STATALIZZAZIONE DELL’ATTIVITA’ MOTORIA

Il “Welfare State” è stato letteralmente assassinato dal libero mercato. In questi anni abbiamo assistito al fallimento della politica, lo stato non esiste in ambiti nei quali la sua presenza sarebbe di fondamentale importanza. Si pensi al mostro del polo siderurgico di Taranto, fortemente voluto dallo stato e poi lasciato in balia dei privati quando ci si è accorti che qualcosa non era andato come doveva andare. Non si può pensare che i privati si facciano carico di far rinascere una città che è stata distrutta da  una scelta sbagliata e scellerata fatta ai tempi del boom economico.

Se queste sono le cose dove lo stato latita e spera che le possano risolvere i privati con un colpo di bacchetta magica figuriamoci cosa può accadere in tema di attività motoria.

Siamo lo stato delle due ore di educazione fisica alla settimana, dello sport guardato per televisione e delle palestre private che provano a raffazzonare alla bell’e  meglio la voragine di mancanza di attività motoria della quale patiscono i nostri cittadini ma purtroppo non si può combattere la cultura della sedentarietà a colpi di “pesi e Zumba” in città dove andare a piedi o in bicicletta è semplicemente pericoloso.

Sarebbe sufficiente che lo stato ci mettesse in condizione di andare in palestra a piedi e/o in bicicletta e poi anche se nelle palestre private ci stordiscono di pesi e Zumba invece di proporci un razionale programma di attività fisica staremmo già meglio.

Lo stato ci costringe alla sedentarietà con scelte di mobilità urbana folli e anacronistiche e poi si disinteressa assolutamente di questo problema sperando che possano essere i privati ad affrontarlo.

Uno stato che funziona interviene in modo significativo nella distribuzione di attività motoria presso la popolazione e controlla affinché tutti i cittadini possano giustamente avere accesso all’attività fisica per la salute.

Pensare ad una statalizzazione organica dell’attività motoria per tutte le fasce d’età come si fa con l’assistenza sanitaria pare folle utopia, un’idea insostenibile in uno stato che ha altri grandi problemi ai quali non riesce a porre rimedio.

Ipotizzare che lo stato possa affrontare il tema della sedentarietà in tempi brevi poi è quanto meno sconsiderato, se proprio ci sono delle urgenze non riguardano certamente quest’ambito.

Eppure in altre questioni, quando c’è stata una parvenza di urgenza, nemmeno accertata ma solo ipotizzata scientificamente, lo stato si è mostrato rapido e determinato con scelte nette e decise che sono riuscite a scontentare tutta la popolazione ma hanno comunque sortito effetti significativi. Si pensi alla questione vaccini che per chissà quali alchimie è stata improvvisamente ritenuta una questione urgente: lì in pochi mesi è stata approntata una legge drastica, non c’è stato tanto dibattito e, addirittura quando una regione (il Veneto) ha chiesto una deroga di due anni sull’applicazione della legge perché una sperimentazione fatta in quella regione aveva ampiamente dimostrato che si riusciva ad andare su risultati più che accettabili di vaccinazione agendo in modo diametralmente opposto, le è stata rapidamente negata la deroga in modo incomprensibile.

Dunque lo stato è rapido e solerte solo in alcune circostanze mentre in altre latita, non esiste, non è presente e spera che i privati possano porre rimedio al vuoto lasciato da esso.

Come organizzazione statale dell’attività motoria siamo una specie di terzo mondo. Da questo punto di vista forse sono leghista, sarei per chiudere i porti. Chiudere i porti alle varie attività fisiche di moda provenienti dal Brasile, dall’Oriente e rifiutare tutto ciò che viene dall’estero fin tanto che non è stato approntato un piano per l’attività motoria nazionale. Come si fa a fare la Zumba o imparare le discipline di movimento orientali se non siamo più nemmeno capaci di camminare e facciamo dieci giri con l’auto attorno all’isolato fin tanto che non si libera un posto perché già l’idea di fare mezzo chilometro a piedi ci getta nelle disperazione?

Siamo lo stato del cardio fitness, dove nelle palestre private ti fanno camminare su un tapis roulant mentre un cardiofrequenzimetro ti controlla le frequenze cardiache ma poi quando vai a casa prendi la macchina perché la palestra è in tanta malora a chissà quanti chilometri da casa tua e quelle poche che trovi in centro fai fatica ad arrivarci perché devi fare lo slalom fra i marciapiedi dissestati.

Io predico da anni che occorrono insegnanti disinteressati che possano proporre alla cittadinanza piani di attività motoria che non abbiano nulla a che fare con le mode suggerite dalle palestre. E’ chiaro che questi insegnanti dovrebbero essere pagati dallo stato e non dalle palestre private alle quali questi insegnanti non devono assolutamente rendere conto ma è anche chiaro che in tale contesto questi insegnanti rischierebbero di mandare a fare attività motoria i loro allievi all’estero perché da noi non esiste la mentalità dell’attività motoria per tutti e pertanto in certe situazioni ti vedi proprio costretto ad iscriverti ad una palestra privata.

Prima ho detto di sentirmi “leghista” da un punto di vista dell’attività motoria perché penso ad un’attività motoria “prima pensata per gli italiani” più che per l’accoglimento delle mode straniere, ma forse più che leghista sono addirittura fascista perché purtroppo nel nostro paese il concetto di attività motoria per tutti è associato ai tempi del fascio di quando si riteneva che tutta la popolazione dovesse servirsi dell’attività fisica per migliorare lo stato di salute generale.

Allora, tanto per difendermi dall’accusa di leghismo e pure di fascismo, mi cucco anche quella di comunismo così mi riequlibrio. L’idea di uno stato presente che non se ne strafrega delle esigenze dei suoi cittadini è anche un’idea comunista perché ogni statalizzazione ha alla sua base il concetto di stato sociale.

Ecco, per cui leghista, fascista e pure comunista (ci aggiungerei anche vecchio democristiano perché Gesù Cristo diceva che bisogna aver cura del nostro corpo…) ma io sono fermamente convinto che l’attività motoria non può essere lasciata in balia del libero mercato perché il libero mercato fa ciò che ha fatto a Taranto con il polo siderurgico.