TRE MODI DI SEGUIRE UN ATLETA

Nei limiti di tutte le categorizzazioni che sono un sistema per comprendersi ma molto spesso creano modelli che possono discostarsi anche di parecchio dalla realtà pratica, si può affermare che, a grandi linee, esistono tre modi per seguire un atleta.

Il primo è quello che io, con una visione un po’ disfattista, definirei di tipo “Opprimente” ed è di moda (tanto per cambiare, come quasi tutte le mode, lanciato negli Stati Uniti per esigenze di mercato) e purtroppo ancora molto diffuso perché certe mode, anche se si capisce subito che servono solo il mercato, hanno il potere di autoalimentarsi. Il secondo è quello di tipo “Classico” che ha dei grossi limiti che tutti comprendono ma non si ha la forza di discostarsene molto ed insomma le cose di tipo classico tirano sempre molto perché la gente ha soprattutto paura di sbagliare e fare ciò che si è sempre fatto nel corso dei secoli è rassicurante. Il terzo è di tipo “Innovativo” e pure rivoluzionario ma in un’ epoca dove tutte le rivoluzioni autentiche vengono subito represse e soffocate dal mercato è praticamente sconosciuto, diffuso pochissimo e assolutamente non pubblicizzato da un mercato che ha tutto da perderci.

Andiamo con ordine: il mercato spinge le mode che vengono create essenzialmente per fini economici e dunque spinge alla grande il sistema “Opprimente” di seguire un atleta. E’ il sistema più oneroso che ci sia, costa un sacco di soldi all’allievo o a chi tira fuori i soldi per lui (sia federazione, club o chi cavolo sia) ed è quello che ormai un bel po’ di tempo fa ha creato l’immagine di Personal Trainer di tipo classico. Io un po’ per prendere in giro questa figura ho deciso di chiamarmi “Personal Trainer Gratuito” ma alla fine sono riuscito a prendere in giro solo me stesso perché la gente pensa che funzioni come un personal trainer vero e proprio e non ha capito che tento di fare consulenza e non babisitteraggio.

Con questo sistema appunto il personal trainer che nella figura di tipo classico lavora come una specie di baby sitter e segue in modo continuo l’allievo a ‘mo di persecuzione (se fosse un moroso in termini moderni si chiamerebbe stalking) è il capo dell’attività che modula in tutti i suoi minimi dettagli imponendola come se fosse un Padreterno. Il personal trainer è costantemente presente durante la preparazione dell’allievo, come una brava baby sitter appunto e detta le regole della preparazione. E’ un modello costosissimo inventato essenzialmente dai vip dello spettacolo (straricchi) negli Stati Uniti. E’ un sistema che è diventato di moda e ci sono soggetti che pur non appartenendo al mondo dello spettacolo anche se sono dei grandissimi pirla arricchiti si dilettano a scimmiottare tale modello e assumono un personal trainer praticamente a tempo pieno, tutto per loro. Il lavoro del personal trainer in questo modo viene svilito perché lavorando così non ha nessuna possibilità di evolversi, però è redditizio perché questi pagano e pure bene e pertanto il modello ha attraversato l’oceano e imperversa anche in Europa. Non ho molta voglia di soffermarmi su questo tipo di assistenza per l’attività motoria perché la ritengo degradante sia per il tecnico che per l’allievo e tanto la riterrei meritevole di plauso con riferimento alle persone disabili che davvero in certi casi possono  avere bisogno di un’assistenza continua, tanto lo ritengo irrazionale, assurdo, addirittura capriccioso in modo imbarazzante con riferimento alle persone normodotate che non hanno certamente bisogno di un tecnico tutto per loro.

Il secondo sistema è quello di tipo classico: un tecnico o allenatore, talvolta chiamato anche personal trainer perché fa figo, altre volte più semplicemente istruttore, che segue una pluralità di soggetti e può seguirli in gruppo o individualmente ma comunque con interventi di tipo molto diverso da quelli operati dal “personal trainer-baby sitter”. In tal caso il tecnico ha molte più possibilità di evolvere le sue capacità di modulare la preparazione e si può tranquillamente dire che più soggetti segue e più riesce ad affinare le sue capacità così come un buon chirurgo più interventi effettua e più mette a punto con precisione le sue abilità. Siamo comunque nell’ambito di una preparazione di tipo classico perché sia in gruppo o sia individualmente si parte da un progetto dell’istruttore e l’allievo partecipa criticamente all’evoluzione di questo progetto che è però un idea dell’istruttore e pertanto uno propone e l’altro esegue.

Siamo portati a pensare che questa sia la via “normale”,  tutto sommato è quella più battuta e pertanto senza volersi gettare in strane avventure è giusto che il tecnico sia a capo del processo di addestramento  e lo coordini con una certa attività ben precisa. Non possiamo ipotizzare che la via ritenuta normale per intendere il rapporto allenatore-atleta possa essere un’ altra perché la scuola che è la prima agenzia educativa, è sempre stata impostata così (e c’è da pensare che lo sarà ancora per molto) e pure il rapporto genitori figli segue costantemente questo modello arcaico e nessuna rivoluzione è stato in grado di stravolgerlo. Poi ci sono le società dove il pargolo a sedici anni comincia ad andare in cerca di esperienze fuori di casa e società dove questa cosa accade a 30 anni se va bene ma finché è in casa il pargolo non inventa nulla e si adegua alle usanze della casa come forse è anche giusto che sia per il quieto vivere.

In realtà un’altra via ci sarebbe ed è il sistema “Innovativo” e se lo proponete la maggior parte degli allievi vi guardano storto perché  sono proprio loro a chiedere un tipo di approccio direttivo basato sui soliti canoni ed il concetto di “consulenza per l’attività motoria” è ancora del tutto sconosciuto con riferimento a questo settore e ciò potrà anche risultare comodo per la semplicità di alcune dinamiche ma alla fine è degradante per il tecnico che si trova a non poter esercitare una professione per la quale sarebbe “patentato” ad operare.

L’unica possibilità che ha il tecnico per evolversi davvero è quella di diventare un vero e proprio consulente e questo è l’unico sistema perché lui possa seguire un numero veramente elevato di soggetti. La consulenza del tecnico deve produrre effetti che devono andare ben al di là della mera esecuzione di un compito motorio. Sulla base della consulenza (soprattutto se è mirata e valida) l’allievo deve essere in grado di innovare, di destreggiarsi autonomamente nel campo dell’attività motoria per poi andare a riconfrontarsi con il tecnico in un rapporto molto produttivo dove alla fine impara anche il tecnico e non solo l’allievo. Un allievo che è sempre lì a chiedere cosa deve fare è un allievo che non ha imparato nulla, che non può sperimentare nulla e che è assolutamente privo di fantasia, potrà anche essere un campione se è dotato geneticamente ma non riuscirà certamente a portare nulla di nuovo nel rapporto tecnico atleta e pertanto non costituirà buona occasione per l’affinamento tecnico dell’allenatore.

In un rapporto innovativo fra tecnico e atleta il tecnico deve essere possibilista e mettersi sullo stesso piano dell’allievo. E’ chiaro come un rapporto così non sia facilmente applicabile con i bambini dove il massimo che possiamo fare è farli giocare liberamente ma poi dobbiamo essere noi a decidere ciò che è effettivamente realizzabile e ciò che può essere pericoloso o sconveniente. Con un allievo adulto e per adulto intendo soprattutto da un punto di vista motorio (certi soggetti lo sono già a 15 anni) mettersi in ascolto dell’allievo è la miglior cosa per migliorare la qualità della relazione tecnico-allievo. Solo ascoltando molto si può essere davvero utili, solo ascoltando molto si può pensare di essere più specifici e riuscire a calarsi nel dettaglio della realtà del singolo atleta che non è mai uguale a quella di un altro. Il vero tecnico agisce un po’ come uno psicologo, anzi è un po’ anche uno psicologo perché se non riesce a trovare la chiave per mantenere divertente l’attività che propone rischia di perdere l’atleta in breve tempo. Non sono solo i risultati sportivi a cementare il rapporto allenatore atleta ma anche la sopportabilità e la gradibilità della preparazione. L’attività motoria deve essere anche e soprattutto divertente e per riuscire in questo intento occorre un fitto scambio di opinioni fra tecnico e allievo dove il metodo direttivo ha poco motivo di continuare ad esistere perché è una mina vagante in questo rapporto.

Allenare un atleta con un sistema non direttivo è anche più difficile e porta via anche più tempo però consente di avere una percentuale di atleti che resistono molto più alta e pertanto porta a migliorare l’esperienza anche in quella fase della preparazione che è quella decisiva per la maturazione dell’atleta. Ci sono allenatori che sanno allenare molto bene i ragazzi fino a 16-18 anni ma poi quando entrano nell’età dove le motivazioni per proseguire l’attività devono essere un po’ più marcate li perdono inesorabilmente e  finiscono per trattenere solo i campioni, quelli che hanno ancora un miraggio di concretizzazione economica della loro attività sportiva, ma quelli non è che si divertano davvero nella pratica sportiva, solo che intravvedono la possibilità di farne una professione, pur se temporanea ed allora continuano a soffrire in silenzio anche se istintivamente avrebbero già mollato la pratica agonistica. Il giorno che il miraggio dell’attività di vertice svanisce questi mollano l’attività in un amen. Bisogna riuscire a coinvolgere autenticamente anche i non campioni, quelli che sanno subito che quasi di sicuro dalla loro attività sportiva non ne trarranno una lira bucata. Un allenatore circondato da un buon gruppo di quegli atleti è un buon allenatore e vuol dire che certamente ha seminato bene. Vuol dire che è riuscito ad ascoltare gli atleti e, anche se crede di averli diretti in realtà sono loro che hanno diretto lui perché quando un atleta porta l’allenatore a risolvere quesiti nella fase del massimo rendimento agonistico (fra i 22 e 27 anni circa) gli offre la massima opportunità di evoluzione tecnica.