ROCKY E LO SPORT

Ho rivisto il film “Rocky”, mi ha fatto sorridere e mi ha fatto pensare.

Intanto penso che alla presentazione di questo film nessuno si immaginasse che sarebbe diventato un “cult” ed in questo senso Silvester Stallone ha fatto praticamente di più del suo Rocky. Praticamente Silvester Stallone sembrava inventato per recitare la parte di Rocky e anche se ha avuto un successone in tantissime altre parti è rimasto comunque “Rocky” più che Silvester Stallone, anche se qualcuno, insistendo in questo processo di identificazione attore-personaggio, lo chiama “Rambo”.

Poi mi viene più che spontaneo l’accostamento di Rocky con il Cassius Clay di Kinshasa (incontro avvenuto prima della produzione di “Rocky” e pertanto possibile fonte di ispirazione per le gesta del personaggio cinematografico) nel senso che Rocky è fondamentalmente un pugile capace di prenderle, uno in grado di incassare una quantità infinita di colpi continuando a resistere e Cassius Clay a Kinshasa, nel 1974, è riuscito a riconquistare il titolo di campione del mondo ai danni di Foreman proprio utilizzando quell’arma della “capacità di incassare”. Ma Rocky nel suo personaggio è se vogliamo più coerente di Cassius Clay. Cassius Clay è più controverso, in modo dissacrante potrei dire quasi comico (anche se forse in un incontro altamente drammatico come quello di Kinshasa sarebbe da dire “tragicomico”) perché fa lo spaccone fino a pochi minuti di salire sul ring quando sa benissimo che potrà giocare solo l’arma della difesa, sa di essere una spanna sotto il suo rivale e sa che se uno dei due può massacrare l’altro questi è proprio Foreman. Cassius Clay può solo resistere, non può fare altro e quei momenti, abilmente narrati nel film documentario “Quando eravamo re” nei quali Cassius Clay passa da personaggio per la stampa a pugile che deve affrontare un incontro quasi impossibile (avevo paura che mi uccidesse), sono momenti epici della storia del cinema oltre che della Boxe dimostrando come cinema e realtà possono interagire per spiegare certe cose.

Rocky è più coerente, più semplice, come spesso accade la Realtà è più complessa della finzione cinematografica. Rocky è uno che resiste dappertutto, anche nella vita e questa semplicità lo fa diventare campione d’incassi. Il vero attore sembra Cassius Clay capace di gettare la maschera solo pochi minuti prima di salire sul ring. Il personaggio vero sembra Rocky, coerente alla sua immagine umile.

Rivedendo Rocky ho pensato come, anche se in modo molto più complesso, in effetti nello sport molte volte si tratta di resistere più che di attaccare.

Poi mi è venuto da sorridere a vedere i suoi allenamenti, ho pensato che nella realtà per il tipo di allenamenti messi in scena nel film quel personaggio poteva quasi diventare più un campione dei 1500 metri più che un grande pugile. E ho capito perché Rocky aveva contagiato anche me da ragazzino e mi aveva entusiasmato. Rocky si esalta nella corsa, mena dei grandi pugni ma si esalta nella corsa che è quella che gli consentirà di “resistere” poi sul ring. Rocky è un resistente e nell’immaginario la scena infinita è quella della corsa che termina con la scalinata a grandi balzi che lo proietta verso il ring.

Proseguendo nei pensieri e nell’interiorizzazione del personaggio perché alla fine il confronto con noi stessi è sempre inevitabile, sia che siamo pugili, che siamo podisti, che siamo giocatori di scacchi o anche semplicemente impiegati postali con una serie di problemi che non sono né  dei giocatori di scacchi né dei podisti e tanto meno dei pugili, ho capito che il tipo di resistenza richiesta nello sport è un tipo di resistenza particolare: la resistenza a non fare fesserie.

Anche qui in modo tragicomico (perché nello sport se vissuto intensamente c’è comunque un certo “pathos”) ho pensato che forse l’unica cosa che accomuna la mia tranquilla carriera di master alla un po’ rocambolesca carriera di seconda schiera impegnata di un mezzofondo di tempi epici è la capacità di resistere alla tentazione di fare fesserie. In tal senso sono molto allenato perché quella capacità l’ho messa a dura prova ed addestrata poi nei tempi dell’attività agonistica vera. Anzi ad essere pignoli se l’avessi già avuta molto sviluppata, quella capacità, avrei potuto resistere come atleta molto più di quello che sono resistito e avrei potuto passare all’attività amatoriale ben più tardi.

Mi diverto ancora a correre anche come atleta master e mi rendo conto che comunque non è facilissimo farlo, soprattutto per chi ha fatto attività agonistica, in quanto il confronto con i tempi andati è fin troppo istintivo. Ancor più nell’attività master il vero successo è resistere, a prescindere dai risultati, anche molto modesti, che si ottengono. Se si vuole proseguire nell’attività, ed è opportuno farlo perché oltre che divertente fa bene alla salute  (per il sottoscritto, potenzialmente artrosico in quanto geneticamente predisposto all’artrosi, è quasi una prescrizione medica…) è opportuno pensare molto a ciò che si fa. Mi ricordo che da ragazzino, mentre facevo 30 o 40 volte i 60 metri alla mia massima velocità, magari in una strada secondaria senza auto, trovavo spesso qualcuno che mi chiedeva se me l’aveva ordinato il medico e rispondevo che quello era uno dei sistemi per costruire la resistenza specifica dell’ottocentista, adesso potrei tranquillamente rispondere “Sì! Me l’ha ordinato proprio il medico”. C’è che i 60 metri alla mia massima velocità mi vergogno a farli per strada, al massimo ne farei dieci senza dare il tempo a nessuno di accorgersi che sto facendo qualcosa di strano e soprattutto… non esistono più strade secondarie senza auto perché le auto ci sono proprio dappertutto e se qualcuno ha strane velleità è proprio costretto ad andare in pista, su strada è già tanto se ci corri lentamente, altro che 60 metri alla massima velocità…

Per cui, se dovessi fare un film sulla mia carriera, ci sono si queste tante prove sui 60 metri anche su strada come Rocky appunto, ci sono quelli che mi chiedono se me l’ha ordinato il medico che tradotto è un po’ come dire “Ma lascia perdere, chi te lo fa fare?” ma soprattutto ci sono dei momenti, e quelli non si possono tradurre in arte cinematografica, nei quali devo dire a me stesso “No quell’allenamento lì domani non ci può stare perché non ce la faccio a sostenerlo, quella gara non la posso fare perché ci arrivo intossicato e non ha senso farla…” E così anche adesso è più la fatica di rinunciare a certi allenamenti per proseguire l’attività che non lasciarsi andare a certi istinti compromettendo una buona quantità di sedute di allenamento. L’anno che mi sono allenato di più di questa ormai quasi lunga carriera da master è stato l’anno che ho avuto la broncopolmonite e non è stato un caso. Quell’anno ho fatto molta fatica a riprendermi da una broncopolmonite diagnosticata in ritardo e trattata male nei suoi esordi (pareva asma allergico al quale io sono soggetto più o meno da quando si è diffuso l’inquinamento da gasolio, in questo sono in tutto e per tutto come gli ex  tedeschi dell’ est che hanno cominciato ad accusare le allergie da quando si sono presi le auto a gasolio degli occidentali…), mi ero accorto che la corsa mi aiutava a contenere il dosaggio di farmaci per riprendermi dalla broncopolmonite, migliorava la condizione respiratoria e così, violentando me stesso a non fare assolutamente nessun allenamento potenzialmente pericoloso a livello di sovraccarico articolare, sono riuscito a non infortunarmi praticamente mai nel corso della stagione infilando una serie di allenamenti senza interruzione che era da tanto che non riuscivo a fare.

Da Rocky a quello che non fa fesserie in allenamento per potersi allenare di più e quindi curare meglio la broncopolmonite ce ne passa però lo spirito è quello. Rocky resiste ai sonori colpi che gli molla il campione del mondo “Apollo”, chi fa sport a livello amatoriale deve resistere alla tentazione di fare stronzate molto istintive che se uno non ci pensa su con molta calma rischiano di compromettere la preparazione. E attenzione che una delle più grosse differenze fra un giovane ed un meno giovane nello sport è proprio questa: che quando un giovane fa qualche giorno di pausa per colpa di un infortunio o chissà cos’altro quando riprende è più agile e reattivo di prima, invece un atleta master  che riprende l’attività dopo un po’ di allenamenti saltati per colpa di un infortunio o anche semplice indisponibilità di tempo è un vero e proprio rudere e si rende conto che quella pausa, necessaria per certi motivi, ha fatto una quantità di danni su altri fronti.

In scena va molto bene il Rocky che corre e fa fatica, la fatica da fare nello sport vero di tutti i giorni in realtà è un’ altra ed è proprio quella di capire cosa è più opportuno fare, perché se non si riflette abbastanza l’infortunio è sempre in agguato.

Poi possiamo anche fare gli splendidi e fare i Cassius Clay della situazione dicendo “Spacco tutto!” ma inesorabili arrivano quei cinque minuti dove devi davvero decidere cosa fare e se decidi bene, vincente o perdente resisterai sul ring se invece decidi male lo sport fatto male ti butta proprio fuori dal ring. Lo sport, di Rocky e di tutti, può anche far sorridere ma alla fine è sempre una cosa seria.