SVINCOLARE LE SORTI DELLO SPORT DI VERTICE DA QUELLE DELLO SPORT DI BASE

Ci metto la mano sul fuoco sull’operato del presidente della Federazione Italiana di Atletica Leggera Stefano Mei ed è per quello che sono anche un po’ stupito del fatto che abbia avuto il coraggio di intervenire con chiarezza sulla questione Schwazer. Il ragazzo è uno di quelli che ha pagato come atleta per aver avuto il coraggio di fare una battaglia in prima linea contro il doping e non molti sanno che se si fosse adeguato almeno un pochino al solito tran tran era un atleta in grado di vincere molto più di quello che ha vinto. Se vogliamo Stefano Mei è stato un talento infinito, e chi ha vissuto l’atletica di quegli anni lo sa benissimo, che ha vinto solo un campionato europeo sui 10.000 metri. Per carità, non poca cosa, ma chi lo conosce davvero sa che Mei aveva le potenzialità per ottenere parecchio di più.  Dunque una prima battaglia contro il doping l’ha già fatta mettendoci del suo. Adesso potrebbe affrontarne anche un’altra quasi sicuramente più difficile che forse però lo renderebbe davvero un Don Chisciotte contro i mulini a vento.

Non mi attendo che vada a fare l’eroe in una situazione che è complessissima e di portata planetaria ma sono già contento che non sia fuggito da commenti sulla spinosissima questione Schwazer.

Ho già scritto più volte, su questo sito, che probabilmente non siamo pronti per scoperchiare il pentolone. Senza elementi per poterlo dire ho la sensazione che Schwazer abbia pagato per alcuni momenti di folle presunzione, ad un certo punto pareva che volesse far capire come funziona lo sport di vertice. Schwazer ha già fatto troppo, sono convinto che potrà tornare a marciare solo se da ampie garanzie di non destabilizzare ulteriormente tutto il sistema. Non vogliamo uno Schwazer martire, vogliamo che torni a marciare anche ad alto livello se ne ha voglia, perché è un suo diritto, ma esporlo a rappresaglie di chi non vuole assolutamente cambiare questo sistema non ha nessun senso, non è lui che deve rifondare lo sport di alto livello, ha già pagato abbastanza.

Sono un po’ troppo complesso quando tento di spiegare perché forse non siamo ancora pronti per rifondare lo sport, per ammettere che c’è qualcosa che non funziona che va cambiato.

Il problema è che lo sport di alto livello è ancora fortemente collegato con lo sport di base e questa non è nemmeno una brutta cosa. Io stesso ho sostenuto più volte che uno sport di alto livello utile deve essere uno sport che si fonde con la base e non si separa nettamente da essa. Lo sport di alto livello è utile nel momento in cui esercita una funzione di traino nei confronti dello sport per tutti.

Purtroppo lo sport di alto livello è un malato grave perché ha assunto troppo la configurazione di sport spettacolo, di sport dei gladiatori che servono per divertire il popolo. Così lo sportivo di alto livello viene visto come un eroe che lascia a bocca aperta, una specie di divinità ma una divinità poco umana però perché se ha dei problemi anche seri si glissano dicendo “Tanto, con tutti i soldi che prende…”. E questa è la faccenda, il danaro che ha alimentato lo sport spettacolo lo ha anche snaturato ed ha rischiato di separarlo troppo dallo sport dei comuni mortali. Da un lato lo sport degli eroi da guardare in televisione, quelli ai quali chiedere l’autografo che però nella realtà di tutti i giorni sono difficili da vedere perché sono praticamente blindati in un mondo tutto loro simile a quello delle stelle del cinema e dall’altro lo sport dei pirla, che sono tutti gli altri, incapaci di gesta sportive nemmeno minimamente paragonabili a quelle degli eroi e confinati in campi di periferia che non somigliano assolutamente ai templi dello sport spettacolo.

Non è difficile capire che in un contesto simile molti “pirla” abbiano voglia di giocare a fare gli eroi e siano pure disposti a buttare giù porcherie per emulare, almeno parzialmente quegli eroi.

Un antidoping che perseguita quei pirla concettualmente ci può anche stare perché nel momento in cui assumono farmaci per incrementare il rendimento di un’attività sportiva che deve servire soprattutto per la salute sono idioti più che semplici pirla.

L’antidoping di fatto  al momento è quell’istituzione che tutela l’immagine di quasi (quasi, perché poi ci sono le eccezioni: Ben Johnson, Pantani, Armstrong, Schwazer e non me ne frega niente di chi sia davvero colpevole o no perché sono comunque vittime di un sistema falso che deve sacrificare pochi per tenere una sua credibilità) tutti gli atleti di alto livello e sputtana sistematicamente l’immagine dello sport veramente dilettantistico sanzionando il settantacinquenne che prende il Viagra (è successo davvero, non è una barzelletta…) o il quarantenne che piglia il Bentelan contro l’allergia.

Allora io ho un anatema che non sta in piedi e che recita che “Per sconfiggere il doping degli amatori che purtroppo è molto diffuso anche se in percentuale decisamente più basso di quello diffuso nello sport spettacolo è sufficiente spiegare cosa fanno davvero la maggior parte degli atleti di alto livello”.

A quel punto i no sono di vario tipo ma sono comunque sempre tutti no ed in ogni caso smentiscono seccamente un’ipotesi simile. Il pentolone deve restare ben coperto per vari motivi.

Prima osservazione quasi drammatica alla quale credo poco ma che potrebbe pure avere un fondamento: se si sapesse cosa fanno davvero gli atleti di alto livello la diffusione del doping nello sport di base aumenterebbe in modo esponenziale perché la voglia di ottenere elevate prestazioni è molto forte e se qualcuno si illude che il rischio di assumere farmaci per aumentare il rendimento nello sport possa essere monitorabile, controllabile e restare abbastanza contenuto allora salta ogni freno inibitore e ci troviamo improvvisamente con milioni di dilettanti che si dopano quasi come i professionisti.

Io non credo che la gente comune sia idiota e ritengo molto improbabile una reazione di massa di questo tipo però bisogna ammettere che forse qualcuno direbbe: “Allora se ci si può dopare anche così tanto cosa sto lì a cincischiare che non prendo nemmeno la metà delle porcherie che prendono gli atleti “veri”…”.

I veri motivi per cui non si può scoperchiare il pentolone penso che siano ben altri ed il più forte, per conto mio è la chiara consapevolezza che il mondo dello sport di base è economicamente legato a quello dello sport spettacolo ed una crisi di quest’ultimo, in questa situazione, andrebbe certamente a danneggiare in modo clamoroso anche lo sport di base.

In sintesi i gladiatori devono continuare a fare i gladiatori del resto non gliel’ha ordinato il medico di fare gli eroi e poi ci sono anche quelli che ci riescono senza prendere farmaci (e Stefano Mei è stato uno di quelli così come anche Schwazer ha dimostrato di essere potenzialmente uno di quelli perché sta emergendo il fatto che prima dell’ultimo stop era pulito e andava come un missile ed è per quello che dava fastidio) e tutto sommato i gladiatori servono ancora anche allo sport di base perché portano gli sponsor che poi sono quelli che finanziano tutto lo sport, anche quello dei bambini. A quel punto l’idea che il ragazzino di 15 anni non riesca più a confrontarsi con il  campione perché il campione è un autentico marziano e crea una frattura netta fra il suo sport spettacolo e lo sport per tutti quello è un problema da poco. Se lo sport spettacolo riesce ancora ad esercitare una funzione di traino diretto nei confronti dello sport di base tanto meglio se non ci riesce amen, almeno facciamo in modo che riesca a finanziarlo in qualche modo.

Per cui non siamo pronti per scoperchiare il pentolone perché nel tentativo di ricucire questa gran frattura fra sport degli eroi e sport dei comuni mortali rischiamo di far saltare per aria la locomotiva ed allora tutto si ferma. Il rischio che molti degli ultimi si perdano, che si stacchino i vagoni di quelli che forse ancora più degli altri avrebbero bisogno dello sport per la salute è un rischio che si può correre ed anche se la locomotiva corre troppo forte verso una destinazione che non è ben chiara, pazienza, la rotaia è quella e non ha senso fermarsi.

Il mio punto di vista allora pare disfattista e ben distante da quello disincantato, sincero e tutto sommato rivoluzionario di Stefano Mei che è sempre stato un paladino dello sport pulito, addirittura un testimonial della possibilità di collegare lo sport di vertice a quello di base, visto che da campione affermato partecipava anche alle gare regionali tanto è vero che quando ho siglato il mio miglior tempo sugli 800 lui era lì un paio di secondi davanti a me, proprio in una gara regionale.

Io non voglio essere disfattista ma dico solo che bisogna analizzare bene la questione per non proporre soluzioni miracolistiche e per capire come mai l’informazione sia così fortemente bloccata sull’argomento.

Mi viene in mente la questione dei vaccini di questi giorni. A volte dare in pasto l’informazione all’opinione pubblica può produrre danni, allora nel momento in cui si decide di darla va data bene, altrimenti gli equivoci sono dietro l’angolo.

Gli atleti di vertice sono vittime dell’eccesso di medicalizzazione dello sport e farebbero volentieri a meno di una così forte presenza della medicina nello sport di alto livello. Il fatto che i pescati positivi all’antidoping siano i più pirla, quelli che probabilmente si dopano meno e che quando qualcuno tenta di parlare venga letteralmente massacrato non è casuale, c’è un’immagine candida dello sport di alto livello che deve essere tutelata dall’istituto dell’antidoping e pare che la vera funzione di questo sia quella di tutelare questa immagine più che di ridurre il ricorso alla farmacologia nello sport visto che questa negli ultimi anni è cresciuta in modo esponenziale in modo ben superiore a quanto accadeva all’epoca del blocco sovietico quando gli unici ad operare con sistematicità erano proprio gli atleti dell’est europeo che adesso vengono perseguitati solo perché hanno avuto il torto storico di aprire una strada che poi tutto il mondo ha percorso.

Non voglio perdermi in disquisizioni di fantapolitica ma lo stesso Putin che da tutti viene riconosciuto come un uomo decisamente potente e dal pugno di ferro di fronte alla questione doping ha scelto la via del “Volemose ben” (vogliamoci bene in dialetto veneto) ed invece di reagire energicamente per tutelare l’immagine della sua Russia (che non è proprio più uno dei paesi all’avanguardia del doping, anzi fa fare brutte figure ai suoi atleti perché è rimasta ferma a trent’anni fa…) ha piegato il capo facendo piazza pulita fra i suoi dirigenti. Non aveva altra scelta perché ammettere che il mondo ha scelto la via del blocco sovietico e pertanto la via del doping sistematico, monitorato giorno per giorno, quello che non possono pigliarti positivo perché sai sempre cosa succede nel tuo sangue e non puoi essere esposto a brutte sorprese, sarebbe stato ammettere le colpe storiche dell’ex Unione Sovietica.

Il caso Russia è ben più clamoroso del caso Schwazer ed è quello a dimostrare la resistenza ad ogni cambiamento. Ci si accontenta sempre di dare la colpa a qualcuno per dimostrare che il sistema funziona. In realtà il sistema non funziona ed i primi a volerlo più pulito sono proprio gli atleti di alto livello che sono le prime vittime di questo sistema. Il pentolone non può esplodere, altrimenti ne risente tutto lo sport ma pian piano lo sport di base dovrà trovare la forza di staccarsi da queste logiche altrimenti rischia di restarne stritolato. Per lunghi giri ciò che non funziona nello sport di vertice fa grandi danni allo sport di base e lo so che non riesco mai a spiegare con chiarezza perché. Forse se ci riuscissi avrei potuto fare il profe di italiano perché è un vero e proprio casino ed è anche un problema linguistico. Diciamo che fino ad ora non si sono trovate le parole per far capire perché quando un atleta di alto livello viene trovato positivo all’antidoping il problema non è lui ma tutto ciò che ci ruota attorno.