PTG E L’UTOPIA

Non sono del tutto contrario concettualmente all’idea del reddito di cittadinanza, l’idea di aiutare gli ultimi mi pare un’idea di civiltà solo che devono essere aiutati in modo più concreto e non facendo l’elemosina come se lo stato fosse Babbo Natale. Lo stato deve essere un qualcosa in più di Babbo Natale perché deve essere in grado di garantire un lavoro a tutti i suoi cittadini. L’anarchia del libero mercato tipo Far West non è tollerabile in uno stato di diritto evoluto. A quel punto, se ognuno è libero di arraffare tutto il possibile prevaricando i diritti dei più deboli, aboliamo lo stato e accettiamo la legge della jungla dove gli animali accettano la legge del più forte.

Questo è un discorso molto complesso che in economia si fa molta fatica ad applicare perché ci raccontano che se tentiamo di levigare le disuguaglianze questo sistema economico crolla e diventiamo tutti più poveri livellandoci al livello degli ultimi. Non capisco perché deva essere così e se proprio è così allora tentiamo di sostituire questo sistema economico che non funziona con un altro che possa funzionare ma non insisto su questo argomento perché ho poche informazioni per controbattere le tesi di chi dice che questo è il miglior sistema economico che possa esistere.

Mi butto pari pari, sulla filosofia del reddito di cittadinanza, su una questione di attività fisica che è di una importanza probabilmente paragonabile a quella del sistema economico. Facciamo qualcosa per quei ragazzi che a 17-18 anni corrono i 1000 metri in 7 minuti, ce ne sono tanti, non possiamo fare un reddito di cittadinanza, bisogna metterli in grado di correre i 1000 almeno in 6 minuti, con le loro forze, senza trainarli con nessun carro attrezzi. E’ una cosa importante per la loro salute, per la loro qualità di vita e anche per il sistema economico perché fra un po’ di anni questi costeranno fior di quattrini al sistema sanitario nazionale se non si danno una regolata in termini di attività motoria di prevenzione per la salute.

Siamo troppo concentrati su quei fenomeni che fanno risultati di alto livello che potranno portarli perfino alle Olimpiadi se mantengono quanto mostrano di valere fin da giovanissimi e ce ne freghiamo della salute di un gran numero di giovani che offrono livelli prestativi semplicemente drammatici in molti ambiti, non solo in quello della corsa di resistenza che è un leggibile parametro di salute.

Qui si tratta di investire sullo sport per tutti, anzi sullo sport per gli ultimi, quello che spesso non va a bersaglio perché fare sport per gli ultimi è decisamente molto difficile e umiliante e allora tanto vale non farlo nemmeno.

Le federazioni sportive sono ancora concepite in modo arcaico perché vengono foraggiate per quanto riescono a produrre in  termini di talenti consegnati allo sport di alto livello ed hanno ancora come compito istituzionale quello di organizzare al meglio l’attività agonistica soprattutto per questi atleti. Abbiamo bisogno di organismi paralleli o addirittura interni alle federazioni che si occupino dell’attività fisica di tutta la popolazione e dunque anche di quei soggetti che sono già candidati a scomodare l’assistenza sanitaria precocemente. Teoricamente esisterebbero già e sono gli enti di promozione sportiva. In pratica non si capisce quanto siano riconosciuti nel loro compito e non si capisce se siano un optional nella strutturazione dello sport per la popolazione o se siano invece delle strutture essenziali per fornire un servizio capillare per tutta la popolazione.

Insomma dovrebbe esistere una specie di “anagrafe dell’attività motoria” dove siano registrate tutte quelle situazioni drammatiche che necessitano di un intervento tipo “reddito di cittadinanza”. A scuola abbiamo gli insegnanti di sostegno per gli allievi con delle problematiche particolari, occorrerebbe anche una specie di insegnante di sostegno per tutta la cittadinanza, per chi a 17 anni si muove come uno di 40 anni e anche per chi, a 40 anni, si muove come uno di 80.

Lo so che questo pare un concetto utopistico ma se per la crescita dei campioni si trovano mille tipi di sostegno di tutti i tipi e pure finanziamenti consistenti, per la crescita dei soggetti normali che sembrano quasi dei disabili (e dunque, alla fine, un po’ disabili lo sono) non ci sono stanziamenti di fondi e questa mancanza si rivelerà disastrosa in tempi successivi quando questi soggetti andranno a gravare sui costi del sistema sanitario nazionale in modo insopportabile.

L’utopia è un welfare state dell’attività motoria sullo stampo di quello che l’Unione Sovietica e la DDR proponevano ai loro cittadini negli anni ’60-’70 e ’80 solo che là l’obiettivo era quello aberrante di tirare fuori a tutti i costi i campioni che dovevano andare ad affermare la propaganda dell’URSS in tutto il mondo mentre ora l’obiettivo dovrebbe essere quello molto più civile di formare una struttura che possa fornire a tutti i cittadini le occasioni per sviluppare un fisico armonico e in salute. Qualcuno dirà che tale ambizione ha un po’ uno stampo fascista e manca solo che si parli si tutela della razza, ma qui in effetti si parla di tutela di tutte le razze e l’obiettivo finale non è certamente quello di gonfiare le fila dell’esercito con soggetti sani ed efficienti bensì di sgonfiare gli ospedali e gli ambulatori in tempi  successivi per ridurre le spese per l’assistenza sanitaria. Non ci sono mire espansionistiche ma solo di tutela della salute dell’intera cittadinanza. Ad una prima analisi questo può sembrare un sistema coercitivo ma non lo è nel momento in cui gli strumenti attuativi per un progetto del genere non vengono imposti alla popolazione ma solo proposti in modo capillare e ben pubblicizzato esplicando con chiarezza anche le finalità dell’intervento.

L’utopia ovviamente è abbastanza facile da descrivere, anche se qualcuno può pure non averci capito niente anche solo della stesura di queste idee, ma non altrettanto facile da realizzare e per capirlo basta analizzare i capitoli di spesa che lo stato italiano prevede per la diffusione dell’attività motoria per tutti.