SIAMO POSITIVI…

E tutti pensano al Covid. Essere positivi vuol dire essere persone serene e costruttive, non “avere il Covid”. Ma tant’è la televisione continua a rimbecillirci con lavaggi del cervello e pertanto essere positivi in questo periodo vuol dire solo avere il Covid.

E’ chiaramente difficile essere positivi in momenti di crisi economica e qualcuno si può anche razionalmente chiedere se non sia un po’ folle esserlo. Insomma è quasi più normale essere positivi al Covid che essere positivi nei confronti della vita in questo periodo ed è per quello che se dici “Siamo positivi” tutti si scansano perché pensano al Covid.

Essere positivi vuol dire guardare il mezzo bicchiere pieno più che quello vuoto, cogliere gli aspetti gradevoli dei cambiamenti e non avere una prospettiva catastrofica sulle previsioni di quelli che avverranno in futuro.

A volte ci pare di vivere in un mondo a due velocità. Quello della televisione, ingessato su stereotipi di mezzo secolo fa e quello della realtà oggettiva che va avanti anche se nel virtuale non accade nulla. Così si divarica sempre più una dicotomia fra ciò che ci viene raccontato dai mezzi di informazione e ciò che sperimentiamo direttamente nella vita di tutti i giorni.

E’ come se vivessimo due vite: una reale ed una in un set cinematografico gigantesco che comprende televisione, internet, giornali e tutto ciò che è raccontato e vissuto in seconda battuta più che in prima persona.

Essere positivi vuol dire anche rendersi conto che se lo spettacolo televisivo quasi sempre è deprimente non necessariamente deve coincidere con la realtà oggettiva, anzi, per fortuna, questa molte volte smentisce tutto quanto ci viene raccontato dai mezzi di informazione.

E’ chiaro che chi ha paura dei cambiamenti si sente un po’ coccolato da una realtà immutabile che è standardizzata più o meno da quando esiste la televisione. Se devo dare una definizione un po’ originale della televisione dico che è quell’elettrodomestico potenzialmente rivoluzionario che è riuscito a camuffare egregiamente gli enormi cambiamenti epocali degli ultimi 70 anni e ci è riuscita così bene che è addirittura entrata in una sua realtà oggettiva che è riuscita a condizionare in modo determinante. La televisione non solo ha raccontato la storia ma l’ha anche fatta, o meglio, almeno ha provato a farla.

Allora chi sostiene la televisione dice che racconta anche delle realtà. Racconta le sue realtà quelle che ha costruito per sopravvivere ed anzi le racconta meglio di tutti gli altri perché nessuno come la televisione racconta meglio la storia della televisione.

Qualcuno vede il mezzo bicchiere pieno nel fatto che non tutta la storia sia quella raccontata dalla televisione e notare come la discrasia sui due tipi di realtà abbia raggiunto il massimo di significatività in questi tempi non è per niente una cosa malvagia.

In questo senso sono positivo (ottimista, non positivo al Covid…) anch’io perché penso che se questa sia una cosa traumatica per chi ha sempre ritenuto che la televisione sia uno strumento di informazione insostituibile non lo sia proprio per niente per chi in realtà è stufo già da tempo di una informazione monolitica e non aderente alla realtà oggettiva.

Qualcuno scrivendo della pandemia ha scritto che siamo in un contesto di dittatura sanitaria. Non sono per niente d’accordo e sostengo che chi ha fatto questa osservazione abbia preso lucciole per lanterne. Si è scambiata la dittatura della televisione nella quale siamo immersi ormai da più di mezzo secolo (mitica in tal senso una citazione del grande regista e attore americano Woody Allen “Il cinema si ispira alla vita, peccato che la vita si ispiri alla televisione…”) con una presunta dittatura sanitaria. Avete forse visto in giro medici che inseguono i pazienti? Nulla di tutto ciò. Ciò che succede invece è che grazie ad una certa propaganda televisiva vengono pubblicizzati protocolli sanitari che diventano addirittura oggetto di regolamenti e di mosse politiche avvallate da cittadini che invece di ascoltare i medici ascoltano la televisione. E’ un circolo vizioso dal quale la classe medica ne esce confusa e frastornata perché ostacolata nel suo lavoro da una mole colossale di informazioni fuorvianti. C’è gente che prende un certo farmaco solo perché ha visto la televisione, senza nemmeno consultare il proprio medico. Passi questo atteggiamento insulso quando si tratta di farmaci di poco conto ma quando si tratta di protocolli sanitari di una certa importanza dribblare il proprio medico per accettare per buoni i consigli della televisione può essere proprio una scelta scellerata ed in taluni casi addirittura fatale.

Nel campo dell’attività motoria scoprire che il modello televisivo dell’attività motoria è un modello artefatto che risponde essenzialmente agli interessi del mercato non è una brutta notizia, tutt’altro, e può aprire nuovi orizzonti.

E’ chiaro che anche qui la discrasia con il modello televisivo ci può creare imbarazzo e disorientamento. Per esempio con il Covid la televisione ci ha insegnato a stare a casa (a vedere la televisione appunto in modo da poter essere meglio indottrinati sugli schemi televisivi) mentre la gente ha capito subito che chi si ammalava di meno era chi, con le dovute precauzioni, usciva all’aperto e scappava dal virus. Quando tutti ci siamo resi conto che il virus si è replicato meglio grazie alle chiusure forzate nessuna televisione, né di stato, né privata, ha fatto ammenda di ciò perché tale clamorosa retromarcia avrebbe provocato il crollo di ogni certezza e seriamente ostacolato tutti i “diktat” successivi.

Le bugie hanno le gambe corte e ormai non si può più nemmeno parlare di una dittatura della televisione perché è sotto gli occhi di tutti l’inconsistenza del mezzo televisivo come strumento per la diffusione di informazioni attendibili. Ciò che lascia perplessi invece è l’appiattimento della classe politica su questo modello e quello è un problema per la politica vera e propria che è stata svuotata nei suoi contenuti da “esigenze televisive”. La politica non ha il coraggio di ribellarsi al modello televisivo perché ne è schiava e ne la prima vittima.

Ma anche qui bisogna avere il coraggio di guardare il mezzo bicchiere pieno. Così come possiamo accontentarci di criticare lo sport televisivo ma se non ci mettiamo a fare sport davvero non capiremo mai nulla di sport, possiamo anche accontentarci di criticare la politica televisiva ma se non ci mettiamo a far politica non capiremo mai nulla di politica.

Esiste una realtà oggettiva che va oltre a quella della televisione. Esiste dappertutto: in politica, nello sport, nel mondo del lavoro e pure in cucina dove pare non si possa più fare nulla senza guardare la televisione. Ma vi garantisco che c’è gente che sa far da mangiare molto bene anche senza guardare la tv. E’ un po’ come l’atleta di alto valore che non è inquadrato dallo schermo. A volte vale anche più di quello inquadrato, per tanti motivi anche piuttosto difficili da spiegare.