LA FATICA SECONDO PTG

Curiosando su Internet cosa pubblica la “concorrenza” mi sono imbattuto su un articolo che riguardava la fatica. L’ho letto attentamente ed invece di mettermi a criticare un articolo che non è criticabile ho deciso di scriverne uno io, non direi di segno opposto ma decisamente diverso.

L’articolo in questione affrontava “tecnicamente” l’argomento fatica e lo sezionava in più parti parlando di diversi tipi di fatica dovuti a diversi tipo di impegno fisico, da un punto di vista muscolare, da un punto di vista organico.

Io vorrei affrontare il problema della fatica da un punto di vista dell’approccio scientifico sul sesso degli angeli. Non sto scherzando, penso che sia la miglior lente per ispezionare il cavillo sul problema della fatica.

E’ inaffrontabile da un punto di vista scientifico il problema della fatica. Ricordo benissimo quando ho fatto il mio personale sui 1500. Sono passati quasi 30 anni. Non ho fatto fatica, non come la maggior parte delle altre gare. E’ per quello che qualche mese più tardi mi sono infortunato in modo irrimediabile. Visto che nella gara del record personale non avevo fatto fatica mi ero messo in testa che ero un millecinquecentometrista con un buon potenziale. Ma mi ero dimenticato che anche quando ho fatto il mio record sugli 800 non ho fatto fatica e così anche quattro anni prima quando il giorno del mio record sui 3000, dopo aver sentito il tempo, ho ricominciato a correre come uno scemo perché era il mio primo “record sociale”. Ho fatto una fatica atroce sette anni più tardi quando al suono della campana di un’altra gara sui 3000 metri ho sentito il tempo ed ho capito che avrei dovuto correre quel giro molto forte per ritoccare il mio record sui 3000 che ormai aveva già sette anni. Nonostante quella fatica l’ho eguagliato al decimo. Non una rincorsa di 400 metri ma una rincorsa di sette anni. Ed è stata una rincorsa un po’ faticosa perché era la rincorsa di uno che ha sbagliato qualcosa. Ottimo a 18 anni quel tempo si rivelava piuttosto disastroso a 25 e presagiva l’inizio della fine.

Probabilmente qualcuno potrebbe sospettare che la fatica per me abbia un significato psicologico più che fisico. Forse non è del tutto vero. Io la fatica più grossa penso di averla fatta per spostare in là di qualche mezz’ora la dose di analgesico durante un mal di denti insopportabile destinato a risolversi con un’estrazione. Non mi risulta di aver mai fatto fatiche così grosse in gara o in allenamento.

Altre fatiche quasi insostenibili le ho fatte rinunciando a correre in momenti nei quali avevo una gran voglia di correre ma per rispettare il precario stato di salute dei miei tendini dovevo rinviare la corsa. Un’altra fatica piuttosto consistente la ricordo a proposito di un campionato provinciale di Maratona dove arrivai 4°, feci fatica perché non ero allenato ma la feci per evitare una fatica superiore che era quella di non correre. Era circa un mese che correvo poco per colpa di un infortunio che mi aveva troncato la preparazione in vista di quel campionato provinciale. La mattina della gara avevo la sveglia per andare a vederla. A quei tempi ci si poteva iscrivere anche il giorno stesso della gara. La sveglia non suonò, mi svegliai ben prima e decisi che andare a vedere quella gara era una fatica insostenibile, andai a farla. Fu comunque faticoso (unica delle mie sei maratone corsa con la seconda metà più lenta e decisamente critica) ma certamente meno che subirla da spettatore.

Esiste indubbiamente una fatica fisica dalla quale, se vogliamo correre a lungo, dobbiamo tentare di stare alla larga, ma c’è una fatica psicologica che è più facilmente definibile e non necessita dello strumento di indagine scientifica riservato alla rilevazione del sesso degli angeli per essere determinata che è quella di chi fa qualcosa che non ha voglia di fare. Un impiegato postale, se in conflitto con il suo mestiere, può pure fare nelle ultime due ore della sua giornata più fatica del primatista del mondo di maratona mentre stabilisce il record del mondo. Il primo si sta conquistando il Paradiso ma non se ne rende conto, il secondo sta conquistando solo un record del mondo ma ha un’infinità di segnali confortanti in proposito che gli attenuano il senso di fatica. Sono convinto che se solo l’uno per cento di quei segnali confortassero l’impiegato di posta che sta concludendo la sua giornata questo farebbe certamente meno fatica del maratoneta come può sembrare anche più logico ad un primo esame della questione.

La fatica è fisica, è la sua percezione ad essere psicologica. Alla fine possiamo sopportarne un certo carico fisicamente pena il decadimento fisico, e possiamo sopportarne un certo carico anche psicologicamente. Siamo portati a scansare più tempestivamente la fatica psicologica di quella fisica. E mentre quella fisica se siamo ben preparati psicologicamente la affrontiamo e la incassiamo con una certa eleganza, quella psicologica possiamo anche essere preparatissimi da un punto di vista fisico che tentiamo sempre di evitarla perché è comunque pesante.

La fatica non è certamente solo una condizione mentale. Isolare quella fisica da quella psicologica per poterla misurare secondo qualche parametro è ben più difficile che determinare il sesso degli angeli.