VANTAGGI DELLA “NON PROGRAMMAZIONE” DELLE SEDUTE DI ALLENAMENTO

Premetto che tale cosa io la vedo bene pure con riferimento alla preparazione degli atleti professionisti, però devo ammettere che nell’impostazione del colossale allenamento di questi ci sono dei problemi organizzativi talmente rilevanti che capisco come sia anche difficile fuggire da una certa programmazione. Sono comunque convinto che la rigida programmazione in schemi della preparazione sia un fattore di stress più che una risorsa per rendere più facile la proposizione di grandi carichi di allenamento.

In ogni caso, visto che per qualcuno è già abbastanza eretico non programmare anche con riferimento alle piuttosto semplici preparazioni degli atleti amatori, non voglio sviscerare le problematiche dei professionisti ma mi accontento di accennare a dei vantaggi della “non programmazione” con riferimento agli atleti non professionisti comprendendo dentro questi anche atleti che, pur avendo anche altre cose da fare, sono comunque alle prese anche con carichi di preparazione assolutamente non trascurabili.

Allora, il primo vantaggio, a mio parere, è che “non programmare” costringe a pensare di più alla preparazione. Praticamente tutti i giorni l’atleta con il suo tecnico è costretto a pensare cosa andrà a fare. Questo, ad un primo esame, potrebbe sembrare uno svantaggio, già si fa fatica a trovare il tempo se non si è professionisti per farci stare la seduta di allenamento che non per tutti gli atleti è quotidiana proprio perché non si riesce a farcela stare tutti i giorni, se poi aggiungiamo il tempo dedicato alla scelta della seduta rischiamo di non venirne più fuori. Allora c’è da spiegare che per scegliere l’allenamento più opportuno per quel giorno in realtà non c’è da stare lì a fermarsi mezz’ora a meditare: in base a condizioni fisiche che uno può avere sentito anche durante la giornata si buttano lì un paio di ipotesi e prima della seduta di allenamento bisogna aver deciso qual’ è la più opportuna. Non è detto che non si sbagli, si può sempre sbagliare, ma se la seduta è già programmata andare a farla senza pensare se si è in grado di farla è errore ancor più grave.

Altro vantaggio non trascurabile è la minor monotonia della preparazione, una programmazione schematizzata e rigida toglie giocosità all’attività, tarpa le ali alla fantasia, torniamo sul tasto che l’attività oltre che essere praticata fisicamente deve anche essere “sentita” a livello psicologico e vissuta a livello emozionale.

Non dico che ogni seduta deva essere un’avventura ma appiattire il vissuto psicologico su un qualcosa di già pianificato sa tanto da “timbratura del cartellino” che molto spesso è la realtà professionale di chi si applica molto nello sport senza esserne un professionista.

Andando nei dettagli, sostengo un punto che molti mi potranno contestare ma sul quale si può certamente discutere: per conto mio la preparazione scelta giorno per giorno può essere più precisa perché quando andiamo a prevedere delle condizioni fisiche per una programmazione rischiamo di commettere degli errori grossolani. Non siamo in grado, soprattutto a livello dilettantistico dove una varia serie di fattori possono condizionare il recupero, di prevedere quali possono essere le condizioni dell’atleta quel preciso giorno. Scegliere il giorno stesso ci permette di scegliere con più precisione.

Altro dettaglio non da poco la possibilità di variare il carico secondo sfumature di colori dalle tonalità più svariate. Chi non programma può provare intensità sempre nuove giorno dopo giorno, non è necessario astrarre e categorizzare una serie di intensità da calendarizzare con precisione perché una certa intensità che non abbiamo nemmeno bisogno di descrivere con precisione può essere l’intensità di quel giorno lì e basta.

Ancora sull’aspetto emotivo, per un non professionista probabilmente non programmare è pure meno pericoloso nel senso che una volta redatto un piano di preparazione tutte le sorprese che possono portare alla rettifica di quel piano rischiano di essere sorprese sgradevoli che vanno a ridurre con effetto potenzialmente deprimente quel piano. Il professionista ha molte possibilità in più del dilettante di poter eseguire alla lettera il piano di preparazione ed è certamente gratificato dall’esecuzione precisa di questo piano. Nel dilettante, per forza di cose, la preparazione eventualmente programmata non può mai essere un qualcosa di stratosferico e quasi mai è garanzia di miglioramenti sicuri.

L’opzione di variare il carico anche in eccesso rispetto a quanto preventivato è una cosa probabilmente sconveniente per il professionista che non deve rischiare molto, mentre, nei limiti del buon senso e del rischio ponderato, può essere una buona opportunità per chi, a seconda dalle circostanze, può trovarsi anche a poter aumentare talvolta il carico su livelli insoliti.

Insomma se la preparazione del professionista, per quanto varia e completa, è tendenzialmente più di routine, quella del dilettante, proprio perché parte da carichi di allenamento più bassi può essere anche più ondulata e oscillare su una gamma più ampia di quantità ed intensità.

Ovviamente, come ripeto alla nausea, di scientifico non c’è proprio nulla, si naviga nell’assoluto empirismo e questa cosa che per il dilettante è assolutamente tollerabile, inevitabile e alla fine pure divertente, per il professionista che investe un sacco di tempo e danaro sullo sport ed alla fine si trova in balia di una casualità terribile di eventi pronti a minare il suo progetto, è un po’ meno divertente. Forse è anche per questo che il professionista tende ad accettare più di buon grado una rigida programmazione, perché con questa si illude di limitare il campo degli imprevisti. Ma se è vero che anche trattando di campioni una grande componente ludica dell’attività a livello profondo è sempre presente anche se ci sono i soldi di mezzo, allora è sensato ipotizzare che sia interessante anche lasciare un minimo spazio ad una sana “non programmazione” pure nello sport di alto livello.