LO SPORT CHE VERRA’

Lo sport risente dell’andazzo della società e così  stiamo assistendo ad uno sport sempre più dicotomico dove i ricchi sono sempre più ricchi ed i poveri sono sempre più poveri.

Qui, più che di danaro, che è comunque presente con enormi flussi a condizionare tutto lo sport, si parla di atteggiamento.

Invece che di fronte ad un unico sport che unisce gli sportivi ci si trova di fronte a due sport ben distinti che si separano sempre di più: lo sport televisivo e lo sport dei comuni mortali. La separazione è talmente netta che ormai fra le gesta di un eroe dello sport televisivo e l’attività motoria di un qualsiasi “tapascione” della domenica non c’è più alcun nesso. Eppure praticano lo stesso sport. Provengo da un’ epoca (e, per poco, ma non sono ancora in “terza età”…) dove l’atleta di valore, per esempio nelle corse su strada, correva ai 20 chilometri all’ora e competeva con il dilettante puro che poteva arrivare a correre anche ai 19, solo un chilometro all’ora più piano del grande campione. Non di rado il “professionista” (o chi per esso) era costretto a dare la mancia al dilettante perché non gli rompesse le uova nel paniere in gare che potevano avere un certo interesse. Ho assistito ad incidenti diplomatici da parte di atleti “qualunque” che non essendo stati “prezzolati” si sono concessi il lusso di battere qualche big. Questo era possibile quando la base era talmente elevata che i numeri due potevano offrire un  rendimento che talvolta era superiore a quello dei numeri uno. Adesso la differenza di livello fra i due tipi di atleti è abissale e, anche grazie al doping, gli atleti di vertice possono offrire una costanza di rendimento che li pone al riparo da sorprese e da beffe patite nello scontro con i meno performanti.

Tutto ciò, anche se è difficile da capire, era affascinante, perché voleva dire che fra il grande campione e gli altri non c’era questo divario incolmabile e pertanto era uno sport imprevedibile e per certi versi puro proprio per questo, alla faccia delle mance che circolavano per salvare la reputazione del leader.

Lo sport del futuro a mio parere è uno sport dove tutti tornano in gioco non uno sport dove il campione è tre scalini sopra agli altri. Non quello dove un atleta superpagato si allena perfino troppo e scava fra sé e gli altri un divario sempre più netto, non quello dove un dilettante non sa nemmeno da che parte cominciare per ambire all’attività di vertice se non accetta di farsi seguire da uno staff medico.

Lo sport dove  il professionista si confonde con il dilettante è lo sport perfetto perché vuol dire che non è estremizzato ed ha nella sua base una base autentica in grado di insidiare il vertice e soprattutto di stimolarlo e rifornirlo.

Se lo sport di vertice è la naturale continuità di una buona base con grande cultura sportiva allora quello è lo sport autentico. Laddove c’è una frattura fra i due tipi di sport siamo in presenza di due sport finti: uno gonfiato ed estremizzato che esalta troppo i suoi eroi ed uno depresso ed emarginato che non da speranza di successo ai suoi innumerevoli attori.

Lo sport che verrà è uno sport dove gli sponsor avranno più attenzione per la base, è uno sport dove il campetto di periferia avrà la precedenza sul grande stadio ed il campioncino costruito ed allenato sul proprio territorio avrà più risalto dello straniero acquistato con abili mosse di mercato.

Lo sport del futuro è lo sport dove chiunque sogna di diventare un campione e dove il campione perde frequentemente perché questa è la normalità fisiologica delle cose e non l’artificiale e pedissequa reiterazione dei successi dei soliti protagonisti che fa comodo solo a chi deve “pianificare” i successi per motivi commerciali.

Sono discorsi difficili da capire e pure da affrontare. Le istituzioni devono avere a cuore le sorti dello sport di base e devono finanziarlo perché solo in quel modo si può colmare quel gap mostruoso che si è creato negli ultimi decenni fra sport di base e sport di vertice. Solo uno sport di base veramente strutturato e capillarmente diffuso è strumento di quella prevenzione che è auspicata da tutti ma programmata da pochi.

Lo sport di vertice ha motivo di esistere in quanto traino dello sport di base che è ben più importante e non come fenomeno fine a se stesso con mera funzione di veicolo pubblicitario per marchi commerciali, senza alcuna funzione sociale.

La vera pubblicità lo sport la deve fare a sé stesso e non ai marchi commerciali. Quanto ai grandi sponsor i primi a capire queste cose saranno probabilmente i primi a dare un vero impulso allo sport nuovo e riusciranno ad ottimizzare la pubblicità solo rendendosi protagonisti di questo reindirizzamento degli obiettivi.