IMPRESE SPORTIVE E SALUTE

Ho messo a confronto tre imprese sportive molto diverse fra loro anche se appartenenti tutte e tre al mondo della corsa e nel confrontarle si possono fare considerazioni di tutti i tipi. Su una cosa sono tutti d’accordo: sono comunque imprese eccezionali, il record del mondo dei 100 metri, quello della maratona e quello della 24 ore. Molte volte in tema di record del mondo si fanno anche speculazioni statistiche per vedere dove la donna si è avvicinata di più all’uomo e sul più bello che qualcuno azzarda che in una certa disciplina il ritardo sia più netto ed in qualche altra meno arriva l’atleta che gira le carte in tavola e fa cambiare le opinioni. Conclusione: anche in campo femminile si possono fare una marea di considerazioni ma l’unica cosa certa è che nell’alto livello di tutte le discipline si tratta di vere e proprie imprese sportive.

Il quesito che sorge spontaneo allora, più che perdersi in appassionate e cavillose dispute sul fatto che una certa impresa sia più impresa dell’altra, è questo: “Ma che relazione c’è fra queste imprese e la salute?”

E’ un quesito più che lecito sul quale i sedentari ed i detrattori dello sport ci marciano perché sentenziano frettolosamente: “Per far certe cose c’è da essere matti e c’è da rimetterci la salute.”

Ebbene, sull’argomento io ho una mia teoria un po’ particolare e affermo subito che potremmo essere costretti a dire così proprio per tutti gli sport, non solo per certe imprese quali quella di correre 24 ore. Per certi versi correre per 319 chilometri in un giorno oppure per due ore ai 21 chilometri all’ora (velocità furibonda: provate a fare 100 metri a quel ritmo per capire se non è vero) o ancora per pochi istanti ai 43 chilometri all’ora è forse più naturale che saltare in alto 2 metri e 45 o in lungo 8 metri e 95 o ancora scagliare un peso di oltre sette chilogrammi a 23 metri.

E’ lo sport di alto livello che pone questi dubbi.

Allora si può chiarire che per ottenere quelle imprese sportive occorre comunque una salute notevole. Se non si è sani è impossibile ottenere imprese sportive di quel livello. Di più, se non si è sani non si ottengono nemmeno imprese sportive di livello molto inferiore a quelle (e tale cosa va tenuta ben presente anche nel resto del discorso).

Il sedentario puntigliosamente insiste. “Ok, sono sani ma nella ricerca spasmodica del record rischiano di rovinarsi la salute…”.

Non c’è dubbio che il rischio di andare in sovraccarico sia più elevato per chi va al massimo che non per chi va a ritmi normali, con una preparazione normale e senza forzare mai troppo oltre certi limiti.

Si tratta di capire cosa intendiamo per “normale” e se andiamo ad analizzare con preciso piglio statistico ci potremmo accorgere che il vero record del mondo l’hanno fatto i sedentari. Probabilmente mai come in questo momento nella storia dell’umanità, anche per motivi di organizzazione del lavoro, c’è stata una folla talmente elevata di sedentari a tutti i livelli, ricchi e poveri e di tutte le razze dove la parola “normalità” riferita alla quantità giornaliera di movimento non si può assolutamente usare. Insomma abbiamo migliaia di campioni di tutte le discipline sportive “supersani” che da tanto sani che sono giocano pure a stressare il loro fisico per compiere le imprese leggendarie dello sport e a guardare quelli ci sono miliardi (si, miliardi, non milioni, milioni si poteva dire fino al secolo scorso) di persone che non si pongono il problema di vivere una sedentarietà assolutamente non normale e ai limiti dl patologico.

Il concetto essenziale che si deve capire è che mentre l’atleta di alto livello che rischia di farsi del male nella rincorsa ad un record è attentissimo alla sua salute perché sa che se questa viene meno il record certamente non potrà essere raggiunto, il sedentario non si rende conto di rovinarsi lentamente ma inesorabilmente la salute ed è aggredito in modo subdolo e silenzioso da questo problema sociale. Se salta per aria il campione lo sanno tutti e fa la figura del pinguino per non essere riuscito a centrare la preparazione in modo razionale. Se si ammala il signor Pinco Pallino che dopo vent’anni di televisione esagerata si rende conto che era meglio se lo sport lo praticava invece di vederlo alla televisione, non fanno nessun articolo sul giornale. Di campioni che sbagliano la preparazione ce ne sono ma non sono certamente una folla oceanica. Di sedentari che si accorgono un po’ troppo tardi di aver sbagliato ce ne sono veramente un’infinità.

Dunque la risposta deviata ma non “deviante” alla domanda se certe imprese sportive non siano potenzialmente pericolose per la salute è che la sedentarietà lo è molto di più. La sedentarietà è certamente dannosa per la salute, la preparazione di un’ impresa sportiva può anche esserlo se non è razionale, ma in tal caso è pressoché certo che l’impresa sportiva fallisce e pertanto ci si pensa bene prima di rischiare troppo.

Per venire ai nostri record, correre 319 chilometri in un giorno probabilmente non è dannoso alla salute per un solo uomo sulla terra ed è quello che dopo una attenta preparazione da professionista ci è riuscito con un eleganza che non vi fa assolutamente pensare ad uno scadimento di salute durante quell’impresa. Ho visto quel record del mondo e ciò che mi ha sbalordito è stata la tranquillità con la quale l’atleta ha portato a termine la competizione.

Vi posso confessare una mia idea che non ha nulla di scandaloso. Come è risaputo che certi atleti migliorano i record del mondo a piccoli passi per monetizzare di più (famoso in tal senso il mitico astista russo Sergey Bubka che migliorò non so quante volte il mondiale dell’asta aggiungendo sempre un centimetro alla volta al suo record precedente) mi è parso quasi che Sorokin non abbia sparato tutte le cartucce che poteva sparare come a riservarsi un altro colpo clamoroso per qualche altra manifestazione successiva. Il bello è che questo ha migliorato il suo record del mondo precedente (era già suo come nel caso di Bubka) di dieci chilometri e non di un centimetro e pertanto la cosa sconvolgente è questa. Come fa questo a non sembrare nemmeno spremuto al massimo visto che ha appena migliorato il record del mondo della 24 ore di corsa di ben 10 chilometri?

La risposta probabilmente la potete ricavare anche andando a vedere una ben più breve maratona o semplicemente una gara sui 100 metri. Molto spesso l’atleta che da minor sensazione di fatica è proprio il vincitore mentre fra le retrovie si possono vedere molti atleti notevolmente affaticati.

L’osservazione più semplice è che mentre il primo è molto preparato e anche per quello vince, chi arriva dietro probabilmente è meno preparato e anche per quello perde. Su un semplicismo simile una seconda considerazione banale ma che non viene del tutto spontanea: in realtà, da un punto di vista agonistico, il primo è l’unico che si può permettere il lusso di monitorare l’impegno fisico e dosare l’acceleratore. Possono farlo anche tutti gli altri, per carità, e sarebbe un’ottima cosa se lo facessero. Ma nello sport c’è questa cosa che oltre che partecipare è bello vincere e allora, se per qualcuno vincere diventa ancora più importante che partecipare c’è questa necessità di non perdere d’occhio il primo e tentare di batterlo. Da quel punto di vista il più forte è l’unico che può decidere cosa fare. Può decidere se tentare di annientare gli avversari o se andare al ritmo giusto giusto sufficiente per vincere la competizione. Quel ritmo se quell’atleta è davvero forte, è pure possibile che non sia nemmeno un ritmo insopportabile per lui, in compenso lo è per tutti gli altri che se fossero in grado di tenerlo potrebbero vincere la gara. Ovviamente questo non accade per tutti gli atleti e ci sono atleti molto coscienziosi che, pur arrivando in quattrocentesima posizione, corrono ad un ritmo tutt’altro che impossibile per le loro condizioni fisiche.

Lo sport, nella stragrande maggioranza dei casi, fa molto bene alla salute, anche al primo che talvolta può pure amministrare le energie anche vincendo la gara. Chiaramente se l’imperativo è vincere allora bisogna stare attenti perché, come recita un antico adagio, “Chi troppo vuole nulla stringe” ma è anche giusto precisare che chi rischia davvero, e pure tanto, in tema di sport è chi non vuole proprio nulla e si accontenta di guardarlo alla televisione.