Questo è un argomento tendente al tragicomico nel senso che la tensione pre gara la sanno controllare meglio di tutti i professionisti che sono quelli che da una gara fatta male possono rimetterci di più, però sono professionisti, hanno una grande maestria nel controllare la tensione pre gara, è il loro mestiere, e alla fine sanno quanto ci perdono perché riescono a quantificare con una certa precisione il danno che è essenzialmente economico e si predispongono pure “dei piani di salvataggio” con altre gare per compensare il danno anche prima dell’eventuale disastro in modo da mettersi più tranquilli. Insomma quando tutto è pianificato e le occasioni sono tante è anche più facile dominare la tensione pre gara.
La tensione pre gara è un argomento tendenzialmente tragicomico perché viene patita essenzialmente da bambini, vecchi ed adulti delle categorie amatoriali che sono quelli che dalle gare hanno solo che da guadagnarci in termini di salute e divertimento, eppure patiscono la tensione pre gara più dei professionisti tanto è vero che si dice “farsela addosso come un bambino…”. E’ ancor più tragicomico quando a farsela addosso per una gara è un arzillo settantenne o addirittura un giovane quarantenne che magari nell’attività professionale ha responsabilità assolutamente non trascurabili decisamente più pesanti di quelle derivanti dalla partecipazione ad una gara amatoriale.
In quest’articolo voglio affrontare queste categorie non perché voglio far ridere ma perché certamente se anche qualche professionista ha problemi di controllo della tensione pre gara non si mette a leggere “Personaltrainergratuito.it” ma va da uno psicologo che paga pure salatamente, perché vuole risolvere in modo professionale un problema professionale che rischia di costare molto.
La tensione pre gara di chi non avrebbe assolutamente nessun motivo per essere teso in realtà è un problema molto diffuso e conosciuto e se anche non ho toccato ancora alcun punto specifico sono convinto che c’è già qualche lettore che si è messo a ridere pensando a situazioni concrete che ha visto e/o addirittura vissuto in prima persona.
Partiamo dai bambini, che sono quelli che letteralmente se la fanno addosso perché in un crescendo di tragicomicità qualcuno potrebbe sostenere che nei bambini la cosa, per quanto poco grave, potrebbe apparire anche non del tutto ridicola, soprattutto quando sono i genitori a preoccuparsi perché il figlio ha una fifa blu prima della gara.
Beh, io dico che se il bambino ha una fifa blu prima della gara è buon segno perché vuol dire che ci tiene, che ha entusiasmo, che da importanza alla cosa. Mi fanno molta più paura i bambini che hanno paura dell’interrogazione scolastica e affrontano la gara con la padronanza emotiva di un professionista perché quelli hanno già perso il gusto del gioco e danno di sicuro troppa importanza alla scuola. E’ uno dei mali del nostro tempo perché si è trasferita la competizione dal campo sportivo ai banchi di scuola e ciò è certamente aberrante per una scuola che dovrebbe informare in modo sereno e non educare alla competitività sociale che sarà assolutamente necessaria in uno società che non trova lavoro per tutti. Praticamente la scuola invece di adoperarsi per ricostruire e riformare una società che fuori da scuola non trova collocazione per tutti, allena i ragazzini ad entrare nella società competitiva dove per farsi spazio bisogna sgomitare in tutti i modi perché non c’è spazio per tutti. E’ l’esatto contrario di ciò che ti insegna lo sport che ti dice di impegnarti lealmente senza sgomitare dopo, se la tua prestazione è sufficiente per vincere, bene, altrimenti amen, l’onore è stato partecipare. E’ per quello, anche per un fatto educativo, che io ritengo che la competizione deva essere ritrasferita assolutamente dai banchi di scuola ai campi sportivi dove può essere disciplinata con più successo. La competizione sui banchi di scuola fa sempre male perché tende ad emarginare i meno “performanti” e guasta anche il metodo di studio dei più bravi che si mettono a studiare per il voto e non per imparare (e sono due cose decisamente diverse).
Pertanto il problema dei bambini che se la fanno addosso prima della gara non è un loro problema che in realtà stanno vivendo intensamente la loro attività sportiva ed impareranno in poco tempo (gareggiando) a disciplinare questa emotività, ma è un problema dei genitori che devono semplicemente starne fuori, sdrammatizzando e semmai con poche semplici paroline dire che nello sport l’importante è divertirsi, non vincere. Assolutamente fuori luogo sentenze del tipo “Se fossi stato più rilassato rendevi di più!” che anche se è vero sono cose che non vanno assolutamente dette ad un bambino perché vanno a costruire un problema che non dovrebbe esistere. Spiate pure la tensione dei vostri figli ma non andatela a misurare e contestare perché è come chiedergli quando si sposa al bambino di dodici anni che ha la morosa di undici.
Entriamo davvero nel tragicomico quando andiamo su con l’età e qui permettetemi uno zig zag nell’analisi delle varie età ma vorrei passare direttamente ai “maturi-maturi” per tornare poi indietro su quelli non giovani ma nemmeno vecchi.
I “maturi-maturi” (70, 80, anche 90 anni…) sono un po’ come i bambini. Da vecchi si torna bambini recita un detto e anche se fisicamente purtroppo non è proprio così per certi tratti psicologici è invece proprio vero. Le persone anziane nei confronti dell’attività sportiva tornano al candore dei bambini. E’ per quello che, con tanto buon senso, io sostengo che a patto che non vi siano patologie assolutamente conclamate e gravissime bisogna dare l’idoneità sportiva anche a cento anni. Più si sale con l’età e più l’attività sportiva, con tanto buon senso, torna ad essere entusiasmante e salutare. Assolutamente inopportuno negare l’idoneità sportiva solo per limite di età raggiunto come se esistesse in qualche regolamento (non esiste una norma in tal senso), come sparare all’arzillo vecchietto che ha raggiunto i 100 anni e ormai è fuori dai conti dell’INPS che non aveva previsto tanto. C’è un ampio dibattito sull’eutanasia, questione spinosissima sulla quale non voglio entrare. Io dico che salvo che non sia pericoloso per gli altri (la questione della patente) non si può vietare ad un vecchio di 100 anni di lanciare il peso, di fare il salto in lungo o pure di provare a correre se ci riesce. Si può dirgli tranquillamente se rischia e cosa rischia (per esempio se ha l’osteoporosi deve assolutamente tentare di non cadere) ma porgli dei limiti di movimento vuol dire ammazzarlo prima del tempo. Qualcuno dice “Ma che faccia quello che vuole ma che non faccia gare…”. Ma fa le gare con quelli della sua età e così si diverte, come i bambini, non fa gare con quelli di 40 anni.
Ecco, dunque, che c’è qualcosa di quasi serio anche nelle gare dei novantenni dove però se il novantenne ha paura della gara come un bambino davvero arrivo a minacciarlo di non dargli l’idoneità perché allora vuol dire che non ha capito niente: gareggia con l’entusiasmo di un bambino ma non devi aver paura di nulla, non del risultato certamente e se hai paura di inciampare, di farti del male a quel punto dovrai serenamente pensare a smettere di gareggiare ma non perché te lo hanno imposto gli altri ma per quello che pensi tu, con la stessa filosofia con la quale decidi se attraversare la strada da solo o se devi farti accompagnare. Insomma il vero problema, più che l’idoneità fisica, è l’Alzheimer.
Dove proprio non ci sono questioni veramente importanti ma solo tragicomicità pura è in quell’ampia fascia amatoriale degli agonisti amatori ancora performanti e non anziani ma decisamente fuori dallo sport veramente agonistico: alludo a quella fascia di età compresa fra i 40 ed i 60 anni circa e lì veramente quanto ad atteggiamento agonistico ci si potrebbe scrivere un libro.
Ho una mia teoria in proposito su questa fascia di età ed è la seguente: la maggior parte degli atleti amatori anche straccioni e che fanno risultati assolutamente mediocri affrontano le competizioni amatoriali con una tensione emotiva che è tendenzialmente superiore a quella che ci si potrebbe razionalmente aspettare per un semplice motivo. Il motivo è che in realtà scaricano sulle competizioni sportive gli innumerevoli stress patiti tutti i giorni nelle situazioni lavorative e nelle altre situazioni della routine quotidiana. Inconsapevolmente l’attività sportiva diventa il contenitore di quelle ansie e la tensione pre gara di una banale gara amatoriale può diventare grottesca e tragicomica.
Ed allora è un po’ difficile smontare quella tensione perché se fosse con solo riferimento all’attività sportiva vera e propria sarebbe proprio opportuno smontarla anche per gustare di più l’attività sportiva oltre che per rendere meglio, ma se consideriamo tutto il contesto psicologico (per non dire psichiatrico…) del soggetto andiamo a vedere che quella tensione è una vera e propria manna dal cielo e consente di affrontare con maggior serenità problemi che sono di portata davvero rilevante. C’ è gente che occupa posizioni professionali importanti e non può permettersi il lusso di farsela addosso proprio nell’esercizio della propria professione. Sono gli stessi soggetti che vanno a fare le gare e poi commentando la gara dicono: “Se fossi stato meno teso avrei reso di più e avrei corso più forte” ed hanno proprio ragione a dire così ma si dimenticano di rilevare che scaricare tutta quella tensione non è stato necessario per rendere di più in gara ma per risistemare al meglio una sfera psichica fortemente minata dagli stress quotidiani. Praticamente uno crede di avere lo stress per la gara ma in realtà lo stress ce l’ha per ben altre tensioni che non c’entrano nulla con la gara.
E così vedrete l’atleta di categoria amatoriale che drammatizza se perde una trentasettesima posizione che era alla portata solo concentrandosi un po’ di più. Un po’ di sana tensione in effetti può esistere anche per queste gare ma io penso ad una ristretta cerchia di poche persone in contesti dove su 5000 atleti di un po’ troppo tesi ne trovi 3 o 4 mila, non tre o quattro, tre o quattro “mila” cioè la stragrande maggioranza. Io posso pensare con una vena di romanticismo a quel master che è trent’anni che gareggia nei master, non ha mai vinto un titolo mondiale di categoria e ci va sistematicamente vicino. E quello è quasi un problema esistenziale più che di sport e lo capisco pure teso l’ennesimo giorno che per chissà quale stramaledetto motivo perde ancora di un soffio l’opportunità di diventare campione mondiale. Magari non ci perde un quattrino perché è un vero dilettante anche se è quasi il numero uno del mondo della sua categoria però a livello sportivo io capisco anche che possa provare forti emozioni. Ma quanti sono in una situazione del genere? Gran pochi. Non c’è nemmeno quello che continua a vincere che ad un certo punto che vinca 7 oppure 8 titoli non cambia proprio nulla. Per cui le situazioni per le quali per un grande rispetto, quasi a livello di sacralità, dello sport si può arrivare a sentirsi coinvolti in tutto e per tutto sono decisamente rare. L’atleta master comune, quello che da grande importanza al piazzamento qualsiasi è certamente un atleta che si sta divertendo con lo sport ma quando esagera quasi sempre lo fa per difendersi da altre situazioni di stress. Porta lo stress su un campo dove lo si può patire senza disastri (al massimo va male la gara…) ed in quel modo lavora per toglierlo da altre cose importanti. Il mio punto di vista è che quando un atleta di questo tipo fa il tragicomico la situazione è davvero tragicomica e li è proprio opportuno riderne ma magari non parte proprio da quell’ambito ed è solo il punto di arrivo di altre situazioni.
La mia ricetta per la “giusta tensione” nelle gare non esiste. Certamente molte volte la giusta tensione potrebbe sembrare ben inferiore a quella realmente patita dagli atleti ma questa considerazione vale esclusivamente da un punto di vista sportivo ai fini del rendimento della gara. La tensione in realtà è frutto di situazioni complesse e come si scopre che il tifoso da galera in realtà non ce l’ha proprio con il tifoso ultras della squadra avversaria ma con la società intera, così il master che drammatizza il 37° posto in classifica in realtà sta fuggendo da altre situazioni di stress ben più significative.
Una buona dose di umorismo è sempre utile per condire tutto, io non riesco ad avere senso dell’umorismo quando vedo che un genitore rimprovera un bambino dicendo “Se stavi più rilassato potevi correre molto più forte…” ma ce l’ho quando vedo i master che anche se fanno risultati molto modesti sembra che si stiano giocando la convocazione per le Olimpiadi.