UNA O PIU’ POSSIBILITA’ DI MOVIMENTO

Il movimento è quasi tutto, diciamo pure che le nostre libertà partono dalla necessità di riuscire ad alimentarsi in modo decente tutti i giorni, transitando per la possibilità di potersi riparare dalle intemperie (un ricovero che sia un po’ meglio della campata di un ponte è sempre una bella ambizione) e arriva alla possibilità di fare proprio movimento fisico vero e proprio. La parola movimento si riconduce proprio all’attività fisica vera e propria e, per assurdo, un autentico nababbo che si alimenta nel migliore dei modi e vive nella casa (o nelle case…) più bella del mondo, se non si muove proprio per niente e schiaccia solo bottoni di telecomandi o impartisce esclusivamente ordini a servi zelanti sta rinunciando ad una sua libertà personale che è proprio quella di muoversi liberamente.

Viene spontaneo chiedersi, soprattutto di questi tempi, se esista solo una possibilità di movimento o esistano molteplici possibilità di movimento. Facendo l’assistente al percorso della salute in questi anni e avendo a che fare con gente di tutte le classi sociali ho maturato l’idea che secondo molti esiste in realtà solo una possibilità di movimento. Questa è una visione un po’ pessimista della nostra società ma mi tocca ammettere che molti vengono da me disperati e dicono: “Io vorrei tanto fare un po’ di attività fisica perché so che fa bene alla salute e mi rendo conto che ne avrei bisogno ma questo e quello e quell’altro ed insomma mille impegni dovuti a centomila esigenze costruite da una società sempre più complessa e precaria e alla fine non mi resta più tempo libero per muovermi…”.

E’ quello il motivo per il quale io ho maturato l’assurda convinzione che il miglior metodo per far muovere gli italiani sia quello di mettere l’attività fisica dentro alla loro vita quotidiana, normalmente svolta durante i centomila impegni necessari per far andare avanti la baracca. Invece, al momento, tutto è costruito per fare in modo che tali cose si possano fare esclusivamente servendosi dell’automobile o comunque dovendo rinunciare a dei sani spostamenti a piedi e/o in bicicletta che sono quelli che potrebbero garantirci la quota di attività motoria necessaria per stare in salute. Insomma prima ancora di costruire migliaia di campi sportivi per diffondere lo sport per tutti bisognerebbe pensare a quei soggetti che non potrebbero mai beneficiare della costruzione di questi impianti sportivi perché proprio non trovano il tempo per fare sport e bisognerebbe pensare a costruire un sistema di mobilità urbana e pure dei centri periferici dove l’andare a piedi non sia più un assurdo vezzo radical chic di chi rifiuta l’auto per snobismo ma la norma per tutti i cittadini che hanno bisogno di spostarsi per espletare le innumerevoli commissioni burocratiche necessarie a sopravvivere nella complessa società attuale.

Tornando al quesito di partenza per capire se esiste una sola o esistano più possibilità di movimento dobbiamo affrontare la teoria della falsificazione (scomodo nientepopodimenoche Karl Popper) e vedere se in effetti comportandosi diversamente (evidentemente aumentando la quantità di movimento più che limitandola, visto che più o meno la totalità dei cittadini si lamentano del fatto che si muovono troppo poco) è possibile un altro modo per sopravvivere in questa società. Per molti soggetti, e temo di dover dire non solo una ristretta elite di sfortunati, la risposta è no, con questo sistema sociale dallo stramaledetto uso dell’automobile non ci si scappa.

E allora tale disputa si allarga in un orizzonte che getta dubbi ancor più gravi. Siamo proprio sicuri che anche chi potrebbe muoversi in modo diverso e pertanto secondo una scelta di possibilità di movimento alla fine non sia portato a muoversi solo in un determinato modo? Questo quesito è ben più subdolo anche se forse meno triste ed apre la speranza a nuove visioni un po’ rivoluzionarie.

In realtà c’è una buona fetta di popolazione diciamo di “falsi benestanti”, gente che anche se non sono veri benestanti hanno comunque un minimo di autonomia decisionale, un minimo di capacità di poter modificare almeno alcune abitudini quotidiane, che potrebbero muoversi in modo diverso ma sono portati ad un movimento stereotipato ed inevitabilmente legato ai cliché classici dal sistema della pubblicità che ha inevitabilmente grandi interessi a non toccare delicati equilibri, a non promuovere nessuna concreta rivoluzione della mobilità urbana.

Pertanto non solo continua a muoversi in automobile chi non riesce comunque a trovare soluzioni alternative ma continua inesorabilmente a muoversi sempre in automobile anche chi con un po’ di buona volontà e di fantasia avrebbe opzioni diverse.

Il risultato finale è che anche il temerario che vuole condurre una battaglia personale contro questo sistema fortemente incentrato sull’uso abituale dell’automobile si trova a fare una battaglia sullo stile di Don Chischiotte contro i mulini a vento e mi viene in mente la città di Ferrara, un po’ clamorosa in tal senso, dove visto che era in atto una mezza rivoluzione e sulle strade normali oltre che un grande numero di auto c’era anche un preoccupante numero di bici (decisamente in più che nella media delle altre città italiane) hanno costruito le piste ciclabili con il chiaro ammonimento ai ciclisti di non rompere le scatole agli automobilisti. Qualcuno dirà giustamente che la pista ciclabile è un segno di civiltà e tutti vorrebbero averle, peccato che quella città fosse un esempio per tutte le altre città italiane che faceva capire che si può andare in bici anche se non ci sono le piste ciclabili basta prendersi gli spazi occorrenti con molta educazione, a furor di popolo. Se la gente si ribella in massa allo strapotere delle auto, senza tante leggi, automaticamente le strade diventano strade sia per le auto che strade per le bici. Ciò accadeva normalmente fino a poco tempo fa a Ferrara senza disastri particolari, probabilmente sono state costruite le piste ciclabili anche perché tale pericoloso esempio non si diffondesse in altre città italiane. In effetti lo stile Ferrara, esportato improvvisamente in altre città avrebbe potuto provocare un’ ecatombe di ciclisti perché dove regna l’auto sovrana l’automobilista non si sogna nemmeno di adeguare la sua andatura a quelle dei ciclisti: è un opzione assolutamente non perseguibile una cosa da mondo delle favole che nella realtà attuale proprio non ci sta e… frase magica di rito, che finirebbe per “bloccare l’economia” di quella città.

Dunque la disputa se esistano più possibilità di movimento o esista una sola possibilità di movimento che è essenzialmente quella indicata dal mercato e dunque dal sistema della pubblicità è una diputa aperta. I pessimisti dicono che non ci sono tante possibilità perché i cittadini sono invischiati in logiche ben più urgenti di quella di aumentare la quota di movimento, sono troppo impegnati a portare la pagnotta a casa per aver tempo di pensare all’attività fisica per la salute. Gli ottimisti dicono che esiste anche un certo numero di soggetti che in qualche modo la pagnotta la portano a casa che hanno qualche possibilità di scelta in più e potrebbero cominciare a pensare che il più figo non è quello che ha la macchina più bella ma semplicemente quello che nella propria vita riesce a farci stare anche un po’ di sano movimento, Se passa il concetto che questo sano movimento non è solo quello che puoi fare ben nascosto fra quattro mura di una lussuosa palestra che ti puoi permettere di pagare (e nella quale magari ti rechi con la tua spettacolare auto nuova status symbol di altri tempi…) ma quello ben più spregiudicato di poter vivere la tua città come se fosse una città dove si va anche a piedi ed in bicicletta, allora tale visione è davvero rivoluzionaria e che sia snob, radical chic o da pezzenti che non ce la fanno più a pagare nemmeno il carburante per la propria vecchia vettura sgangherata io dico che non me ne frega proprio niente: è comunque una scelta rivoluzionaria e di grande civiltà che, per quanto possa avere un pesante impatto economico, deve essere affrontata se acquisiamo la consapevolezza che oltre ad un diritto al cibo e ad un tetto in una società evoluta deve esistere anche un diritto al movimento che guarda a caso, a volte coincide con il più complesso concetto di diritto alla salute.