LE LEGGI “AD PERSONAM” DELLA IAAF

Di solito le leggi “ad personam” si facevano per parare il culo ad un politico molto influente che grazie ad una legge studiata apposta per lui riusciva ad avere particolari benefici quali salvare la poltrona o evitare la galera, un qualcosa di piuttosto scorretto ma fatto per aiutare una persona non per bastonarla.

Con le recenti disposizioni invece la IAAF è riuscita ad andare oltre a questo vecchio concetto: praticamente si è creata una legge “ad personam” per bloccare l’atleta Caster Semenya. Siccome questa riesce a vincere le gare senza doparsi e si vede che ciò da fastidio allora si costringe l’atleta a prendere dei farmaci che servano a farla andare un po’ più piano. Praticamente siccome l’antidoping continua a non aver la capacità di rilevare gli atleti che si dopano (e non ci riuscirà mai perché come diceva Marco Pantani “L’antidoping è sempre un passo indietro rispetto al doping”) si decide autonomamente quali sono gli atleti che devono andare più piano e li si obbliga a fare certi trattamenti. Così si va a controllare un po’ meglio il rendimento degli atleti.

Pietro Mennea, autore di un notevole libro sul doping dal titolo “Sistemi di occultamento del doping” libro che spiegava troppe cose sul doping e pertanto è stato debitamente occultato e non lo troverete mai su nessun scaffale di nessuna libreria, disse sul caso Pistorius una cosa con un grande valore profetico che si mostrò successivamente terribilmente azzeccata: “Non mi fa paura ciò che si vede nello sport ma ciò che non si vede”. Tutti vedevano che Pistorius gareggiava con delle protesi perché era senza gambe ma nessuno vedeva che Pistorius era dopato come molti altri atleti. La fine di Pistorius non è stata la sua anomala condizione di corridore con le protesi bensì la sua molto più normale ma al tempo stesso ingombrante posizione di atleta “normalmente” dopato. Pistorius non ha retto il doping e per colpa di quello si è rovinato la vita, non per colpa delle protesi che invece l’avevano reso un grande atleta, quale effettivamente era, al netto del doping. Mennea aveva perfettamente ragione, la cosa preoccupante era in ciò che non si vedeva.

Che l’atleta Caster Semenya abbia tratti un po’ mascolini si vede. E’ una donna ma è inutile che ci diciamo balle, non è il massimo della femminilità. E quanti ballerini invece hanno un po’ troppo accentuata questa femminilità? Forse per questo li costringiamo a prendere testosterone e impediamo loro di gareggiare se non  raggiungono livelli minimi di tale ormone? Come diceva Mennea non fa paura ciò che si vede ma fa paura ciò che non si vede.

Non sappiamo chi beneficerà dell’eventuale comprensibilissimo ritiro della forte ottocentista sudafricana se questa cosa dovesse avvenire. Sappiamo che l’eventuale trattamento dopante della subentrante non potrà rilevarlo nessuno perché le possibilità di rilevare il doping in chi si tratta in modo evoluto tendono allo zero. E’ pure possibile che le vittorie smarrite dalla Semenya vadano a premiare un’ atleta davvero pulita e al di fuori di ogni sospetto ma questo non esonera la IAAF dal fare una severa autocritica sulla questione: è la prima volta nella storia dello sport che si costringe un atleta ad assumere farmaci per partecipare a delle competizioni.

Mi auguro che la questione venga dibattuta perché se tutto dovesse risolversi con l’abbandono della pratica agonistica dell’atleta e un rapido passaggio all’oblio dell’intera questione allora l’atletica avrà perso un’ulteriore possibilità per avere un’ attività di vertice degna di quella di base. Al momento fra base e vertice c’è una dicotomia semplicemente imbarazzante.