LA MEDICALIZZAZIONE DEL CAMMINO

Una cosa che mi fa imbestialire è  quando sento parlare di “cammino veloce” come unica opzione possibile per mantenere buoni condizioni di salute anche con riferimento a persone di una certa età che hanno già qualche problema di deambulazione e che da anni non sono più abituate a camminare con costanza su tratti abbastanza lunghi. A ciò si aggiunge in modo sconsolato: “Se si cammina piano non serve a nulla…” sempre senza fare importanti distinguo con riferimento alle caratteristiche fisiche dei destinatari di tale insinuazione e allora lì mi prende la disperazione. Alla base di queste bufale sta un concetto piuttosto diffuso di “medicalizzazione” del cammino che nasce per motivi tutt’altro che trascurabili: ormai il cammino non è più visto come quella cosa normale che bisogna “utilizzare” nella vita di tutti i giorni per i propri spostamenti bensì come quella medicina che serve per rattoppare un buco di sedentarietà colossale rimediato con stili di vita tutt’altro che salubri. Questa falla deve essere chiusa urgentemente ed allora non ci si limita a dire che bisogna camminare di più ma bisogna pure camminare veloce come se camminando veloce fossimo in grado di porre rimedio al problema in modo più urgente.

La medicalizzazione del cammino, anche se quasi giustificata da emergenze del nostro tempo (ormai camminare è diventato davvero una medicina) è un ulteriore rischio per il nostro atteggiamento nei confronti del cammino, per il nostro “gusto” per il cammino quotidiano.

Se camminare è una medicina non lo si fa più normalmente, in modo spensierato ma ci si pensa su, tentando di fare i giusti dosaggi, senza sgarrare, allora camminare diventa un obbligo e, come tale può diventare anche abbastanza noioso.

Il cammino veloce oltre che irrazionale per soggetti che non se lo possono permettere è il sigillo di questa coercizione. Devi camminare in un certo modo perché altrimenti non serve a nulla. A parte che non è vero che non serve a nulla nemmeno con riferimento ai giovani che hanno ottima disponibilità al movimento, a parte che se uno cammina in piena digestione fa decisamente meglio se cammina piano che non se cammina veloce al punto che la camminata lenta facilita la digestione mentre quella veloce può bloccarla, a parte questi dettagli non del tutto irrilevanti ce n’è come minimo un altro decisamente rilevante che non può essere trascurato. Da un punto psicologico il cammino lento può essere il miglior antidoto allo stress che ci sia, molto meglio del cammino “veloce” che, in certe circostanze può anche essere fonte di ulteriore stress.

Ci siamo ridotti alla necessità del “cammino veloce” perché abbiamo perso il gusto per il cammino, abbiamo perso le occasioni per camminare, abbiamo perso l’abitudine per il cammino. Se una persona cammina abitualmente e cammina per 30-35 chilometri alla settimana che non è certamente questo carico mostruoso ma fa comunque bene alla salute non è costretto a star lì a controllare la velocità del cammino tutte le volte che cammina perché molto naturalmente, quando ha fretta camminerà più veloce (e sa farlo perché chi cammina normalmente tutti i giorni sa anche camminare un po’ più in fretta) e quando non ha fretta potrà pure tranquillamente permettersi il lusso di camminare più piano perché comunque il suo carico totale di cammino non obbliga a nessun controllo dei ritmi. E’ vero che chi segue un piano controllato di cammino veloce può anche giungere ad un allenamento cardiaco che è un po’ più interessante di quello ottenuto dal camminatore “casuale” ma il camminatore casuale se cammina da sempre ha quasi certamente una condizione organica più che accettabile e se non ha mai camminato la casualità del suo inizio potrebbe essere quella importante mossa che lo rende quasi una persona normale (perché purtroppo il sedentario di lungo corso non può essere considerato una persona normale, almeno da un punto di vista organico).

Mi imbestialisco quando si parla di cammino veloce come di un’unica opzione per mettersi in salute in fretta perché ritengo che in fretta non si faccia nulla e che l’arma del cammino sia troppo importante per rischiare di spuntarla proponendola in modo maldestro a chi ormai ha anche qualche problema nel camminare normalmente.

Pertanto la cosa da fare è tentare di creare un approccio positivo (e magari pure rilassato…) al cammino, trasmettendo entusiasmo e tentando di far rinascere il gusto per il cammino che deve rientrare nella quotidianità senza ansie.

Ovviamente alle parole devono seguire i fatti ed allora veloce o lento che sia il cammino deve essere soprattutto sicuro e salubre e pertanto i marciapiedi devono venire curati almeno con la stessa cura con la quale si esegue la manutenzione delle tangenziali, le strisce pedonali devono essere ben segnalate, collocate in modo razionale e soprattutto rispettate e non ignorate dagli automobilisti come accade ancora troppo spesso e le strade devono essere luoghi frequentabili anche dai pedoni oltre che dalle auto, anzi nei centri abitati direi soprattutto dai pedoni (ma anche dalle biciclette) più che dalle auto. Se queste condizioni vengono soddisfatte allora l’opzione cammino veloce o lento non diventa più di fondamentale importanza perché il pedone che cammina abbastanza tutti i giorni può benissimo scegliere a seconda del suo umore come camminare. Se invece non è un pedone ma un malato di sedentarietà che ha solo poco tempo da dedicare al cammino in una giornata terribilmente sedentaria quanto oberata da impegni di ogni tipo allora si può rischiare di dover ricorrere al cammino veloce per ottimizzare i tempi (chi cammina poco se cammina anche piano in effetti fa proprio pochino…) ma quello è aggiungere altro stress allo stress.