PSICOMOTRICITA’ E PSICOTELEVISIONE

Un tempo i bambini giocavano di più, anche a scuola, e stavano meglio, adesso giocano meno e vanno dallo psicomotricista. Si stava meglio quando invece di fare psicomotricità si giocava punto e basta anche se a sorvegliare quel gioco c’era il bidello, anzi, “soprattutto” per quello. Adesso ci sono gli “Psicogenitori” che denunciano l’insegnante (che per questo diventa “psicoinsegnante”) se il bambino si produce un graffio giocando a scuola e così basta gioco libero a scuola, sia mai che si faccia male il figlio dello psicoavvocato facoltoso che dopo cadiamo in disgrazia tutti.

Tutto il gioco è psicomotricità. Solo che si gioca troppo poco, a otto anni come a dodici, a diciotto e pure a trenta. Si ricomincia a giocare con l’attività fisica verso i 60 anni quando ormai non è più necessario farlo, perché basta andare a camminare nel parco per restare in salute.

Ed allora la psicomotricità è l’emblema, il simbolo di una società che non gioca più con l’attività fisica perché è tutto terribilmente psicoserio e non c’è più spazio per il divertimento, per il gioco. I ragazzini di 15 anni mollano lo sport appena capiscono che non hanno i numeri per diventare dei campioni e si concentrano sullo studio perché non ha più senso dedicare tanto tempo allo sport.

A poco più di trent’anni invece di praticare uno sport che potrebbe vederci ancora quasi al top del rendimento si praticano attività fisiche con puro scopo salutistico come se fossimo dei ruderi da ristrutturare precocemente.

Poi, quando si riscopre lo spirito giocoso dello sport, ci si tuffa dentro magari dopo i 40 anni scatenando passioni che a quel punto è davvero opportuno tentare di controllare per non farsi del male.

E così ci sono gli psico drammi del ragazzino che non gioca più né a scuola e né per strada e va dallo psicomotricista, di quello che, in crisi di rendimento sia nello sport che a scuola, decide di dare più spazio alla scuola e forse ha pure ragione perché se nello sport non si diverte più probabilmente la colpa non è nemmeno sua ma dello psicoallenatore che per lui aveva allestito progetti troppo ambiziosi, del trentenne che affronta lo sport come se fosse un soggetto di terza età e del cinquantenne che ci mette dentro tutte le energie alla ricerca del tempo perduto e si conquista l’etichetta di psicofanatico dello sport amatoriale.

In tale psicocontesto con troppi “psico” davanti mi viene semplicemente da dire che dobbiamo ritrovare il gusto di giocare con l’attività fisica e con lo sport a tutte le età, di dedicarci il giusto tempo che non può essere troppo poco altrimenti il nostro fisico ne risente e, tanto per cambiare, di lasciare un po’ perdere la psicotelevisione e tutte le cose psicotiche con le quali ci bombarda per trovare il tempo per quello sport-gioco necessario per riacquistare un po’ di equilibrio e serenità.