IL TRAMONTO DEL “CORTO VELOCE”

Il “corto veloce” era (non so se si possa ancora dire “è”) un mezzo di allenamento adottato da moltissimi atleti che negli ultimi anni è andato un po’ in disuso. A parte i velocisti puri, praticamente tutti gli atleti che praticavano le distanze di corsa dai 400 metri in su lo adottavano abbastanza sistematicamente come elemento della preparazione per quasi tutto l’anno. Gli unici che lo usavano un po’ meno erano proprio i maratoneti che tendevano a sostituirlo con dei “medi” a buona intensità oppure con dei “corti” che di corto avevano ben poco perchè spesso sforavano di molto dagli 8 “canonici” chilometri del corto.

Il corto è andato in disuso perchè adesso siamo tutti dei maratoneti, o per dirla in altro modo, un certo tipo di atletica è andata in crisi.

E’ vero che il “corto” era un mezzo di allenamento un po’ faticoso ma non  è che la fatica sia stata abolita dagli allenamenti moderni, anzi. Essenzialmente i maratoneti non hanno tempo per mettersi lì a fare il corto. Per loro il corto è un “non allenamento” nel senso che se non corrono almeno 10 chilometri a seduta non si cambiano nemmeno. Così il corto è stato sostituito con allenamenti simili ma molto più consistenti in volume che più si adattano alle esigenze dei maratoneti. Praticamente il maratoneta trova il sistema per correre ad andature sostenute ma lo fa inserendo queste in un contesto di una seduta che quasi sempre supera i 12 o 13 chilometri e così si sono inventati le “frazioni di corto veloce” da ripetere più volte o le prove ripetute lunghe che sono più o meno la stessa cosa corsa in pista. Nelle frazioni di corto spesso si corre su percorso extra pista, nelle ripetute lunghe si corre in pista ma, più o meno, la sostanza è quella. Il maratoneta finisce per correre in pista a ritmi anche abbastanza lenti che una volta svolgevamo solo fuori pista e lo fa perchè in pista riesce a tarare meglio l’andatura e lo fa pure perchè a correre sempre su strada forse si annoia anche un po’. Come corridori di distanze medie eravamo costretti ad andare in pista in molte sedute del nostro allenamento, appena si poteva fare qualcosa fuori pista se ne approfittava e, ai ritmi del “corto” era certamente possibile uscire dalla pista.

Il corto è stato assassinato nei suoi concetti base dal cardio frequenzimetro. Il corto era il classico allenamento programmato solo parzialmente e non nei dettagli della sua esecuzione e non era certamente previsto con precisione l’esito del suo svolgimento. Non era una gara ma un pochino ci assomigliava. Il problema era riuscire a distribuirlo con una certa razionalità e gli atleti più evoluti si distinguevano dai principianti perchè questi ultimi partivano sempre a palla nel corto finendo con acidificazioni notevoli e dimostrando di non essere capaci di gestire questa seduta di allenamento. L’avvento del cardio frequenzimetro ha praticamente assassinato il corto e ne ha stravolto i suoi principi. Un corto con il cardio frequenzimetro non è un corto per il semplice motivo che questo allenamento deve essere sempre corso a sensazione anche in base allo stato di forma dell’atleta e mai in base a frequenze cardiache prestabilite o ancor meno a ritmi vicini in un certo modo alla presunta soglia. E’ chiaro che con la famigerata soglia il corto ci aveva a che fare se è vero che era la seduta di allenamento che ti portava alle frequenze cardiache più alte ma dalla esatta localizzazione di questa non si faceva certamente condizionare.

Il corto, essenzialmente, era lo strumento con il quale gli ottocentisti ed i  millecinquecentisti miglioravano la loro potenza aerobica e lo adottavano in luogo delle ripetute lunghe che usavano molto più raramente e con altre finalità. Lo usavano anche i quattrocentisti, soprattutto nel periodo invernale, proprio per evitare di andare in pista a sollecitare certe doti che potevano benissimo essere sollecitate su un percorso sull’erba. Ovviamente lo usavano molto anche i cinquemila e diecimilametristi che riuscivano a correrlo a ritmi molto significativi in tutto il periodo dell’anno. Per alcuni corridori dei cinquemila e diecimila metri si può quasi dire che il corto fosse il principale mezzo di allenamento e riusciva anche, almeno parzialmente, a sostituire i “ritmi gara”, cosa che per ovvi motivi, non poteva avvenire per i mezzofondisti veloci. Un cinquemilametrista in grado di correre bene il corto poteva dichiararsi già in forma, un ottocentista che correva bene il corto al più poteva affermare di aver svolto con successo il lavoro di resistenza generale ma doveva certamente concentrarsi poi sulla resistenza specifica per poter trasformare quei miglioramenti in un qualcosa di veramente utile per la sua specialità.

Tutto ciò è descritto come se queste fossero cose di tempi andati. In realtà attualmente ci si concentra molto di più su altri mezzi di allenamento e ci sono molti specialisti di tutte le distanze, sia su pista che su strada, che il corto lo corrono gran poco. Corrono comunque ad andature utili a stimolare certi meccanismi ma non più con le modalità del corto. Quello che si è perso del corto è l’idea di andare sul campo a fare una “quasi gara”. Per certi versi, forse, questa non è una brutta idea perchè una “quasi gara” in allenamento può anche essere divertente certe volte ma molte altre può diventare anche stressante. C’è che questa “quasi gara” si risolveva quasi sempre in 20-30 minuti al massimo, che era la durata suggerita dai tecnici per l’effettuazione del corto appunto, mentre adesso anche se non si affronta la “quasi gara” si finisce per correre un’ora o più anche il giorno dei “ritmi vicini alla soglia” (si è allungato pure il modo di chiamare questa seduta di allenamento…).

Difficile dire i pro ed i contro di questo nuovo atteggiamento, ognuno la vede a modo suo e può descrivere cose diverse. In modo abbastanza desolante, fra il comico ed il romantico io dico che, sarà perchè sono vecchio, ma sono molto affezionato al “corto” e trovo le metodiche attuali piuttosto pallose e monotone. La grande differenza è la premeditazione. E’ come uscire con una ragazza e sapere tutto per filo e per segno cosa accadrà: complimenti, hai in mano la situazione ma non so quanto possa alimentare l’entusiasmo un atteggiamento del genere. Insomma io vedo un po’ troppi “ragionieri” in giro anche fra i podisti amatori e non penso che sia un modo per risparmiare fatica ma forse solo un modo per pensare di meno all’allenamento. Siccome è tutto programmato tu hai poco da pensare, devi solo correre a quel ritmo, le sensazioni non contano, se centri il ritmo bene altrimenti devi ritararlo (e per quello si usa tanto la pista…). Quello che dice il tuo organismo non conta, se la preparazione è corretta dovrà comunque adattarsi. Nel corto c’erano altre immagini, altre frasi del tipo: “Oggi ho dato l’anima…” oppure “Oggi mi sono sentito bene, avevo margine” ed in ogni caso tutte queste cose potevano starci perchè il corto era un corollario di sensazioni e non un test a crocetta del tipo “Ritmo giusto o ritmo sbagliato”. Non c’è niente da dire eravamo dei pressapochisti, o dei romantici, a seconda dei gusti. Ma ho la sensazione che riuscissimo a vivere l’attività sportiva con più coinvolgimento emotivo. Forse sono solo sensazioni e la mia è semplicemente vecchiaia e non riesco per questo ad apprezzare l’entusiasmo di un cardiofrequenzimetro che ti può far dire: “Oh, mitico! Ho corso tutta la seduta a 170 battiti al minuto!”.