PUBBLICO E PRIVATO: OPPORTUNITA’ E OBBLIGHI “MORALI”

L’attività fisica in Italia sta diventando sempre più un fatto di mercato e purtroppo lo è anche con riferimento a fasce “deboli” della popolazione e con riferimento ad organizzazioni che ad un primo esame dovrebbero essere ritenute prettamente pubbliche. Accade che i Comuni, perennemente in crisi, si trovino nella condizione non solo di non erogare più contributi per la gestione dell’attività motoria delle fasce deboli ma addirittura siano costretti a fare dei calcoli di convenienza quando vanno ad organizzare anche l’attività fisica che utilizza strutture pubbliche. Un palazzetto, una palestra, una piscina, hanno un loro costo di gestione che è indipendente dalla fascia sociale di provenienza degli utilizzatori. Questi costi sono talvolta anche molto alti e possono riversare sugli utilizzatori anche quote di partecipazione alla spesa (pulizie, energia elettrica etc.) abbastanza significative che non tutte le società sportive  sono in grado di affrontare. Le società sportive non hanno finalità di lucro ma devono comunque pagare un istruttore per gestire l’attività, hanno spese di segreteria ed altri costi, possono trovarsi costrette, e questo è il punto, a scegliere attività più remunerative, indirizzate ad una clientela in grado di tirar fuori qualche soldino in più. Ovviamente i prezzi sono calmierati e non si possono chiedere quote di iscrizione esose all’utenza che frequenta una struttura pubblica però si può arrivare ad alterare l’attività proposta per incrementare le entrate anche con altre strategie che non dovrebbero essere quelle di chi offre un servizio pubblico e che sono invece purtroppo quelle normalmente adottate dalle strutture private, su tutte queste, due soluzioni che devono essere attentamente valutate in sede di organizzazione di un’attività indirizzata alla cittadinanza.

In primo luogo l’adeguamento alle “mode”: non si offre più il servizio veramente necessario, quello di profilassi sanitaria, l’attività fisica che veramente occorre alla popolazione ma ci si adegua alle strategie di mercato dei privati, si propone il prodotto del momento, la moda del momento, che poi serva qualcosa alla salute della gente quello non conta, l’importante è che “tiri” a livello di immagine, che procuri iscritti. Seconda cosa direttamente collegata a questa: una nuova attenzione ai numeri dei corsi. Il corso sotto numero diventa un pericolo pubblico, mentre un tempo era considerata un’opportunità per l’insegnante per poter lavorare ancora meglio adesso viene visto come l’incubo da cui fuggire: bisogna assolutamente riempire i corsi anche oltre quanto tecnicamente opportuno per scongiurare il rischio di un deficit di entrate.

Siamo passati in pochi anni dal contributo “garantista”, che consentiva comunque di organizzare il corso anche se andava in deficit, alla necessità di organizzare esclusivamente corsi che diano buone entrate. Io dico che deve esserci una via di mezzo fra questi due atteggiamenti antitetici e deve comunque esserci l’individuazione di alcune categorie di utenti e tipologie di attività che devono essere tutelate a livello di servizio pubblico. Alludo in primo luogo a bambini e soggetti di terza età che per motivi diversi sono quelli che faticano di più a trovare soddisfacimento ai loro bisogni nelle strutture private.

I bambini hanno bisogno di grandi spazi e difficilmente trovano spazio nelle attività offerte dalle strutture private, per strada giocano sempre di meno e se non trovano sfogo nelle varie attività sportive organizzate dagli enti locali finiscono per fare i sedentari: da questo punto di vista le società che gestiscono calcio e pallavolo sono delle vere e proprie strutture di supporto per la scuola che non riesce assolutamente ad ottemperare alle necessità di attività fisica dei ragazzini. Vigilare affinché le società che garantiscono questi servizi possano sopravvivere anche senza essere costantemente costrette a sfornare campioni per avere entrate extra è un obbligo morale. Se la sopravvivenza di una certa società sportiva è legata al numero di campioni che sforna allora può benissimo essere che l’anno che c’è la congiunzione astrale sbagliata (stiamo trattando di “stelle” dello sport…) questa società vada in crisi economica e sia pure costretta ad aumentare le quote di iscrizione per l’attività dei ragazzini.

Passando alla terza età il discorso non è molto diverso, anzi forse ancora peggio. Dalla terza età non possiamo illuderci che vengano fuori campioni, al più se lavoriamo proprio bene possiamo attenderci che campino di più e dunque potenzialmente potrebbe aumentare il numero degli iscritti. Dico potenzialmente perché poi la realtà sociale è diversa. Il nonno in buone condizioni viene sempre più sequestrato dalla famiglia che, proprio visto che è in buone condizioni, lo utilizza per fare il nonno e dunque per scarrozzare il pargolo a destra e a manca ed insomma per riprendere a lavorare a tutti gli effetti come nonno. Situazione paradossale: il neo-pensionato va in palestra a rimettersi un po’ in sesto e poi, sul più bello che ci ha preso gusto, viene sequestrato dalla famiglia per rimettersi a lavorare come nonno. Inevitabile che anche lì se qualche corso va in deficit di numeri si crei pure un deficit di bilancio e lì non si può certamente sperare nella produzione del campione che risani le casse del sodalizio sportivo. Bisognerebbe chiedere un rimborso spese alla famiglia che ti sequestra il nonno, te l’abbiamo messo in buone condizioni, adesso ci paghi un’indennità per la sua “utilizzazione”. L’obbligo morale è ben evidente anche lì: dobbiamo riuscire a garantite l’organizzazione di questi corsi di attività motoria per la terza età perché altrimenti quelli che ne restano fuori che non sono ancora richiesti come nonni militanti se devono rivolgersi alle strutture private per fare attività fisica per la terza età rischiano di essere spennati e soprattutto rischiano di non trovare personale qualificato perché quasi mai nelle strutture private esiste uno specialista della terza età scelto ad hoc per questo.

Insomma come gestori di attività fisica insistente su strutture pubbliche siamo costretti a pensare a queste cose perché certamente nella distribuzione di offerte di attività motoria esistono degli obblighi morali. Chi tira fuori meno soldi può rischiare di essere trascurato e, in una società civile, questa cosa deve assolutamente essere scongiurata.