DOPING E GIORNALISMO

“Dai vediamo se riesci a fare un commento a caldo senza dire castronerie…”

Diciamo pure che la mia tentazione era proprio di non farlo un commento a caldo perché l’argomento è proprio di quelli che scotta e la possibilità di dire castronerie in proposito è molto elevata.

Tutto sommato resto del mio parere e comunque penso che anche questa volta faranno finta di tirare fuori il bubbone ma poi insabbieranno tutto. O meglio si tira fuori un po’ di marcio per far vedere che si fa qualcosa ma poi si nascondono le verità più grosse.

A me tutto sommato che in Russia ci sia il doping di Stato (notizia fresca fresca dei primi anni ’60…) non me ne frega più di tanto. Mi interesserebbe sapere se davvero nella Repubblica del Gabon non è ancora arrivato perché a quel punto le Olimpiadi potrebbero essere salve: partecipano solo gli atleti del Gabon e gli altri le guardano per televisione. Sto scherzando, ovviamente. Forse potrebbero partecipare anche quelli del Burundi…

Il problema è essenzialmente un problema giornalistico. Ci sono almeno due tipi di doping. Uno inevitabile che non può essere sconfitto e che è legato allo sport spettacolo. Dove ci sono grossi compensi non è ipotizzabile evitare che gli atleti rinuncino alla possibilità di vincere in nome di una moralità che è tutta da discutere. Poi c’è un doping di serie “B” quasi tragicomico, per fortuna meno sistematico ma non meno pericoloso, anzi quasi più pericoloso: è quello dei non professionisti che scimmiottano i professionisti e praticano il doping fai da te (che non c’entra assolutamente con il doping di Stato). Quel tipo di doping si riesce a combattere con i semplici controlli antidoping ma tutto sommato potrebbe bastare una buona campagna informativa (fatta bene e non falsa) per disincentivare gli atleti di basso livello alla pratica del doping “fai da te”.

Se proprio vogliamo tenere in piedi l’istituto dell’antidoping teniamolo in piedi per questo tipo di atleti anche se, a mio parere, più che reprimere sarebbe meglio informare, insomma è triste trattare come bambini stupidi persone che adeguatamente informate potrebbero capire benissimo che il gioco non vale la candela ed i rischi sono maggiori dei benefici.

Tale discorso non sta in piedi quando parliamo dei professionisti. L’antidoping nei confronti dei professionisti è inadeguato, fonte di ingiustizie e alla fine sono soldi spesi molto male che invece potrebbero essere spesi per tutelare la salute degli atleti invece che per far finta di controllare il doping dei professionisti.

Il doping dei professionisti è assolutamente incontrollabile per il semplice motivo che se fra un certo risultato ed un altro, non molto inferiore, ci sono alcuni milioni di dollari o di euro di differenza non ci si pensa su un attimo a trovare qual farmaco che ci da un aiuto nel conseguimento del tal risultato. E ci si impiega pure poco ad utilizzare strumenti, leciti e no, per occultare l’utilizzazione di quel farmaco.

Questo i giornalisti lo sanno, lo sappiamo tutti anche senza che i giornalisti ce lo vengano a raccontare, però pedissequamente quando un atleta, una squadra, una nazione vengono “sospettati” di fare ricorso al doping si inneggia allo scandalo. Ma scandalo cosa? Lo scandalo è quando l’antidoping va ad alterare l’esito della competizione di alto livello perché qualcuno che inspiegabilmente è risultato positivo ai controlli viene squalificato.

Invece di chiedersi perché il tale atleta è stato trovato positivo, nonostante i progressi della farmacologia, nonostante che il doping fai da te sia praticamente impossibile nello sport di vertice, si inneggia allo scandalo. Ripeto, per conto mio di scandaloso c’è solo l’idea di servirsi di controlli antidoping anche nello sport professionistico quando sappiamo tutti che sono assolutamente inadeguati.

Assolutamente scandalosa poi la problematica delle squalifiche. Sistematicamente viene tartassato l’atleta che fa anche solo finta di parlare. L’omertoso piglia sempre squalifiche più contenute. Se qualcuno viene pigliato positivo deve solo dire “Non ho fatto niente, il doping non esiste, non so nemmeno cosa sia…” Se uno prova a parlare ed ammette che ha fatto quello che fa la maggioranza dei suoi colleghi è rovinato. Vietato parlare.

Non so come finiranno i sospetti su Russia, Kenia, Etiopia e Turchia. So solo che se dovessero indagare a fondo scoprirebbero che il doping è molto più democratico di tante altre cose. Ce l’hanno praticamente tutti i paesi, anche quelli sottosviluppati. Ma questa non è una buona scusa per smontare lo sport. Lo sport non può essere rifondato in pochi giorni perché dopo mezzo secolo di doping di Stato abbiamo deciso che il doping di Stato non va più bene. Probabilmente invece è arrivato il momento di tentare di affrontare l’intera problematica con un po’ più di coerenza e sincerità. La via dell’antidoping a tolleranza zero è decisamente fallita. Più che tolleranza zero è “efficacia zero” perché continua ad alimentare quell’omertà che impedisce alle informazioni di circolare. Se le banche dati dei vari paesi potessero essere utilizzate potremmo avere le idee molto più chiare in fatto di doping e probabilmente riusciremmo anche e delineare meglio quel sottile confine che c’è fra doverosa assistenza medica agli atleti di vertice ed inopportuna esasperazione dei trattamenti farmacologici atti a far sostenere preparazioni sempre più consistenti in volume.

Torno a dire che i giornalisti di sport devono smetterla di gridare allo scandalo ogni volta che si va a trattare l’argomento e dovrebbero invece cercare di comprendere i voltafaccia di campioni che partiti con il sano intento di spiegare la loro posizione si trovano a confessare che il problema doping è solo una loro marachella imperdonabile. Qui di imperdonabile non c’è proprio nulla se non questa omertà grottesca, insostenibile e che non è certamente voluta dagli atleti ma pietosamente sopportata per poter continuare a fare il loro mestiere che tutto sommato è sempre un bel mestiere anche se fa i conti con queste ipocrisie.