L’OSSESSIONE DEL CARDIOFREQUENZIMETRO

Sono ossessionato dal cardiofrequenzimetro. Eppure non lo uso mai. Ne sono ossessionato come tecnico nel senso che troppi atleti mi parlano di corsa sulle lunghe distanze tenendo come riferimento la frequenza cardiaca come primo e più importante parametro nella determinazione delle intensità di corsa.

Per me il cardiofrequenzimetro è il simbolo di una involuzione delle tecniche di allenamento avviata verso la fine degli anni ’70 e coincidente con la netta evoluzione delle pratiche dopanti relative agli sport di resistenza. I risultati degli atleti di alto livello sono migliorati di molto perché grande e molto significativa è stata la messa a punto di strategie lecite e meno lecite per innalzare a dismisura il livello di emoglobina del sangue degli atleti degli sport di endurance. Il dibattito tecnico, invece, è terribilmente scaduto e, per esempio, hanno cominciato ad estinguersi i tecnici che si occupavano di tecnica di corsa.

Attorno alla frequenza cardiaca come unico ed indiscusso parametro per la determinazione delle intensità di corsa vi è stato un vero e proprio appiattimento culturale.

Io ho sempre sostenuto che il cardiofrequenzimetro è utile per gli sportivi non agonisti cardiopatici che hanno come indicazione tassativa del loro medico curante quella di non superare certe frequenze cardiache.

Se l’atleta è un agonista non può avere di queste problematiche perché all’agonista cardiopatico non viene data l’idoneità agonistica e pertanto gli si vieta di prender parte alle gare. Ai non agonisti ritenuti sani ma preda di fobie da cardiopatia consiglio accurati controlli medici. Forse saranno un po’ costosi ma possono servire a liberare da una fobia che non è certamente buona compagna di viaggio in un’ esistenza che ha già molte insidie reali e non ha certamente bisogno anche di quelle inventate. In ogni caso un uso smodato del cardiofrequenzimetro non può certamente riuscire a limitare queste fobie e serve invece ad alimentarle.

Gli ipocondriaci possono sfogare il loro istinto d’ipocondria imparando ad ascoltare se stessi piuttosto che procurandosi una fastidiosa miopia da cardiofrequenzimetro. Si tratta di trasformare una mania in virtù. La capacità di ascoltare bene se stessi può essere una dote importante per chi pratica sport e non è certamente un vizio da condannare.  Al contrario chi usa troppo il cardiofrequenzimetro finisce per non ascoltare più le sensazioni di fatica e perde un importante parametro per la determinazione delle corrette intensità di allenamento. Non è che chi usa il cardiofrequenzimetro non senta la fatica (magari, useremmo tutti il cardiofrequenzimetro molto volentieri!) ma è meno abituato ad ascoltarla nella sua gradualità e dunque sa dosarla meno bene appunto perché si affida al solo parametro frequenza cardiaca per selezionare le intensità di carico.

Il tema della conoscenza della fatica è quasi una questione filosofica ed è comunque molto più attinente alla performance sportiva di quanto non lo sia la questione delle frequenze cardiache.

Senza andare troppo distante e stando sul “terra terra” vorrei concludere con un’osservazione banale che riguarda la tecnica di corsa e che necessita di una buona capacità di riconoscere la fatica.

Se stiamo facendo delle variazioni sulla tecnica di corsa e vogliamo valutare la maggiore o minore opportunità di queste variazioni avremo bisogno di percepire con una certa precisione le sensazioni di fatica per operare una prima scelta sul tipo di variazioni della tecnica di corsa da promuovere. L’atleta “insensibile” non riuscirà a rendersi conto dei benefici apportati da una certa variazione del gesto tecnico e sarà così poco attrezzato ad ospitarlo nel suo bagaglio culturale inerente alla corsa. Viene in mente il comico Renato Pozzetto che in un suo numero doveva fare tante facce diverse relative ad altrettanti stati d’animo diversi e finiva per fare sempre la stessa faccia, qui, al contrario, se l’atleta riesce a correre in molti modi diversi (ed è già una bella capacità perché… Renato Pozzetto non ci sarebbe riuscito!) ma percepisce sempre le stesse sensazioni vuol dire che quell’atleta è poco allenato ad ascoltarsi. Regalare un bellissimo cardiofrequenzimetro a quell’atleta per aiutarlo a selezionare la corsa migliore è prenderlo in giro: ha proprio bisogno di imparare ad ascoltarsi e per questo dovrà sviluppare delle sensibilità di corsa che nemmeno il cardiofrequenzimetro più evoluto sa spiegargli cosa sono.