LE PARTITE NELLA NEBBIA

Da ragazzino, come quasi tutti gli italiani, giocavo a calcio e, come quasi tutti gli italiani, andavo a scuola (erano di più i ragazzini che giocavano a calcio o quelli che andavano a scuola? Boh…).

Non giocavo in una squadra, in squadra ci giocavano solo i più bravi ed io non ero certamente fra i più bravi. Le squadre non svolgevano un servizio “sociale” perché, bene o male, tutti i ragazzini avevano un posto per giocare a calcio, anche se non erano in nessuna squadra. Più o meno si facevano 7-8 allenamenti alla settimana in inverno e 12-14 allenamenti alla settimana d’estate, ma noi non li chiamavamo allenamenti dicevamo che andavamo a giocare e basta. La durata della “seduta di allenamento” poteva variare da pochi minuti a 3-4 ore, non c’era una durata ben precisa e non tutti i bambini partecipavano per tutta la durata della seduta.

Mi ricordo delle partite nella nebbia in inverno che allora era molto più presente di adesso (cosa strana, l’inquinamento è aumentato ma la nebbia è diminuita. Che c’entri qualcosa il gasolio? Forse l’inquinamento da gasolio che è aumentato non è amico della nebbia?) e soprattutto le ricordo per un aneddoto che, a posteriori, ritengo che abbia condizionato non poco la mia esistenza.

Alle medie avevo un professore di italiano molto esigente e un po’ all’antica. Aveva dei suoi principi ferrei che ci voleva inculcare a tutti i costi. Era molto attento alla disciplina ed io tentavo di assecondarlo anche perché poi in sede di valutazione si faceva condizionare molto dall’atteggiamento dei suoi allievi oltre che dal rendimento e, se uno aveva qualche problema di rendimento scolastico, era proprio il caso di tentare di “corromperlo” comportandosi bene. Siccome era molto esigente i problemi di rendimento ce li avevamo più o meno tutti e pertanto era buona norma praticamente per tutti tentare di avere un  comportamento disciplinato in classe. Praticamente la disciplina veniva insegnata con le buone. O stai tranquillo o ti boccio.  Se fosse stato solo per quel patto io l’avrei accettato tranquillamente, anche se era un po’ una cosa d’altri tempi, per il semplice motivo che per me avere un comportamento disciplinato in classe non  era una cosa difficile. Purtroppo la richiesta di disciplina ferrea si estendeva addirittura allo stile di vita e così la scuola diventava l’incubo della nostra esistenza. Praticamente, questo insegnante che abitava nel quartiere dove abitavamo tutti noi, a pochi metri dal campo dove andavamo liberamente a giocare a calcio tutti (tutti, sia chi giocava in squadra che chi era tagliato fuori da ogni squadra), faceva pure le ronde per vedere chi si tratteneva a giocare a calcio oltre ad un certo orario, dopo il quale, a suo modo di vedere, avremmo dovuto tutti andare a a casa a studiare ed a fare i compiti. Vi dico subito che se ho fatto le berne per andare a fare allenamento durante le lezioni del pomeriggio alla scuola per geometri negli anni seguenti è stato essenzialmente per questo motivo.

Chi veniva pescato in fallo veniva interrogato il giorno dopo e partiva già con un handicap discreto perché il professore voleva comunque dimostrare che se ti trattieni troppe ore fuori casa a giocare non puoi prepararti a dovere per la scuola.

Alcuni anni più tardi alla scuola per geometri la cosa sarà analoga nel senso che le berne fatte per andare in sala giochi non venivano scoperte e potevano passare, quelle fatte per fare allenamento se venivano scoperte erano più pericolose, ma questa è un’ altra storia che qui non voglio trattare perché, di contorno, c’è in un milione dei miei articoli su questo sito.

Quello che mi piace ricordare adesso delle partite “fuori orario consentito” è quando c’era nebbia ed alcuni dettagli semplicemente esilaranti di quelle partite. Come avete ben capito io non ero uno studente modello che rispettava il precetto del professore. Al contrario, andavo al campo alle due o poco più tardi e non andavo più via fin proprio che non era andato via l’ultimo bambino che aveva voglia di giocare a calcio. Ad esser precisi meno ragazzini restavano e più mi divertivo perché, siccome sapevo solo correre, avevo molte più possibilità di giocare quando eravamo in pochi su larghi spazi che non quando eravamo in molti. Praticamente andavo al campo alle due ma cominciavo a toccar la palla verso le cinque quando ormai se n’erano andati a casa la metà, se la partita durava fino alle sei rischiavo pure di cominciare a fare gol perché gli altri erano distrutti e mi trovavo spesso uno contro uno con il portiere.

Ebbene, quando c’era nebbia, per noi che avevamo quel professore, dopo le quattro del pomeriggio scattavano un paio di regole automatiche che gli altri ragazzini che non avevano quel professore non potevano capire. Non chiamavamo più la palla (io mi  ero già abituato a non chiamarla, non me la passavano mai in ogni caso)  e mandavamo qualcun altro a battere il fallo laterale o a giocare sulla fascia vicino alla strada. Praticamente se non urlavamo e non ci avvicinavamo alla strada potevamo giocare tranquillamente fino alle sei senza essere interrogati il giorno dopo. E’ chiaro che si andava a casa con gli incubi ma il giorno dopo avresti saputo se ti aveva scoperto o meno. Quando scopriva qualcuno che si era nascosto nella nebbia glielo diceva e l’interrogazione diventava ancora più problematica. Non so se era perché a scuola facevo di tutto per comportarmi bene ed il professore ha  bluffato ma non sono mai stato scoperto nella nebbia. Per me quelle partite valevano il doppio, anzi il triplo, e non è da escludere che sia diventato insegnante di educazione fisica per merito o per colpa (a seconda dei punti di vista) di quelle partite. Valevano il triplo perché mi divertivo un’infinità a continuare a giocare con molte possibilità di farla franca e poi, il giorno dopo, avevo la conferma di un gran lavoro “non sulla fascia” che aveva dato i suoi frutti.

Sono molto convinto che quei momenti abbiano condizionato in modo importante il mio futuro e quando su questo sito, in tutte le salse, continuo a predicare che la scuola va ristrutturata e deve cominciare a considerare davvero anche l’educazione fisica voi capite qual’è la condizione di partenza, maturata già dall’infanzia, dalla quale può aver preso inizio una simile convinzione.

Di quel professore mi resta l’entusiasmo per l’educazione che ritengo che sia una bella cosa da apprezzare in tutte le persone, bambini ed adulti. Non mi è, purtroppo, rimasto l’entusiasmo per uno dei suoi beniamini, tale Dante Alighieri, sul quale, anni più tardi, fondai un  patto segreto con un’altra professoressa di italiano: “Tu non mi interroghi in Dante ed io tento di applicarmi sul resto senza fare polemiche sui temi” che più che temi per me, alle superiori, erano diventati strumenti di battaglia politica al punto che ricordo che questa professoressa (che non ci spiava assolutamente nella vita privata…) un giorno mi scrisse sulla correzione del tema: “Vi sono molti errori di punteggiatura. Sono sviste o è una rivendicazione sociale?”. Non erano né sviste né una rivendicazione sociale, ero semplicemente (e lo sono ancora) ignorante. Ho giocato troppo a calcio.