PSICOPATOLOGIA DEL LUNGO-LUNGO

Il lungo-lungo o “lungone” o “lunghissimo” è quella corsa su una distanza molto lunga, generalmente parecchio più lunga di quelle che vengono normalmente adottate per fare il “fondo lento” e che usano molto spesso i maratoneti ma per qualche vizio preso nella notte dei tempi usano ogni tanto anche i corridori di medie e brevi distanze. Pare che per questi ultimi l’allenamento sul “lungo-lungo” sia praticamente inutile ma c’è da dire che più di altri allenamenti il lungo-lungo crea una certa assuefazione, che è più di tipo psicologico che fisico, che fa sì che anche se i tecnici dicono che non ha senso perdere tempo e sprecare fatica con queste corse il mezzofondista fa finta di non sentire ed ogni tanto si mette a fare un bel lungone come se fosse un maratoneta. Il sottoscritto non è esente da questa patologia e anzi già da ragazzino ero famoso per avere questa strana mania dei lunghi nonostante che fossi un ottocentista ed il mitico Gelindo Bordin vincitore della Maratona ai Giuochi Olimpici di Seoul nel 1988 una decina di anni prima mi aveva soprannominato “l’uomo dei 30 chilometri attorno ad un palo” perché ero pure capace di farmi i lunghi all’interno del campo sportivo.

Sulla psicopatologia del lungone posso disquisire con cognizione di causa perché ne sono ancora dentro pienamente. Se andassi da uno psicologo mi direbbe semplicemente che non devo più fare i lunghi ma io non ci vado e continuo a farli. Però è vero che prima del lungo lungo non sono in una condizione psicologica ottimale così come dopo, che sia andato bene o male quel lungo, basta averlo fatto che sono euforico.

Qualcuno dice che sia masochismo ma non lo è assolutamente: il bilancio è assolutamente positivo nel senso che la goduria di averlo fatto è decisamente superiore al pathos, anch’esso non trascurabile, che crea il “doverlo fare”. E così può pure esserci una vigilia di lungo lungo che uno si sente a disagio perché sente l’imminenza di una discreta rottura di scatole ma dopo la fase di goduria dura svariati giorni ed è più intensa di quella di disagio. Se il Leopardi diceva che la gioia è la cessazione del dolore allora forse aveva proprio bisogno di farsi qualche lungo per provare anche in questo modo il suo convincimento.

Altri dicono che il lungone si potrebbe benissimo sostituire con della cannabis ma questi di lungone non ci hanno capito niente. Forse se ne intenderanno di cannabis ma non ci capiscono niente di lungone. Uno che dice che puoi sostituire un lungone con una canna vuol dire che non sa assolutamente cosa voglia dire correre 25, 30 o 35 chilometri.

Eppure ci sono certamente degli aspetti psicopatologici nella diffusione del lungone anche presso categorie di atleti che potrebbero fare benissimo a meno di farli (per esempio i mezzofondisti). Per esempio, io che non ho assolutamente il vizio dell’alcol e sono quasi astemio, la sera dopo il lungo tendo a bere, anche se in modo non esagerato, e non importa ciò che bevo ma insomma tendo a cercare alcolici. Non so se sia la necessità di contenere l’euforia, dicono che l’alcol alla fine sia un depressore e forse assumere un po’ di alcol è il sistema per riportare il tono dell’umore nei giusti binari. Io la vedo più come una sorta di festeggiamento, visto che ho fatto il lungo festeggio con l’alcol. L’aspetto psicopatologico si evidenzia anche nella differenza di umore che c’è fra allacciare le scarpe prima di fare il lungo e slacciarle dopo averlo fatto: è una differenza troppo marcata per una persona equilibrata. Ed è a tal proposito che ai depressi io consiglierei di provare il lungo-lungo (dopo esserci arrivati gradualmente per preparare prima il fisico, prima ancora che la mente). Questi si gettano in una patologia artificiale, una sorte di astrazione, per poi provare la botta di euforia che è anche piuttosto concreta ed ha un ottimo valore terapeutico. Che l’esecuzione del lungo sia poco correlata con i veri mezzi di costruzione della forma sportiva presenti nel processo di allenamento è dimostrato dal fatto che non si sta tanto a vedere come lo si è eseguito; basta averlo fatto per sentirsene liberati per un po’ e che sia stato condotto a ritmi ridicoli o a ritmi significativi poco cambia, si sa bene che anche questa differenza è poco significativa nella ricerca dello stato di forma. Forse questo discorso vale un po’ meno per i maratoneti che se riescono a fare bene il lungo-lungo a buon ritmo hanno già i presupposti per poter rendere decorosamente nella corsa sulla distanza della Maratona, ma per i mezzofondisti l’esecuzione di un buon lungone magari anche a ritmo discreto non è assolutamente indizio sufficiente per poter fare previsioni di buoni risultati sugli 800 metri o anche sui 1500 metri.

Fra gli aspetti psicopatologici di chi è avvezzo alla pratica del lungone c’è una certa eccentricità sociale che è forse l’unico motivo per cui i fan della cannabis continuano a sostenere che si potrebbe risolvere il tutto con qualche ottima canna. In effetti chi si fa le canne è compreso molto meglio di chi indulge nei lungoni. Si ritiene che farsi un canna sia molto più facile che farsi un lungone e pertanto non ha senso sprecare fatica per nulla, ma se è vero che la canna per certi versi è più “comoda” è anche vero che i suoi effetti benefici sono di gran lunga molto più limitati nel tempo.

L’assuefazione che da il lungo-lungo è molto forte ed il problema è che l’atleta difficilmente vuole liberarsene. Mentre chi si droga sviluppa sensi di colpa nei confronti della droga e anche se fisicamente fa fatica a liberarsi dalla droga da un punto di vista psicologico è sempre in una situazione precaria che potrebbe portare al sospirato cambio di abitudine, al contrario chi non fa i lunghi (magari perché c’è caldo o perchè non ha tempo) sviluppa dei sensi di colpa dopo un po’ che non li fa e studia proprio tutti i sistemi per tornare a farli quanto prima ivi compresa l’idea di andare a fare una trasferta in montagna se in città c’è troppo caldo per sopportare il lungo oppure trovarsi la mezza giornata infrasettimanale libera per farlo anche in giorno non festivo quando, per necessità di cose, dovrebbe naturalmente essere collocato. Insomma il problema principale del malato di lungo-lungo è che lui non vuole liberarsene, non la ritiene nemmeno una malattia ed il fatto che, come nella preparazione dei mezzofondisti, possa servire a poco non è un buon motivo per sostituirlo con altri allenamenti potenzialmente più utili.

Vengono in mente gli amatori di auto storiche che circolano piano con auto scarburate, spesso scomode, che si guastano facilmente, che se per sbaglio vengono bottate costano un sacco di carrozziere, ma non farebbero mai cambio con una vettura più moderna e funzionale. Ecco il cultore del lungo-lungo è così: adotta un sistema di allenamento piuttosto arcaico, scomodo, che in certe situazioni rende pure poco ma non fa cambio con altri sistemi di allenamento più razionali: per certi versi è un collezionista, ogni seduta di lungo infatti ha storia a sé, è un pezzo unico e difficilmente viene confuso fra altre sedute di allenamento. Per certi versi è una psicopatologia abbastanza accettabile e che ha un impatto sociale tollerabile. Insomma se la normalità vi spaventa e le solite sindromi da stress vi annoiano pigliate pure la mania del fondo lungo-lungo è comunque una psicopatologia ma non è molto devastante ed invalidante. Ogni tanto porta via un po’ di tempo, questo sì…