COMPLESSITA’ DELLA SCELTA NEURONALE

Nella contrazione muscolare dividere una componente neuronale da una tipicamente muscolare è puro dogmatismo scientifico, astrazione per far comprendere che il muscolo da solo non fa nulla se non riceve degli impulsi elettrici che possono essere anche più complessi di quanto si possa immaginare e che il solo circuito nervoso per quanto complesso, perfettamente funzionante e messo a punto non possa fare nulla se non può disporre di un muscolo che riceve lo stimolo e compiere materialmente l’atto motorio “disegnato” dalle mappe cerebrali.

Allora non potremmo scindere un ipotetico discorso neuronale da uno tipicamente muscolare quando parliamo di preparazione sportiva perché i due sono imprescindibilmente interconnessi e non possono funzionare l’uno senza il sostegno dell’altro. Non c’è movimento senza impulso nervoso (volontario o involontario che sia) non c’è movimento senza muscolo che esegue quel determinato movimento.

Però come teorici del  movimento siamo sempre qui a romperci le balle (ed io sono uno di quelli più incalliti perché questi sono discorsi, come vedremo, anche piuttosto superati dalla dottrina corrente) sulla disputa fra approccio “neuronale” al movimento oppure approccio di tipo condizionale, muscolare, alla fine studiato nei suoi aspetti biochimici.

Sul perché la ricerca scientifica negli ultimi 30-40 anni abbia fatto finta di concentrarsi sul primo aspetto per poi concentrare quasi tutti gli sforzi nella messa a punto di protocolli per la regolazione biochimica del secondo aspetto ho una mia teoria del tutto personale.

La ricerca scientifica nel movimento è condizionata molto dallo sport di alto livello e questo per funzionare bene ha bisogno di risultati immediati e sicuri. Mentre la ricerca sugli aspetti neuronali del movimento ha una infinità di variabili, non da alcuna garanzia di successo e non può assolutamente dare risposte utili in tempi brevi, al contrario la ricerca sugli aspetti biochimici del movimento è abbastanza avanti, da risposte per certi versi più confortanti e di facile lettura ed è riuscita a dare un importantissimo contributo (oserei dire fondamentale) per il mantenimento di risultati di altissimo livello nello sport di vertice con la continuità ricercata da questo tipo di spettacolo.

Ci si sposta poco e si investono poche energie nella ricerca sugli aspetti neuronali della prestazione sportiva perché è un territorio impervio, non da risultati sicuri ed espone al rischio di errori clamorosi che  possono mandare completamente fuori fase un atleta che vuole allenarsi secondo i principi di quel tipo di preparazione.

Io dico che se è vero che lo sport professionistico ha le sue leggi e non può fare a meno di un  certo tipo di risultati lo sport dilettantistico, che è quello che riguarda la maggior parte dei comuni mortali, dovrebbe potersi permettersi il lusso di investire risorse, ricerca e pure passione negli aspetti complessi della preparazione quali quelli che riguardano la conduzione nervosa.

Purtroppo lo sport dilettantistico ha il brutto vizio di scimmiottare anche nei suoi aspetti meno edificanti lo sport di vertice e così l’ ansiosa ricerca del risultato a tutti i costi va ad infiltrare in modo piuttosto triste anche questo tipo di sport.

Prova ne sia che l’istituto dell’antidoping, istituto che costa tantissimo danaro pubblico, è tenuto in piedi essenzialmente per bloccare una certa elite di atleti dilettanti che cascano negli anacronistici controlli antidoping e patiscono squalifiche che secondo lo spirito dell’istituto dovrebbero essere esemplari per il comportamento della gran massa degli sportivi. C’è che a certi atleti dilettanti delle squalifiche “esemplari” non gliene frega proprio nulla e continuano a scimmiottare alcuni modi di agire che secondo loro (e questo “secondo loro” è molto importante ai fini della cultura sportiva…) sono tipici dei protagonisti dello sport professionistico. In realtà come si trattano davvero gli atleti professionisti i dilettanti non lo sanno assolutamente perché i vari protocolli di intervento sono assolutamente secretati e non potrebbe essere altrimenti se è vero che a fronte di un uso dei farmaci che da parte dei professionisti è di circa 20-30 volte superiore percentualmente rispetto ai dilettanti la percentuale di atleti professionisti fermati dall’antidoping è pressoché sovrapponibile se non addirittura inferiore a quella degli atleti dilettanti. In poche parole i  farmaci nello sport sono usati essenzialmente nello sport professionistico, per lo meno nella loro utilizzazione a fini di miglioramento della prestazione sportiva ma le irregolarità all’antidoping vengono rilevate quasi esclusivamente in ambito dilettantistico.

Questo aspetto un po’ aberrante dello sport io penso che andrebbe affrontato facendo cultura nel mondo dilettantistico dello sport e sottolineando il fatto che perseguire la via del miglioramento degli aspetti biochimici nella preparazione dell’atleta dilettante sia una via semplicemente idiota perché il tipo di miglioramenti richiesto a questo tipo di atleta non è assolutamente tale da giustificare questa scelta. L’atleta di alto livello usa farmaci perché si allena molto, ha un’assistenza medica di altissimo livello ed è praticamente sicuro, se non fa di testa sua, di non incorrere in alcuna sanzione all’antidoping perché si sottopone a trattamenti che non sono assolutamente rilevabili: in una parola non è nemmeno dopato e se insinui questo può pure denunciarti per calunnia. Anche l’atleta dilettante non è dopato, anzi in confronto al professionista non lo è proprio per nulla, ma per la giustizia sportiva invece lo è perché magari fa uso di sostanze appartenenti al vetero doping assolutamente inopportune e magari pure pericolose che non possono certamente farlo competere con il professionista superassistito ma che possono dargli l’illusione di aver operato in modo da poter ambire ad un incremento di prestazione sportiva decisivo. In realtà quel modesto incremento di prestazione sportiva non è assolutamente decisivo e quel dilettante continua a restare un dilettante senza assistenza medica e magari continua pure ad assumere farmaci come un cretino nell’illusione di migliorare ancora fin tanto che non casca nella rete dell’antidoping e a quel punto ci tocca dire anche che forse l’antidoping serve a qualcosa quando sappiamo benissimo che non serve a nulla perché basterebbe semplicemente un po’ più di cultura sportiva. Io affermo sempre che per stroncare l’uso dei farmaci nella popolazione sportiva dilettantistica bisogna dire cosa fanno davvero i professionisti. Fin che i dilettanti si illudono di imitare i professionisti ci sarà sempre doping anche fra i dilettanti perché il giochino emulativo è troppo divertente.

La scelta della speculazione scientifica nella conduzione nervosa al contrario dovrebbe essere quel campo dove i dilettanti dovrebbero potersi scatenare, orgogliosi di poter affrontare tale tipo di preparazione assolutamente senza nessun ausilio farmacologico e consapevoli del fatto che anche se sbagliano qualcosa non patiscono alcun danno economico. E’ chiaro che scegliere di prepararsi in modo pionieristico, sperimentando nuove tecniche di allenamento, richiede tempo e sacrificio e soprattutto, cosa che non molte volte entusiasma i dilettanti, attenta rielaborazione delle risultanze dell’allenamento.

Il paradosso è che questo atteggiamento molto attento nella messa a punto di alcune sedute di allenamento è proprio una scelta più indirizzabile a chi ha meno tempo per speculare attorno a queste cose perché chi avrebbe tempo per farlo (il professionista) non ne ha la convenienza economica: sbagliare allenamento nella preparazione di un professionista è una cosa troppo costosa.

E’ per questo che la via neuronale resta un po’ in  disuso e confinata agli esperimenti di pochi eccentrici non professionisti. Occorre molto tempo, non da risultati sicuri, non è nemmeno molto diffusa non offrendo molte occasioni di scambio culturale. Diciamolo chiaro e tondo, si sa meglio, anche in ambito dilettantistico, come funziona una fiala di epo oppure una dose di anabolizzante che non che effetti può dare una preparazione invernale di un certo atleta impostata esclusivamente sullo studio dell’aspetto neuronale del movimento.

Siamo al punto che se tu parli di aspetti neuronali del movimento a molti atleti questi proprio non sanno di cosa parli. Ti sanno dire la loro soglia anaerobica, il loro consumo di ossigeno, ti sanno pure dire a che frequenze cardiache viaggiano alle varie andature di corsa ma degli aspetti neuronali del movimento non ti sanno dire proprio nulla. Eppure il muscolo, se non c”è un impulso nervoso che lo mette in movimento non si mette proprio in moto. Nemmeno se è il muscolo più efficiente e gonfiato del mondo. Meditate gente…