Una volta ho visto un’atleta correre tre volte i 200 praticamente al massimo (era una duecentista che ha corso tre volte in poco più di 23″ e mezzo ed aveva un personale attorno a 23″ netti) con recupero di oltre mezz’ora e pure facendo il test del lattato fra una prova e l’altra. Altre volte ho visto mezzofondisti correre 10 volte i 1000 metri con poco più di un minuto di recupero. Evidentemente è un modo un po’ diverso di affrontare le prove ripetute.
Ci si può chiedere se entrambi i metodi possano avere significato per giungere ad un qualche adattamento e probabilmente la risposta è affermativa salvo puntualizzare che gli adattamenti stimolati nei due modi sono molto diversi.
Se parliamo di specificità il primo metodo, per quanto sconcertante e probabilmente pure stressante per l’atleta, è quasi sicuramente più specifico e diretto nella stimolazione dei meccanismi che portano al risultato in gara.
Però la maggior parte degli atleti, anche se non tutti si mettono lì a correre dieci volte i 1000 metri con un minuto di recupero o poco più, adottano tipologie di prove ripetute molto più simili a queste che non al caso sopracitato. Così, per esempio, trattando di prove sui 200 metri è molto più facile vedere chi ne corre dieci con 5 minuti di recupero o anche meno che non tre con mezz’ora di recupero. C’è da dire che l’atleta che ne corre dieci magari è un ottocentista e non un duecentista e così si ha l’usanza di frazionare molto la distanza di gara per arrivare a distanze totali della seduta di allenamento che sono ben superiori a quella della distanza che si vuole preparare ma ottenute con frazioni ben più brevi. Può capitare che un ottocentista corra 15 volte i 300 metri a buon ritmo e che un millecinquecentista di quei 300 ne corra 30. Zatopek, qualche annetto fa, si diceva che corresse 100 volte i 100 metri in allenamento.
Ci si chiede quanto sia specifico questo modo di operare e probabilmente specifico lo è ben poco, però una sua utilità deve averla altrimenti il tormentone delle prove ripetute iniziato ben oltre mezzo secolo fa avrebbe già abbandonato il campo.
A chi mi pone tale quesito, non senza una certa logica, rispondo che comunque stiamo parlando di corse e dunque allenare le corse con altre corse almeno un minimo di specificità deve averla e come si indugia a preparare le corse con tanti mezzi extra corsa forse può avere senso anche usare in allenamento corse che non sono proprio uguali a quella che si va a fare in gara.
Insistendo sul concetto di specificità mi soffermo poi a considerare che i corridori di lunghe distanze molto spesso indugiano tanto su ritmi di corsa che sono anche parecchio distanti dal ritmo di gara e così, per esempio c’è il diecimilametrista da 30 minuti sui 10.000 metri (tre minuti al chilometro tondi tondi) che si fa molti chilometri di corsa a ritmi talvolta più lenti di 4′ al chilometro andando anche oltre un minuto al chilometro più piano di quanto va poi in gara.
Nella marea di frazionamenti della distanza di gara in vari modi mi preme sottolineare come quando il ritmo della distanza frazionata sia uguale o molto simile a quello della distanza di gara un minimo di specificità ci deva essere. Nei tempi migliori della mia carriera agonistica avevo l’abitudine di andare correre alla mattina presto una trentina di volte i 60 metri con recupero molto breve ad un ritmo che era molto simile a quello che facevo in gara negli 800 metri. Non era un allenamento molto intenso, anzi, però mi aveva dato un qualcosa di abbastanza utile: l’abitudine di correre al ritmo gara praticamente anche dormendo. E’ chiaro che se la mattina presto avessi provato a correre anche solo metà gara a quel ritmo avrei fatto una gran fatica ma con quel frazionamento riuscivo a correre attorno ai 26 chilometri all’ora senza fatica e con una buona economia di corsa.
Quando parliamo di mezzofondo il discorso dell’economia di corsa è centrale e forse è proprio per questo motivo che tante prove brevi, anche se non stimolano un intensità specifica molto elevata, se consentono di raggiungere il ritmo gara aiutano a fare in modo che a quel ritmo si corra in modo sempre più economico.
Insomma uno strano concetto di specificità dice che se il maratoneta che viaggia in gara a 3’20” per chilometro deve correre in allenamento a 3’30” massimo 3’40” per chilometro per correre in modo abbastanza simile a quello di gara, l’ottocentista che corre in gara a 2’20” per chilometro (1’52” sugli 800) deve correre in allenamento almeno a 24 chilometri all’ora (15″ ogni cento metri) per correre con tensioni che assomiglino almeno un pochino a quelle che si verificheranno poi in gara.
Questi discorsi sono tutti discorsi un po’ astratti però è abbastanza accettato il concetto che sia importante pensarci un po’ su perché essendo le preparazioni alla corsa sempre più consistenti in volume (anche se un tempo si faceva pure peggio…) è importante non sprecare energie inutilmente su corse che non possono avere alcuna speranza di essere utili per la preparazione alla gara precisa che vuole affrontare l’atleta.
Il semplicismo è correre per preparare la corsa (e pertanto attenzione a dedicare ore infinite alla palestra) ma poi su quella corsa è opportuno pensarci bene per non sprecare fiato per niente.