TECNICA DI CORSA: UN DISCORSO COMPLESSO

I tecnici di una volta curavano molto la tecnica di corsa. Adesso quella dinastia di tecnici è in via di estinzione. Dire che l’abbandono del dibattito sulla tecnica di corsa sia dovuto all’evoluzione delle tecniche dopanti è pressapochismo ma, se ammettiamo che con la diffusione del doping sistematico negli atleti di alto livello si è data via via sempre più importanza all’aspetto condizionale della preparazione, allora bisogna anche ammettere che, seppur in modo indiretto, le faccende sul doping hanno stravolto anche l’approccio tecnico alla preparazione.

E’ innegabile che nella preparazione moderna del campione si privilegi nettamente l’aspetto condizionale e, così facendo, gli aspetti legati allo studio del gesto sportivo nella sua componente prettamente tecnica ne risentono negativamente.

In effetti tutto ciò che riguarda la tecnica di corsa è terribilmente complesso. E’ molto difficile concentrarsi su essa ed i miglioramenti ottenuti con l’affinamento della tecnica di corsa si concretizzano in  tempi lunghi e non sono di sicuro accadimento. Inoltre ogni intervento veramente efficace sulla tecnica di corsa è anche sicuramente pericoloso da un punto di vista degli infortuni perché stravolge equilibri spesso molto consolidati promuovendone altri che richiedono veri e propri adattamenti strutturali all’atleta. Il processo di revisione della tecnica di corsa è un percorso molto lungo ed impegnativo che comporta una revisione dei circuiti nervosi legati al gesto ma anche un nuovo tipo di impegno per la struttura in toto. Non si può cambiare tecnica di corsa se non si cambiano, come minimo, anche i tempi di intervento dei vari muscoli nella catena cinetica del gesto corsa.

Pare che l’approccio più significativo attualmente sia quello della tecnica dell’esasperazione dell’errore che mira a fornire più informazioni possibile all’atleta per portarlo a scegliere la tecnica più idonea alla sua struttura.

In questo senso, almeno un po’ ci siamo evoluti perché si è capito che il mero contenimento delle devianze rispetto ad ipotetici modelli di riferimento, che non siamo mai riusciti a definire con una certa attendibilità,  non portava a risultati soddisfacenti.

Forse questa è una delle altre cause di allontanamento di buona parte dei tecnici dall’argomento tecnica di corsa. Quando si è capito che lanciare messaggi tipo “Alza le ginocchia!” oppure “Muovi di più le braccia!” non serviva a nulla allora invece che tentare di capire come si poteva fare per fornire informazioni più concrete ed utilizzabili si è preferito cambiare completamente argomento.

Triste notare come, anche accostandosi all’aspetto condizionale, ci si sia portati dietro la stessa filosofia e allora c’è qualcuno che dice “Comincia ad andare a frequenze cardiache superiori!” confondendo la causa con l’effetto come si faceva prima con il maldestro tentativo di “correggere l’errore”.

C’è un immagine cinematografica di un bel film di successo che ci illumina su questo discorso causa-effetto riferito alla tecnica di corsa. Il film è il famoso “Forrest Gump”,  dove il protagonista,  un ragazzino che non ha avuto una infanzia molto facile ed era costretto a portare addirittura dei terribili tutori ortopedici, in una scena chiave del film, rincorso da coetanei che lo vogliono picchiare, arriva a frantumare gli orribili tutori. La scena,  girata al rallenty,  in un colpo di maestria cinematografica è commovente e in un attimo ti fa capire che non si alzano le ginocchia per “correre di più” ma è proprio il fatto di correre meglio e più forte che ti porta ad alzare le ginocchia. Il ragazzino non si è messo con calma a rompere i tutori per scappare meglio ma aveva una disponibilità tecnica ed energetica al gesto corsa che ha rotto i tutori durante l’azione di corsa.

Come tecnici non siamo a rompere tutori ortopedici con pinze o martelli ma dobbiamo operare in modo tale che il ragazzino riesca a correre senza questi tutori, riuscendo pure a romperli da solo se gli vengono inopportunamente messi addosso. Ovviamente l’immagine è simbolica ma rende l’idea.

A volte operiamo in modo opposto, per esempio quando sottraiamo troppe ore di attività motoria a bambini che dovrebbero giocare molto di più e poi abbiamo la presunzione di insegnargli la tecnica di corsa a dieci anni quando non sarebbe certamente necessario. Il bambino di dieci anni deve poter contare su un alfabeto motorio di prim’ordine ed in quella fase non ha bisogno di recepire consigli sulla tecnica di corsa. Con la tecnica di corsa si può cominciare ad operare attorno ai 13-14 anni quando il gioco sportivo si sta evolvendo verso lo sport vero e proprio ma a quel punto avremo un bel da fare ad urlare “Alza le ginocchia” se si saranno concretizzati già deficit motori di una certa importanza.

Lo stesso errore lo commettiamo anche con riferimento alle categorie amatoriali. Molti ultraquarantenni si accostano alla corsa dopo lunghi anni di digiuno. Accade che questi siano curiosamente interessati alla tecnica di corsa e con loro diventa facile fare disastri. Gli schemi motori sono ormai consolidati e variare lo schema di corsa a quell’età diventa pericolosissimo. Ci si può ancora provare ma era molto meglio pensarci prima. Insomma parlando di tecnica di corsa il decennio che va fra i tredici ed i 22-23 anni circa è fondamentale. Agire prima non ha senso se il ragazzino si muove normalmente come deve muoversi un ragazzino della sua età, agire dopo è un po’ problematico e non molto incoraggiante dal punto di vista dei risultati.

Accade che i tecnici si “allenino” a riformulare consigli sulla tecnica di corsa proprio intervenendo su atleti delle categorie amatoriali e, piuttosto di niente, può andare anche così. Certamente lavorare tecnicamente su un atleta di alto livello non è come dare consigli ad un atleta della categoria amatori, ma se si deve ripartire da lì, ben vengano “orde” di quarantenni che non hanno una fretta maledetta di fare il risultato a tutti i costi e possono permettersi il lusso di attendere i lenti tempi dell’affinamento tecnico.