Osservazione su “Risultato come mezzo, non come fine”

“Sei un po’ contraddittorio quando da un lato predichi lo sport coinvolgente, quello delle cinque sedute di allenamento alla settimana, che entusiasma ed interessa davvero il giovane di 18-20 anni, e dall’altro sostieni uno sport dove l’imperativo è divertirsi e l’impegno passa in secondo piano e dove l’importante è sopravvivere in qualche modo nell’ambiente sportivo a costo di lasciare troppo spazio ad una filosofia di movimento che dovrebbe essere tipica dell’attività amatoriale. Insomma il giovane in età da alte prestazioni lo vuoi volitivo, determinato e deciso nei confronti dell’attività sportiva oppure scanzonato, rilassato, un po’ menefreghista e anarchico all’insegna di una libertà che a scuola non riesce certamente a trovare?…”

Io vivo dentro a questa contraddizione dove da un lato predico che il vero sport è solo quello decisamente coinvolgente e, se non vogliamo prenderci in giro, ai giovani nell’età del massimo rendimento, dobbiamo avere il coraggio di proporre questo, dall’altro lato mi trovo a dover fare i conti con una realtà fatta di scuola soffocante, per certi, versi, in modo subdolo, più soffocante di quella dei miei tempi, dove il secchione imperava ma dove il fancazzista aveva comunque un suo spazio di sopravvivenza. Non voglio tessere qui sopra l’elogio del fancazzista ma la mia contraddizione più grossa la vivo quando da un lato tento di tenermi stretto il più possibile il giovane che pratica l’atletica dicendo che nel mio gruppo può fare quel cavolo che vuole, non ha nessun bisogno di avvisare quando salta l’allenamento e può pure gestirsi gli impegni i scolastici senza problemi che io lo accolgo comunque a braccia aperte come il figliuol prodigo anche quando sparisce dal campo per un periodo un po’ troppo lungo perché “ha avuto troppo da studiare” e dall’altro mi confesso con i miei colleghi tecnici dicendo (e credendoci davvero) che io preferisco un atleta che si fa bocciare un anno ma non rinuncia ad un certo tipo di attività sportiva che non uno che, ligio al dovere a scuola, finisce per trascurare in modo drammatico lo sport e renderlo simile ad un’attività ricreativa adatta agli ultraquarantenni.

E’ un discorso culturale e se noi vogliamo a tutti i costi proporre lo sport di un tempo a ragazzi che sono sempre più soffocati dalla scuola rischiamo di metterli in conflitto e perderli. Ci troviamo a mediare in situazioni molto strane e l’obiettivo è quello di non perdere il ragazzo che è ipercritico nei confronti del suo rendimento sia scolastico che sportivo ma non è ipercritico nei confronti di questo vezzo di chiedere sempre comunque il massimo in tutti gli ambiti. Io dico che abbiamo sempre più professionisti della scuola e sempre meno atleti impegnati con lo spirito dell’età. Poi, in questa realtà ci vivo, ne sono immerso e non mi va di fare Don Chisciotte contro i mulini a vento. Se tu dici ad un professore che, per quello che impara, il ragazzo può anche essere bocciato piuttosto che trascuri l’attività sportiva questo ti da del pazzo disadattato. La scuola è sacra anche se funziona molto male. Ciò che è peggio è che gli adulti non se ne rendono conto ed i giovani, che invece lo capiscono, non hanno nessuna voglia di cambiarla. Lo sport deve fare i conti anche con questo, vivendo le sue mille contraddizioni che sono anche intrinseche e non solo provocate dal mondo della scuola.