LA MOBILITA’ URBANA E’ UN FATTO DI EDUCAZIONE

Non so se ospiterò mai la pubblicità di una bici elettrica sul mio sito. Il fatto è che a livello organizzativo sono pigro e se trovassi un inserzionista che mi dicesse: “Non ti preoccupare, faccio tutto io, metto l’immagine del mio prodotto vicino ai tuoi omini che corrono e tu continui a scrivere le tue stronzate come se nulla fosse…” gli farei spazio anche gratis ma scritta così non è per niente elegante. Diciamo che è più bello dire che faccio come la famosa mezzofondista sudafricana Zola Budd che correva scalza e quando grandi sponsor le proposero di calzare le loro calzature indugiò per un bel po’ di tempo giocando al rialzo e spuntando poi una cifra notevole dal “vincitore” della contesa. Ecco, io sono talmente indeciso sul modello da pubblicizzare (semplice, economica ed affidabile, non occorre altro) che temporeggio a lungo e così provoco un aumento vertiginoso della proposta di sponsorizzazione…

Sulla bici elettrica ci credo davvero, non è una bugia e lo ripeto per l’ennesima volta, perché penso che sia il mezzo che può cambiare le carte in tavola sull’importante tema della mobilità urbana.

Purtuttavia non assegno una capacità miracolistica a questo mezzo che ritengo molto utile perché ritengo che la questione, nel suo complesso, sia una questione essenzialmente culturale. Per assurdo potrebbe anche essere il triciclo per fare comodamente la spesa (con il triciclo sei stabile e puoi trasportare una grande quantità di pacchi) ad essere determinante in un cambio di paradigma nel modo di intendere la mobilità urbana, oppure, semplicemente, una campagna pubblicitaria efficace tesa a far capire che le regole devono cambiare ma, in ogni caso adesso non siamo immersi nella cultura dell’uso sistematico della bicicletta, non siamo educati a questo.

E’ un mero fatto di numeri. Le auto sono ancora molte di più delle bici e fintanto che continueranno ad essere la netta maggioranza continuerà ad essere sacrosanto il metro in più per l’auto invece che quello per la bici. Che poi il metro in più per l’auto sia quello che serve a salvare lo specchietto, a garantire il sistematico superamento di quei noiosissimi 30 all’ora che proprio per le auto non vanno bene mentre il metro in più per le bici sarebbe quello per evitare il tombino, per avere il sano diritto di fare una minima sbandata ogni tanto senza perderci la vita, di tutta questa faccenda alla maggior parte degli automobilisti non gliene frega proprio nulla anzi è un problema che non si pongono nemmeno, le auto sono molte di più, è inutile che ci creiamo problemi per colpa di una minoranza di presuntuosi.

Diciamolo chiaramente, il ciclista nelle nostre città non viene ancora visto come quello che salva l’aria ma viene visto come quella rottura di scatole che rallenta il traffico, è sempre in mezzo ai piedi ed ai semafori ha pure la presunzione di passarti avanti mentre tu sei lì diligentemente in coda che fai la fila inquinando a più non posso in mezzo alle altre auto normalmente inquinanti.

Se c’è un pericolosissimo contatto fra bici ed auto la colpa non è dell’automobilista che insiste nel passarti a mezzo metro anche se va al doppio della tua velocità ma è del ciclista che ha inesorabilmente sbandato e se non riesce ad andare perfettamente dritto (sulle due ruote non puoi andare perfettamente dritto nemmeno se hai lavorato per una vita al Circo Togni…) che se ne stia a casa sua.

Per cui io vedo la bici elettrica come quel mezzo che potrà finalmente sancire la consacrazione della bicicletta come mezzo fondamentale per combattere l’inquinamento, per spostare l’ago della bilancia che fino ad ora è inequivocabilmente dalla parte dell’automobile praticamente nella totalità delle città italiane comprese quel paio di eccezioni che avendo un traffico di biciclette che supera il 30% del totale vengono considerate virtuose ed esempio da seguire (e purtroppo, in questa situazione, lo sono davvero).

Torno a dire che il fatto è essenzialmente educativo perché se ci fosse un’ educazione all’uso della bicicletta, anche dove queste sono un numero esiguo, dovrebbero comunque essere rispettate. Dove non c’è la pista ciclabile dovrebbero essere superate lasciando ampio spazio al ciclista (cosa che in Italia non fa praticamente mai nessuno, tanto è vero che gli italiani all’estero rischiano di fare dei frontali paurosi con l’automobilista che sopraggiunge dal verso opposto che rispetta il ciclista e invade completamente la carreggiata opposta in fase di sorpasso). Ai semafori la precedenza dovrebbe essere lasciata ai ciclisti (anche senza l’adozione della tanto temuta quanto utile “casetta avanzata dei ciclisti”) e anche nella programmazione dei tempi dei semafori il ciclista dovrebbe essere rispettato invece di avere sempre tempi da considerazione “zero”. Le piste ciclabili poi non dovrebbero essere un continuo zig zag fra mille ostacoli come se fossero disegnate all’interno di un campogiuochi per tenere svegli e reattivi i bambini. I cosiddetti “dissuasori di velocità” devono essere adottati per le auto che fanno i 40 km/h non per le bici che fanno i 20 chilometri all’ora.

La cultura della bici è ancora molto distante dall’essere diffusa in modo capillare, forse la diffusione della bici elettrica che è molto probabile se si trovano effettivamente sul mercato modelli economici, efficienti e che si guastano poco, può sollecitare l’immaginario collettivo un po’ come è riuscito a fare almeno in parte il monopattino elettrico. Solo che anche se il monopattino elettrico ha comunque fatto meditare attorno al problema della mobilità urbana, è stato preso un po’ come un giocattolo, un qualcosa che può soddisfare le esigenze solo di una minoranza della popolazione, mentre la bici elettrica, se davvero viene compresa nelle sue potenzialità può risolvere i problemi di mobilità di parecchi milioni di italiani, anche perché rispetto ad un’ auto elettrica costa circa venti volte meno e se è vero che abbiamo tutti un problema ecologico urgente la maggior parte di noi ha anche un problema di “bolletta sparata” altrettanto urgente.