L’ETERNO CONFLITTO FRA PEDONI ED AUTOMOBILI

In realtà il conflitto fra pedoni ed automobili non è proprio eterno ma ha, nella sua forma conclamata, poco più di 50 anni. E’ che a noi che viviamo quest’età gli ultimi 50 anni sembrano un’eternità. Sembra che non sia mai esistita un’epoca nella quale i pedoni potevano tranquillamente girare per strada senza aver paura di essere travolti da un’automobile guidata da un automobilista poco responsabile. Sono esistiti altri tempi, sono esistiti tempi nei quali il pericolo era non farsi travolgere da un cavallo e le strade più che da gas di scarico puzzavano proprio da deiezioni di animali. Era un altro tipo di inquinamento, forse meno subdolo e più clamorosamente evidente ma comunque… una forma di inquinamento. Insomma è difficile dire “Si stava meglio quando si stava peggio”.

Automobile e televisione (lasciamo stare per un attimo telefonino e computer) hanno sconvolto l’esistenza degli esseri umani negli ultimi 60 anni. La prima vive fasi di alterno successo cercando sempre nuovi mercati, la seconda pare che stia benone e trova sempre il modo per intrufolarsi nella vita degli umani del terzo millennio. Sta talmente bene la televisione che è diventata uno dei principali strumenti per l’ulteriore diffusione dell’automobile che fatica un po’ ad evolversi e pertanto ha bisogno di pubblicità continua per tenere il mercato.

Perché l’auto faccia fatica ad evolversi in un mondo dove la tecnologia ha fatto passi da gigante in tutti i campi è un po’ difficile capirlo. O forse è un po’ troppo facile. Avremmo già a disposizione la tecnologia per produrre mezzi che costano veramente poco e durano quasi all’infinito ma allora il mercato subirebbe un danno incalcolabile. Mi viene in mente un mio amico che produce abbigliamento sportivo e che vedendomi indossare un pantaloncino prodotto da lui una ventina di anni fa ha esclamato “Accidenti! Quel pantaloncino l’ho prodotto io, quello è un pantaloncino sbagliato!”. Quando gli ho chiesto perché “sbagliato” mi ha detto che un pantaloncino non può durare vent’anni perché finisce per bloccare il mercato. Il problema è che quel pantaloncino non funziona a gasolio e anche se il produttore vuole che lo cambiamo più spesso il danno ambientale provocato da questa esigenza non è poi colossale.

Quando parliamo di automobili invece l’uso di carburanti che ormai dovrebbero essere stati dimenticati provoca un grande danno ambientale. Ma non solo. Il lento diffondersi dei carburanti alternativi è motivato dal fatto che non sono performanti come quelli derivati dal petrolio. E questo è probabilmente vero (almeno con riferimento al gas metano che io uso da oltre 25 anni e non mi ha mai istigato a “sfidare” gli altri automobilisti in splendide dispute a “chi arriva prima”).

Questa mania di considerare ancora nel terzo millennio l’opportunità di acquistare un’ auto anziché un’ altra anche e soprattutto per la potenza e le prestazioni è una cosa assolutamente insensata in un mondo che oltre che con gravi problemi ambientali ha a che fare con questioni di sicurezza legate al difficile rapporto pedone-automobile.

Mi è stato detto che la mia autovettura, non proprio piccola e leggera, “trasformata” a metano nella seconda parte della sua vita (quando l’ho acquistata io usata..) consuma meno di autovetture molto più leggere e più nuove per il semplice motivo che le case automobilistiche che producono il mezzo che nasce con l’alimentazione a metano vogliono che le prestazioni di questi mezzi non differiscano da quelle dei corrispondenti modelli alimentati a benzina o a gasolio. Praticamente stanno facendo con il metano quello che hanno fatto con il gasolio: un tempo il gasolio era il carburante di chi andava piano, adesso ci sono degli autentici missili che vanno a gasolio. Le auto a metano potrebbero consumare molto meno di quelle a gasolio (anche se vanno più piano) ma, lasciamo perdere i consumi, facciamo altri missili.

Abbiamo l’esigenza di rallentare la velocità media del traffico automobilistico per problemi di sicurezza. Una guida che non permette l’errore altrui non è una guida sicura.

Se rallentiamo il traffico automobilistico congeliamo il traffico e poi gli automobilisti sono tentati di lasciar perdere l’auto privata per salire sul mezzo pubblico. Gli automobilisti continuano ad usare il mezzo privato in quanto più veloce di quello pubblico. E’ questo il punto. Se decidiamo che nelle città bisogna privilegiare il mezzo pubblico, che l’utilizzazione del mezzo privato deve essere concessa solo ai disabili ed ai residenti che hanno la necessità di uscire ed entrare dalle loro abitazioni allora è proprio opportuno studiare tutte le strategie per fare in modo che la “competizione” in velocità fra mezzo privato e mezzo pubblico sia vinta da quest’ultimo. Non è difficile, basta studiare un sistema idoneo di corsie preferenziali e ridurre la velocità dei mezzi privati nei centri urbani. In questo modo aumenta di molto il numero di cittadini che si serve del mezzo pubblico, diminuisce l’inquinamento, diminuisce il numero degli incidenti stradali nel tessuto urbano ma diminuisce anche il numero di auto vendute su quel territorio. E forse è proprio quest’ultima cosa a spiegare perché nella maggior parte delle città italiane non di adottano politiche incisive per questa rivoluzione culturale.

Il limite dei trenta all’ora in tutte le città italiane non dovrebbe essere un vezzo radical chic di alcuni comuni che vogliono dichiarare al mondo la loro vocazione turistica ma dovrebbe essere il risultato di una presa di coscienza collettiva sul fatto che con sta mania di spostarsi velocemente dappertutto con l’auto negli ultimi trent’anni abbiamo un po’ esagerato, inquinando a più non posso e rendendo “normali” incidenti che in una società civile dovrebbero essere considerati pura follia. Le pagine dei nostri quotidiani analizzano in tutti i modi gli attentati terroristici che seminano il panico fra la popolazione. Degli incidenti stradali si scrive al massimo un giorno o due, perchè dal terzo resta traccia solo nei necrologi. Ma è terrorismo anche quello, terrorismo legalizzato.

L’altro giorno nella mia città, (che è una città dove tutto sommato le cose funzionano abbastanza bene e non dovrei proprio lamentarmi) ho segnalato agli organi competenti che in un viale che collega il centro alla periferia c’è un impianto semaforico che crea delle condizioni di rischio molto gravi, per problemi di lettura. Praticamente l’automobilista transita tranquillo su un attraversamento pedonale credendo di avere verde quando invece ha rosso, difficile spiegare perché bisogna solo vedere per capire ma insomma… è così. Mi è stato risposto che l’impianto semaforico è perfettamente a norma e pertanto non è prevista alcuna opera di revisione dello stesso. Ora so benissimo che per mettere mano ad un accidenti del genere potrebbero essere necessari addirittura 15.000 euro perché non è che puoi mettere una lampadina più grossa e basta. Nel momento in cui intervieni devi rivedere proprio tutto l’impianto perché ammetti implicitamente che c’è un problema. La legge, giustamente, ti dice che se apporti una modifica questa modifica deve essere regolamentare e pertanto, alla fine, ti può venire a costare anche 15.000 euro. Praticamente vige il principio di “peso el tacon del buso” (peggio il rimedio del problema) così avete anche capito di che città vi sto parlando, e se intervieni devi farlo in grande stile perché la legge ti impone questo. Quindicimila euro sono davvero tanti e, se fosse per me, non attraverso più la strada in quel punto e fine della partita. Ma allora abbiamo il coraggio delle scelte. Guardate, attraversare qui è talmente pericoloso che abbiamo deciso che qui non attraversa più nessuno, devono passare le auto a 70 chilometri all’ora ed i pedoni li facciamo andare da un’altra parte.

E’ un’ eterna lotta fra pedoni ed automobilisti. I pedoni che hanno l’esigenza di sopravvivere e gli automobilisti che hanno l’esigenza di andare veloce. Sembrerebbe scontato che sia più importante sopravvivere che andare veloce ma non lo è. Se rallenti tutto blocchi l’economia. E allora dobbiamo studiare sistemi economici che ci permettano di sopravvivere anche andando piano perché morire per quindicimila euro nel terzo millennio è follia. Follia non autorizzata dal fatto che nel terzo  mondo si muore ancora per poche decine di euro. Il grado di civiltà si misura da tante cose, una di queste è anche la possibilità di muoversi a piedi nel proprio territorio senza rischiare la vita. E’ una cosa strettamente correlata con l’attività motoria. Per quello, più che un insegnante, nella mia città, sto diventando “quello che rompe le balle per i diritti dei pedoni”.