ASPETTI CONTRADDITTORI DELLA PSICOLOGIA DELLO SPORT

Alcuni atleti si servono dello psicologo dello sport per vincere di più. Raggiungono un certo equilibrio psicofisico che li aiuta a rendere meglio nello sport. Altri atleti si servono dello sport per imparare a perdere. Grazie alla lezione di vita dello sport capiscono che si può perdere anche senza drammatizzare e così raggiungono un buon equilibrio psicofisico che li aiuta a vivere meglio.

Ma allora l’importante è vincere o perdere?

Io penso che l’importante sia vivere meglio ed in una società ipercompetitiva lo sport è proprio quello strumento che ci aiuta ad affrontare con più serenità la sconfitta. Se si può anche perdere ci sono meno cose di cui aver paura e si può tranquillamente partecipare anche se la sconfitta è probabile.

Allora forse gli psicologi dello sport esistono soprattutto per quegli atleti per i quali è molto importante vincere perché hanno già deciso di fare dello sport una professione e grazie a certe tecniche di addestramento psicologico riescono ad ottimizzare il loro atteggiamento nei confronti della competizione. La competizione non è più vero sport (letteralmente “distrazione” dove la curiosità è proprio nel vedere se si vince o se si perde senza saperlo a priori un po’ come il vero giocatore al casinò entra sapendo che comunque uscirà in poco tempo sia che vinca o che perda perché non entra per diventare ricco ma solo per la curiosità di fare due puntate) ma quasi una professione, nulla è lasciato al caso e siccome, proprio per questo la faccenda è potenzialmente stressante, grazie allo psicologo dello sport si tengono a bada alcune reazioni emotive che potrebbero essere sconvenienti e non produttive sul risultato finale.

Lo sport vero è diverso perché non ci stressa. Si parte dal concetto a priori che può andare sia in un senso che nell’altro (come il vero giocatore non succube del casinò) e la distrazione non è nel successo ma proprio nella curiosità di vedere cosa accade. In questo tipo di sport chi arriva ultimo può essere un protagonista come chi vince. Nello sport professionistico chi arriva ultimo è comunque un perdente perché ha investito energie psichiche e fisiche in un qualcosa che ha prodotto, poco, anzi nulla dal punto di vista della competizione sportiva.

Si potrebbe banalizzare riassumendo che lo psicologo serve per i professionisti dello sport e non per i dilettanti e probabilmente è proprio così.

Ma la domanda un po’ più complessa riguarda comunque lo sport e la società intera. Non è che a questa società serva più gioco vero e dunque sport vero e meno professionalità e dunque “lavoro”? Non è che la funzione dello sport sia proprio quella di sdrammatizzare e dunque diminuire la competizione sociale? Concentrarla magari nello sport per contenerla nella vita civile?

Ai tempi della guerra fredda le due superpotenze si sono scannate letteralmente alla ricerca del campione che dovesse dimostrare la supremazia del sistema sovietico o quella del sistema occidentale a seconda dei punti di vista. Poi sono arrivati gli anni ’80 ed abbiamo assistito all’olimpiade “sovietica” (Mosca 1980) e conseguentemente all’Olimpiade occidentale (Los Angeles 1984). La vera guerra fredda è riuscita a guastare anche lo sport che era ottimo territorio di guerra fredda e traeva beneficio da questa competizione fra i due grandi blocchi. Ma era una competizione esagerata che non poteva risolversi sui campi sportivi e così ancora adesso si “gioca” in ambiti che vanno ben al di fuori dello sport e anche se qualcuno dice che ormai è finita da tempo, aleggia in tanti ambienti ben più viva dei leggendari scontri sportivi di atleti dell’Est contro atleti occidentali.

Lo sport non ci ha insegnato a vivere, non abbiamo imparato che è più importante fare le Olimpiadi che fare le guerre.

A questo punto mi domando se la psicologia dello sport non deva insegnare a perdere per cambiare la società in meglio e possa glissare sulla necessità di vincere che molte volte è una falsa necessità travestita da stress.