo dandogli la possibilità di fare quel cavolo che voleva lui, divertendosi. Tutto splendido da un punto di vista sportivo se non fosse che a fine anno (e non fu neppure lui a dirmelo…) venne fuori che era stato bocciato a scuola. Di scuola con lui non ci avevo proprio mai parlato quasi come se il suo comportamento molto corretto ed educato fosse una garanzia per un buon rendimento scolastico. Purtroppo, invece, il ragazzo in questione tanto entusiasmo aveva per il calcio a 5 e tanto andava in paranoia quando si metteva su un testo scolastico. Uno più uno fa due, avrei potuto arrivarci anch’io calcolando il tempo che dedicava agli allenamenti e invece venni a sapere il tutto a disastro completato.

Non penso che quell’anno perso a scuola gli abbia rovinato la vita così come posso dire che quelle partite fatte in serie A con il calcio a 5 non gliel’hanno semplificata più di tanto ma in ogni caso in quel frangente io mi sono rivelato un allenatore un po’ disattento. Ho dato per scontate delle cose che non lo erano.

E così quando io dico che occorre una rete di piste ciclabili sul territorio nazionale che ci possa far cambiare le abitudini di movimento parlo sempre da tecnico perché poi magari da persona equilibrata viene fuori che non si può assolutamente creare un problema all’industria automobilistica perché altrimenti l’economia nazionale va a remengo e veniamo tutti bocciati.

Ecco il mio punto di vista è sempre quello dell’insegnante di educazione fisica che guarda all’aspetto salutistico se poi viene fuori che certe scelte non si possono fare perché danneggiano troppo l’economia allora vuol dire che siamo abbastanza schiavi di questa stramaledetta economia. La scelta più o meno è fra salute e danaro: nella tomba non ci portiamo né l’una né l’altro e nessuno dei due ci da garanzie sull’allungamento della vita. Però io sono ancora convinto che la qualità della vita sia data più dalla salute che dal denaro.