SPORT E BAMBINI

Al campo sportivo un signore un po’ attempato (un po’ più di me ma forse mi ha avvicinato proprio perché ha notato che anch’io non sono più proprio un giovincello…) mi avvicina e mi dice: “Ho la strana sensazione che gli allenatori moderni abbiano paura a far fare fatica ai ragazzini. Io ho avuto l’onore di allenare atleti di altissimo livello e con alcuni ho cominciato proprio presto e garantisco che non c’era proprio il rischio di fargli fare troppa fatica, avevano un recupero eccezionale e facevano anche allenamenti che adesso nessuno di questi allenatori osa proporre…Dicono che se gli fai fare troppa fatica questi scappano via…”.

Ho risposto subito dicendo che avevo capito l’osservazione ma altrettanto subito mi sono calato in una posizione di confronto prendendo per un momento le difese dei giovani e facendo finta di essere giovane anch’io: “Purtroppo è vero” ho replicato “se questi gli fai fare troppa fatica ti scappano via subito, bisogna trovare le strategie per farli divertire…” E la replica dell’allenatore di un tempo: “Io li preparavo per farli vincere e quello era il divertimento. Adesso questi li preparano per ottenere risultati modesti come se fossero già dei vecchi che non possono spingere più di tanto sull’acceleratore.” A questo punto sono uscito con uno dei miei anatemi: “Purtroppo c’è stata una involuzione delle pratiche di allenamento ed i bambini non giocano più come una volta, arrivano al campo sportivo che sono già in ritardo di apprendimento motorio, sono mediamente meno preparati dei bambini di un tempo.” D’accordo sul dato inconfutabile del minor gioco rispetto una volta (è letteralmente sparita la strada come luogo di gioco libero) mi sono scoperto più vecchio del mio interlocutore, almeno ideologicamente, sull’opinione sulle pratiche allenanti. Lui ha detto “No, non c’è stata involuzione delle metodologie di allenamento, sono questi che usano i sistemi di una volta perché hanno paura di fargli fare fatica!”.

Ecco qui anche se sostanzialmente sono d’accordo con il mio interlocutore voglio spiegare bene il mio punto di vista leggermente diverso. Le tecniche di allenamento di 40 anni fa a mio parere erano più evolute di quelle di adesso solo che adesso non sono più proponibili perché ci si trova a lavorare con ragazzini che hanno già un ritardo di apprendimento motorio. Con questi ragazzini anche i tecnici di un tempo avrebbero dovuto agire diversamente. C’è però da osservare che anche con i ragazzini abbastanza performanti i tecnici attuali si trovano a proporre cose che francamente sono uno scalino sotto a quelle che venivano proposte una volta. E’ come se ci fosse un adeguamento verso il basso: visto che li devo seguire in gruppo (e si tende a seguire sempre di più in gruppo anche negli sport prettamente individuali) li seguo sulla base delle esigenze dei meno performanti e gli altri si adeguano.

Attenzione che non sto proponendo la specializzazione precoce, tutt’altro. Io sono convinto che i ragazzini arrivino al campo sportivo mediamente troppo presto. A mio parere dovrebbero stare molto più tempo a giocare con giochi assolutamente non codificati e che nulla hanno a che fare con lo sport. Adesso si passa ai corsi propedeutici allo sport già a 7-8 anni quando io ritengo che sport tipo l’atletica leggera andrebbero affrontati non prima dei 12-13 anni. In certi sport mi dicono che a questa età uno è già vecchio e sta già pensando di smettere se non ottiene certi risultati (per esempio nel nuoto, nel calcio, nella ginnastica artistica). Per me questa è un’ autentica aberrazione dello sport perché a quell’età del ragazzino atleta non si sa ancora assolutamente nulla se non, appunto, se ha giocato poco o abbastanza nel’infanzia e se ha giocato poco è proprio il caso di invitarlo a fare sport prima che sia troppo tardi.

Che i tecnici moderni abbiano paura a far fare fatica ai ragazzini non mi sorprende, questi sono poco abituati a giocare, sentono la fatica in modo preoccupante più di quanto la sentissimo noi e poi c’è un aspetto da non sottovalutare che non sono riuscito a sviscerare (non abbiamo fatto un simposio…) con il mio interlocutore, che ha una grande importanza: questi sono pieni di impegni e rischiano di vedere lo sport come un impegno invece che come una valvola di sfogo.

Questa osservazione forse si aggancia con quella fatta dal signore che “allenava per vincere”.  Adesso sono talmente carichi di impegni, che anche se non in ritardo di capacità motorie arrivano al campo con la mentalità di un atleta veterano che chiede alla pratica sportiva solo di mantenere un buon livello di salute, le velleità di risultato sono completamente assopite.

Ecco, forse il discorso iniziale (e finale al tempo stesso) è proprio questo: le tecniche di allenamento si sono adeguate ad un modo di intendere lo sport che per gli adolescenti (e sottolineo adolescenti perché a mio parere i bambini devono giocare, tantissimo, ma “giocare” più che fare sport) non va molto bene perché invece di propendere ad un sano gusto verso la vittoria si accontenta di obiettivi che vanno bene per gli adulti non agonisti ma non per gli adolescenti.