FATICA FISICA E FATICA MENTALE NON VIAGGIANO DI PARI PASSO

C’è un detto che recita “Chi non ha testa ha gambe” ed è riferito a chi dimentica spesso le cose ed è costretto a camminare per andare a recuperarle. Tale detto può essere un po’ traslato al problema della fatica nell’attività motoria in genere: chi non riesce a metterci la testa ci mette il fisico nel senso che chi non riesce a fare la fatica “mentale” per progettare nel miglior modo un certo compito motorio è costretto a fare la fatica fisica per riuscire ad eseguirlo bene anche se è mal progettato.

Siamo portati a pensare che gli atleti capaci di usare molto bene la testa, anche con l’adozione di notevoli strategie tattiche nel loro sport siano anche quelli capaci di sopportare i più elevati livelli di fatica fisica ma non è così anzi molte volte è proprio il contrario.

Gli atleti capaci di sopportare i picchi di fatica più elevati, ai limiti della sofferenza fisica, sono quelli che in genere ragionano di meno in gara, i più istintivi, quelli che invece di tentare di razionalizzare al meglio la prestazione sportiva per contenere il più possibile la fatica si buttano nella competizione senza pensarci tanto su e si esaltano nella percezione della fatica come se fosse la dimostrazione del fatto che stanno facendo il massimo di ciò che si può fare. Per loro la miglior prestazione possibile è proprio quella ottenuta con picchi di fatica leggendari: hanno il culto della fatica e non ne hanno minimamente paura. In genere questo tipo di atleti passano alla storia dello sport come atleti leggendari ma non è che vincano poi molto proprio perché spesso sono un po’ privi di quell’acume tattico che può portarli ad accumulare una lunga teoria di successi.

Pertanto accade proprio che vengano date etichette del tipo “atleta riflessivo” e “atleta istintivo” dove il primo viene ritenuto capace di grandi prestazioni in quanto dotato di grandi capacità di autocontrollo e di lettura dell’impegno agonistico ed il secondo invece come eroico sopportatore di fatiche leggendarie.

Mi viene in mente nella gara degli 800 metri l’atleta in grado di partire molto forte e vincere una gara tirando dal primo all’ultimo metro e l’atleta prudente incapace di partire forte ma sempre attento a ciò che accade qualche metro più avanti per andare a raccogliere un bel numero di pazzi temerari (a volte tutti…) nella parte finale della gara.

E’ chiaro che l’atleta in grado di vincere la gara tirando dal primo all’ultimo metro o è un marziano che non ha nulla a che spartire con gli altri oppure è un atleta in grado di sopportare picchi di fatica elevatissimi perché già fa fatica a partire molto forte poi nella parte finale della gara quando è acidificato in modo assurdo fa una fatica mostruosa a tentare di contenere il rallentamento in modo decoroso per poter mantenere almeno un minimo vantaggio sufficiente a vincere. Al contrario l’atleta riflessivo fa molta fatica a selezionare il ritmo giusto preso fra mille dubbi di risparmiare fatica restando discretamente vicino ai primi e il rischio di aver risparmiato troppo creandosi un problema irrisolvibile per il tratto finale di gara. Molte volte, quando quell’atleta capisce di aver sbagliato, rinuncia a tentare l’impresa anche perché non è un atleta molto propenso a “sprecare” fatica quando non c’è un buon motivo per farla, quando invece i conti tornano riesce anche a vincere in modo piuttosto agevole, certamente in modo meno faticoso di quanto avrebbe potuto fare andando a tirare in testa dal primo metro di gara.

Spesso si dice che questo tipo di atleta attendista gioca un po’ troppo con sé stesso e rischia di perdere molte gare in questo gioco difficile a risparmiare fatica ma il vero “giocatore”, che controlla molto meno la competizione e la lascia un po” alla fortuna, è proprio chi parte a tutta che non può controllare la corsa essendo davanti e non rendendosi conto di cosa accade dietro.

Nell’attività fisica dei comuni mortali generalmente riflette di più chi pratica uno sport ed un po’ meno chi frequenta le palestre che spesso delega l’istruttore alle riflessioni sui compiti motori. La motivazione di questo atteggiamento risiede nel fatto che una buona parte dei frequentatori di palestra accettano di buon grado la fatica come parametro che attesta la bontà di una preparazione tesa alla forma fisica ed al mantenimento della linea. Non è così e se questi soggetti si rendessero conto di quanto sia determinante l’elaborazione del progetto motorio per ottenere risultati soddisfacenti non delegherebbero certamente un istruttore che molto spesso ha pure fretta a quell’importante compito.

Chi non ha testa ha gambe e viene pure da dire che ha pure soldi da buttare perché alla fine chi non pensa a ciò che fa è anche costretto a spendere molti soldi per ricorrere a strutture private per gestire un attività fisica che potrebbe tranquillamente condurre in modo ottimale anche nel parco urbano più vicino a casa.