SCALA DI BORG E “DESCRIZIONE” DELLA FATICA

Con la scala di Borg si vuole riassumere in un numerino un unico indicatore per definire la fatica di un certo atleta. Per conto mio è un po’ pochino e questo numero potrà tornare utile a chi vorrà fare improbabili studi di tipo statistico, di quelli “all’americana” tanto per intenderci, ma non può essere assolutamente sufficiente per descrivere lo stato di fatica di un atleta in seguito o durante un certo tipo di impegno fisico.

Per cui non dovendo documentare un bel nulla con il metodo scientifico ma dovendo interloquire solo con un atleta molto meglio usare tante parole che un solo numero. Chiaro che questo modo di agire anche se molto più attendibile e, anche da un punto di vista scientifico più tollerabile, ha un grande problema: che porta via molto tempo. Allora forse l’unico vero merito della scala di Borg è quello di far risparmiare tempo e poter costruire una specie di lessico (un lessico in numeri…) comune per soggetti diversi che devono descrivere velocemente anche se in modo grossolano e non certo preciso il loro stato di affaticamento.

Se il nostro obiettivo è tentare di individuare davvero lo stato di affaticamento dell’atleta in questione più che la scala di Borg è proprio importante usare tante parole e attenzione che la capacità di interloquire con l’atleta stesso diventa fondamentale per aver una descrizione più fedele possibile.  L’allenatore dell’atleta ha il grande vantaggio di conoscere proprio il linguaggio dell’atleta che è molto individuale perché anche se parliamo la stessa lingua ognuno di noi ha un suo modo di riferire le cose che è tipicamente personale. Una “grande fatica” che per l’atleta “X” corrisponde ad una fatica veramente difficile da affrontare e che crea un grande disagio, per l’atleta “Y” può anche corrispondere ad una fatica normalissima che è quella che l’atleta “Y” prova normalmente in allenamento tutti i giorni ma siccome l’atleta “Y” sta vivendo una situazione di stress nell’ambiente sportivo (magari per motivi che non c’entrano niente con lo sport perché è semplicemente stressato dalla scuola che incombe con le sue centomila verifiche di fine anno…) allora quella fatica normale diventa una “grande fatica” ed hai voglia tu ad identificarla con un solo numero della scala di Borg quando invece devi scavare e scavare a parole per andare a capire che magari non è nemmeno una fatica dell’impegno sportivo ma una fatica esistenziale che si trascina dalla mattina, accumulata sul banco di scuola e che rende più faticoso anche l’addestramento sportivo.

La descrizione della fatica è un fenomeno molto complesso e richiede notevoli doti pedagogiche da parte dell’allenatore oltre che una buona padronanza del linguaggio e una conoscenza specifica dell’impiego del linguaggio da parte dell’atleta. Non è importante solo conoscere la lingua dell’atleta quanto sapere come questo si esprime con quella lingua. Due atleti che conoscono perfettamente la lingua italiana e la usano con grande maestria (il classico “8” in italiano…) possono usarla in  modo molto diverso per descrivere lo stesso stato di fatica.

Per cui la scala di Borg è solo un numerino più o meno come quello che appare sul display del cardiofrequenzimetro, aggeggio che purtroppo non tramonta mai di moda anche se ormai è da quarant’anni che devasta le descrizioni degli allenamenti degli atleti degli sport di resistenza ed è un numero che in termini assoluti da gran poche indicazioni sul grado di affaticamento di un atleta. Diciamo che se, per motivi statistici dovessimo limitarci a descrivere la fatica con dei numeri senza usare le parole probabilmente di indicatori tipo la scala di Borg ed il parametro della frequenza cardiaca ne avremmo bisogno di circa una trentina e allora capite che, per quanto i numeri siano più facilmente rielaborabili a livello statistico delle parole, tutto sommato si fa prima ad intendersi con una bella descrizione a parole, soprattutto se fra tecnico ed atleta c’è un linguaggio collaudato.

Ma c’è necessita di descrivere rapidamente la fatica, non c’è tempo per descrizioni dettagliate e che richiedono molto tempo. Allora mi basta dire per far capire il concetto che in un rapporto ben collaudato fra allenatore ed atleta se c’è una comunicazione valida ed efficace con una sola rapida occhiata si trasmettono decisamente molte più informazioni di quelle che si possono trasmettere con tre o quattro numeri quali scala di Borg, frequenza cardiaca, livello di concentrazione del lattato (che certamente non si vede solo con un’occhiata) e rilevazione del CPK che è un altro parametro che si può determinare a livello medico ma non si può certamente dire in due secondi. Alla fine la comunicazione con le proprie parole oltre ad essere la più precisa è anche la più rapida. Ovviamente bisogna saperci fare con le parole altrimenti si è condannati a lavorare con i numeri, a prescindere dall’esigenza di compilare l’ultima americanata di studio pieno di numeri ma un po’ privo di contenuti.