SULL’UTILITA’ DEL “LUNGO-LUNGO” IN ATLETICA

Il “lungo-lungo” in atletica è quell’allenamento solitamente adottato da maratoneti o comunque da corridori di distanze lunghe al quale ci si sottopone  in modo non troppo frequente nei mesi vicini alla gara. Al contrario, se adottato come preparazione extra per le gare  più brevi viene tenuto molto distante dalla gara e svolto soprattutto durante il periodo invernale quando è ancora lontana la messa a punto dello stato di forma. Con riferimento alla preparazione dei mezzofondisti ultimamente è andato un  po’ in disuso, con riferimento alla preparazione dei maratoneti è ancora un “piatto forte” della preparazione degli ultimi mesi.

Il lungo-lungo più lungo che abbia corso in vita mia è durato 4 ore e 46 minuti. Quarantanove chilometri molto lenti (all’epoca avevo già corso la Maratona in 2 ore e 46′ e quindi ben più forte) nei quali, fondamentalmente, mi sono rilassato.

C’è da fare una premessa a questo rilassamento. Avevo 18 anni e stavo preparando gli esami di maturità. In atletica correvo gli 800 ed i 1500 metri ma ogni tanto amavo fare lunghe corse senza controllare troppo il ritmo per staccare dallo stress della preparazione su pista. Non a caso avevo già corso la Maratona in 2 ore e 46′ alcuni mesi prima (il mio record si fermerà poi a 2 ore e 33′ quattro anni più tardi, sempre nel contesto di una “preparazione invernale” alle gare di mezzofondo un po’ particolare…).

Una domenica mattina di aprile, già in clima preparazione esami, mi sveglio presto e dico: “Oggi vado a fare una corsetta e poi studio tutto il giorno…”

Premessa della premessa è che quell’anno i miei compagni di classe, fino a quel momento molto utilitaristi nello studio e molto attenti a non rovinarsi la vista sui libri di testo, stavano diventando dei veri e propri “secchioni”, tutti presi dalla smania di cercare un buon risultato agli esami di maturità.  Io cominciavo a sentirmi un po’ in ritardo rispetto a loro, anche se fino a quel momento, per la paura di essere rimandato (e dunque di dover studiare anche… in periodo agonistico) ero stato anche più secchione di loro. Diviso fra la necessità di adeguare la mia preparazione ai nuovi ritmi imposti dalla classe e la paura di studiare troppo quel giorno risolsi l’enigma decisamente a favore di quest’ultima.

Cominciai a correre  e dopo mezz’ora pensai che potevo già tornare indietro, ma avevo appena cominciato a rilassarmi. Dopo un’ ora mi dissi che è molto importante per uno studente essere rilassato altrimenti dopo è nervoso sui libri e non rende. Dopo 2 ore e dodici minuti e 24 chilometri e mezzo verso la bassa veronese mi dissi che se volevo tornare a casa per pranzo purtroppo era il momento di tornare indietro. Al ritorno ogni tanto facevo qualche corsa in allungo perché la corsa stava scadendo di ritmo e di qualità e avevo bisogno di cambiare ritmo per non impantanarmi in una corsa terribilmente trascinata e poi anche perché, obiettivamente, dopo le tre ore il tempo non mi passava più. Tutto sommato completai quasi decorosamente anche il ritorno in due ore e 34′ correndo dei tratti anche molto lenti ma senza fermarmi mai a camminare.

A casa piccolo pasto (dopo queste corse hai più sete che fame) e poi a letto fino a sera. Un’ottima giornata di studio.

Probabilmente da un punto di vista fisiologico quell’allenamento non mi è servito proprio a nulla. Quasi sicuramente non è servito a nulla, anzi è già tanto che non abbia fatto danni, ma da un punto di vista psicologico mi ha insegnato almeno una cosa: che la coercizione è drammaticamente influente in ogni attività che svolgiamo.

Se qualcuno mi avesse obbligato  di andare a correre per 4 ore e 46 minuti quel giorno non ci sarei andato neanche morto, ma l’obbligo morale era un altro. L’obbligo morale era studiare e così ho corso tutta la mattina.

Ancora adesso ogni tanto faccio il “lungo-lungo” e lo faccio perché nessuno me lo impone. Mi diverto. Chiaramente non sono più cose da 49 chilometri, ma con i ritmi ai quali corro adesso mi basta correre poco più di 20 chilometri per sfondare il muro delle due ore e così, oltre quel muro ci vado più di qualche volta.

L’età  si sente e sempre più spesso quando supero quella particolare soglia delle due ore mi appare il rettore della facoltà di Scienze Motorie, che è un mio amico che gareggiava ai tempi d’oro (lo ricordo pure protagonista di una Verona-Bosco  e dunque anche lui frequentatore dei “lunghi-lunghi”) che sentenzia che correre oltre le due ore non serve a nulla e può pure essere dannoso soprattutto per gli atleti delle categorie amatoriali.

Se il rettore di Scienze Motorie fosse una bella ragazza l’apparizione potrebbe favorire lo svolgimento del tratto finale di allenamento che mi trabocca dalle due ore ma così non è e quel finale si fa spesso angoscioso. Fra l’altro ricordo proprio un giorno di quando eravamo atleti agonisti (doveva essere più o meno ai tempi della sua Verona-Bosco e quindi piuttosto vicino anche ai miei esami di maturità) che durante un lungo-lungo ci trovammo nella campagna veronese. Stavamo correndo entrambi da oltre un’ ora e mezza ed io gli dissi che volevo tornare al campo sportivo, da dove ero partito, passando sull’argine dell’Adige. Lui non sapeva nemmeno che eravamo abbastanza vicini all’Adige e probabilmente non conosceva molto bene quella zona. Fattostà che probabilmente la conosceva meglio di me perché io mi ero praticamente perso ed arrivammo sull’Adige solo dopo svariati chilometri. Alla visione dell’argine lui fece quel gesto che dopo rese celebre Gelindo Bordin nell’immaginario collettivo nel suo giorno più bello. All’arrivo trionfante a Seoul, Gelindo ringraziò per l’oro olimpico piegandosi sulla pista e baciandola letteralmente nei pressi del traguardo. All’arrivo sull’argine dell’Adige, il mio amico, con qualche anno di anticipo sul Gelindo nazionale, si piegò sull’argine per baciare l’agognato sentiero del ritorno finalmente trovato.

Queste immagini, un po’ pittoresche, la dicono lunga sugli stati di disagio che si possono provare nello svolgimento del “lungo-lungo”.

Mediando fra fisiologia e psicologia mi viene da dire che il lungo, soprattutto se non si sta preparando una maratona, può essere utile più per motivi psicologici che per motivi fisiologici. Se psicologicamente è ben accettato ed è divertente allora forse quello è già un motivo più che sufficiente per collocarlo fra i propri allenamenti. Ovviamente avendo l’accortezza di correrlo in condizioni climatiche accettabili (non certamente con 30°), di correrlo possibilmente con tensioni di corsa idonee senza far scadere la qualità di corsa a livelli drammatici e poi di recuperarlo bene negli allenamenti successivi.

Se, al contrario, si ha una certa “allergia” al lungo-lungo allora lo consiglio solo a chi prepara la Maratona ma non inflazionato e magari in compagnia perché una buona strategia per renderlo meno pesante psicologicamente è correrlo in compagnia. In realtà il maratoneta non dovrebbe mai essere allergico al lungo-lungo perché se così è vuol dire che è già privo di una delle doti essenziali del maratoneta che è la capacità di gasarsi nell’affrontare la monotonia del tempo che non passa. Per il maratoneta il tempo che non passa è una cosa splendida: è quel miracolo che ti fa allungare la vita e ti fa sembrare lunga un anno una gara che dura poco più di due ore (o tre o quattro per gli amatori). Se questa lunghezza è vissuta con gioia allora ti aiuta a correre bene, altrimenti diventa un incubo e ti impedisce di finire la gara decorosamente.

L’aspetto fisiologico, man mano che passa il tempo, mi lascia sempre più dubbi. Probabilmente bisogna proprio fare i conti con l’età e, mentre da giovani potevamo permetterci il lusso di perderci per la campagna dopo molti chilometri di corsa adesso è proprio il caso di di studiarsi bene il percorso prima di partire. Per me anche perché l’apparizione del rettore di Scienze Motorie oltre le due ore di corsa, ancorché mio amico, non mi aiuta molto nella fase finale della corsa…