LA GUERRA DIMENTICATA: L’ACCIAIERIA DI TARANTO

A volte vengo preso per un bambino capriccioso che sogna città a misura d’uomo, dove si può tranquillamente circolare in bicicletta in un contesto sufficientemente salubre, con un’aria accettabile e magari senza rischiare la vita in mezzo ad un traffico indecente che non ha alcun rispetto per pedoni e ciclisti.

Vengo preso per un bambino capriccioso e viziato perché le mie istanze di insegnante di educazione fisica che pensa che la vera prevenzione sanitaria si faccia con l’attività motoria di tutti i giorni non fanno i conti con il nostro reale contesto economico, dove la necessità di rendere le città “scorrevoli” e facilmente attraversabili dal traffico automobilistico è requisito essenziale per non frenare il sistema produttivo e dove, per esempio, anche un solo stallo per il parcheggio di un’ auto, che sarebbe opportuno abbandonare per far posto ad una pista ciclabile, può rendere fino a 5000 euro alle casse comunali.

L’economia fa a cazzotti con la salute, fa a cazzotti con gli idilliaci e bucolici progetti di una città contro lo stress e non “per” lo stress.

Tutto ciò mi pare terribilmente vero e sento che le motivazioni di chi mi critica in tal senso sono decisamente fondate quando mi confronto con una guerra pressoché dimenticata ma ancora in corso nel nostro paese: quella della città di Taranto contro la sua acciaieria.

E’ una guerra subdola che dura da tanti, ormai troppi anni e che non finisce mai perché i cittadini stessi hanno paura a concluderla. Hanno paura che le fine di quella guerra coincida con la fine della possibilità di trovare lavoro in quella città. I diritti dei lavoratori contro il diritto alla salute. Ed io questo lo definisco il grande ricatto perché in un paese civile deve esistere il diritto al lavoro anche senza rischiare la salute. Se c’è un posto sbagliato per prevedere la produzione di acciaio è proprio Taranto per il semplice motivo che per troppi anni in quella città si è tentato di produrre acciaio in quantità folli e quel progetto ha seriamente minato la salute degli abitanti di tutta la città. A questo punto o si spostano tutti i tarantini in un’altra città per tutelare la loro salute o si sposta la produzione di acciaio in un’ altro luogo, senza ripetere gli errori che sono stati commessi a Taranto e si pensa a come tutelare il lavoro dei tarantini riconvertendo quell’area ad un’ utilizzazione che purtroppo non può più aver a che fare nulla con la produzione di acciaio per colpa dei disastri causati in passato.

Non ha senso pensare a città “normalmente” vivibili se esiste una Taranto che non ha ancora risolto il suo drammatico problema.

E allora penso a quella dottoressa un po’ originale che proprio a Taranto ebbe il coraggio di prescrivere un’ora di gioco libero al giorno ad un bambino che non stava troppo bene ed aveva proprio bisogno di giocare per riacquistare la salute. All’epoca scrissi che quella prescrizione avrebbero dovuto farla chissà quanti pediatri sparsi per tutta l’Italia magari mettendosi in contrasto con una scuola che tende a dimenticare queste priorità fondamentali per la salute di tutti i bambini.

Cito spesso Taranto, come guerra dimenticata e come caso che non deve far rinunciare all’ambizione di città più salubri. E’ proprio perché esiste Taranto, città simbolo di questo primato dell’economia sulla salute, che questa lotta è sacrosanta e come non sono capricciosi i cittadini di quella città che pretendono di vivere in una città sana, non lo sono nemmeno i cittadini delle altre città italiane che, pur non avendo un’acciaieria che ammorba l’aria, hanno molto spesso problemi trascurati ed irrisolti che abbassano la qualità della vita in modo drammatico.

Non si tratta di costruire citta “campo giuochi” a misura di bambini ed anziani che possono tranquillamente vivere in un tempo fuori dai tempi come se la realtà produttiva non esistesse, si tratta semplicemente di capire che nelle città esistono i bambini ed anche gli anziani ma non solo, che anche le persone nel pieno dell’età produttiva hanno il diritto di poter sperare di campare a lungo senza avere un’alta probabilità di non arrivare nemmeno all’età pensionabile per colpa di accidenti provocati dai disastri ambientali che non sono esclusiva prerogativa della città di Taranto perché in altra forma esistono un po’ dappertutto.

Abbiamo bloccato quasi del tutto il paese per un paio di anni per colpa di un virus che pur avendo fatto molti danni ne ha fatti certamente meno di quelli che sta facendo un ambiente abbandonato alle esigenze dell’economia. Forse è il caso di ripensare ad un tipo di economia che abbia attenzione alla qualità della vita senza bloccare del tutto il paese ma semplicemente rivedendo il sistema produttivo ed adeguandolo ai nuovi tempi. Fra mille errori la lotta al Covid può averci insegnato questo, che con molta attenzione, si possono anche rivedere gli obiettivi economici per tutelare la salute della popolazione.

A quel punto anche la possibilità di andare in bicicletta e a piedi nelle nostre città può risultare non un assurdo capriccio ma una fondamentale esigenza di salute. Il vero capriccio, semmai, è voler continuare a produrre con il paraocchi, come se nulla fosse, solo per tutelare gli interessi di chi su questo sistema produttivo ci ha sempre mangiato gran tanto e continua a mangiarci su anche se i tempi sono drammaticamente cambiati.