PROPOSTE CONCRETE PER MIGLIORARE L’AUTOSTIMA DEI GIOVANI

Tentando di essere concreti sull’ormai famosa questione della ragazzina fatta bendare durante l’interrogazione in didattica a distanza, mi pare utile evidenziare alcune proposte, che ovviamente dovrebbero essere valutate dai giovani stessi, per poter migliorare il loro rapporto con la scuola e con la società in genere.

Premessa a tutto ciò è che l’evidenziazione di quel simbolico episodio da parte della ragazzina ha tutta la mia comprensione e non credo assolutamente che la ragazza in questione abbia solo escogitato una trovata efficace per mettersi in evidenza con i coetanei. Se cosi fosse penso che abbia scelto la città sbagliata perché nel luogo dove frequenta la scuola lei le cose di un certo clamore mediatico vengono prontamente ed efficacemente insabbiate per dimostrare che è una città tranquilla e senza problemi.

Qui il problema non era dimostrare che la città non c’entra e la stampa nazionale non si è per niente scagliata contro quella città dicendo che solo lì poteva avvenire quell’episodio. Al contrario la città è stata difesa scrivendo che se è avvenuto lì chissà in quante altre città avviene di peggio dove vi è minor emancipazione e vi sono stereotipi  culturali meno evoluti. E poi tutti sanno che queste cose avvengono in tutta Italia e pertanto non è assolutamente solo un problema locale.

La ragazzina è stata semplicemente coraggiosa e non “furba” e probabilmente se avesse previsto lo spolverone che sollevava non avrebbe azzardato quella mossa. Adesso è facile che si nasconda e non abbia per nulla il coraggio di andare avanti sull’argomento perché l’eccesso di popolarità se ad alcuni fa piacere ad altri da fastidio ed incute timori. Mi auguro semplicemente che non siano intervenuti i genitori a farle cambiare idea sull’idea di prendere l’immagine di una ragazza che non si piega di fronte alle cose che non funzionano perché allora quello sarebbe un esempio di repressione educativa più grave di quanto avvenuto nell’interrogazione stessa.

Detto questo non sta a lei portare avanti le istanze dei giovani, non c’è bisogno di eroi, di Greta ce n’è una sola ed hanno tentato di massacrarla in tutti i modi perché un vecchio rincitrullito che protesta non fa notizia ma un giovane con la mente fresca è molto più pericoloso.

Da vecchio rincitrullito mi permetto il lusso di scrivere delle cose concrete che se le scrivesse un ragazzo su un tema a scuola come minimo gli direbbero che ha sbagliato luogo per scrivere quelle cose.

Bisogna emancipare i giovani, per il semplice motivo che vivono in un paese che, obiettivamente, appena finita la scuola potrebbero avere bisogno di abbandonare ma non possono farlo perché non sono autosufficienti e soprattutto perché non hanno la capacità di arrangiarsi da soli all’estero.

Visto che la società non si può cambiare in pochi anni  e che sul nostro territorio il problema della disoccupazione sarà inevitabilmente sentito più che in altri paesi per un discreto numero di anni, la scuola deve farsi carico anche di preparare questi giovani ad un eventuale espatrio. Una scuola che non prepara, e così raggiunge l’obiettivo di tenere i giovani in patria perché non sono autosufficienti e non hanno i numeri per andare da nessuna parte, non è una scuola accettabile. Se i giovani vogliono restare in patria devono farlo per scelta e non per obbligo, per impossibilità di fare scelte diverse. Se si trovano gli eroi che vogliono cambiare il paese e ritengono di dover stare qui per farcela ben vengano questi eroi, ma facciamo in modo che questi eroi più che eroi siano ragazzi normali che si rendono conto di potercela fare anche senza dover scappare all’estero.

Il primo polpettone applicativo di un discorso simile è l’estensione del voto ai sedicenni, non possiamo pensare di rendere la scuola più aderente alle vere necessità dei giovani se quelli che devono lavorare per cambiarla non hanno nemmeno diritto di voto. I sedicenni hanno bisogno di votare per diventare parte integrante nel processo di svecchiamento della scuola, hanno bisogno di votare per essere responsabilizzati ed hanno bisogno di votare per essere costretti ad interessarsi di politica perché i giovani italiani, disillusi sul fatto che la politica si faccia solo in televisione in un processo di spettacolarizzazione che contempla più la messa in scena di un prodotto televisivo che l’espletamento di un servizio d’informazione, hanno perso la speranza che la politica possa essere fatta anche dalla gente comune nelle piazze e nei luoghi dove vive la gente comune e sono convinti che senza la sponsorizzazione di chi comanda non si possa esercitare nessun autentico potere politico.

Dando il diritto di voto ai sedicenni gli si comunica che sono importanti anche loro e che contano anche se non hanno ancora terminato la scuola e si spera che in questo modo possano approfondire anche discorsi che si fanno fuori da scuola quando la realtà non sarà più quella del voto in latino ma quella della possibilità di lavorare e sopravvivere nel nostro paese.

Sempre per non tradire questo spirito bisogna dare loro la possibilità di imparare davvero una lingua straniera e non è detto che deva per forza essere l’inglese a seconda delle attitudini del ragazzo ma insomma questa stramaledetta lingua che decide di imparare bisogna che sia in grado di maneggiarla veramente bene appena esce da scuola e che sappia usarla dove vuole provare ad andare a vivere. Pertanto è necessario aumentare il numero di ore dedicato a questa lingua ma è necessario soprattutto un cambio degli obiettivi. L’obiettivo deve essere di ordine pratico: il giovane deve dimostrare di sapersi destreggiare nel paese dove si parla quella lingua e pertanto non serve a niente che faccia vedere che sa quella lingua ma deve semplicemente saperla usare, non conta la grammatica (è proprio il caso di dire la grammatica…) ma conta la pratica. Non conta che faccia bella figura perché a quella bella figura non corrisponde una buona padronanza della lingua, conta che sappia usare la lingua ed anche se può fare brutta figura che riesca a destreggiarsi nelle cose della vita di tutti i giorni come può capitare ad un diciottenne che va all’estero.

Poi è importante che questi giovani siano sani ed io penso che sia importante una cosa che forse i giovani non hanno capito ma che tutti i medici (e non solo gli insegnanti di educazione fisica) sanno che è terribilmente urgente. Devono essere aumentate le ore di attività fisica organizzate dalla scuola, Quando scrivo “organizzate” intendo estendere il concetto di responsabilità della scuola sull’argomento. Non mi interessa che la scuola porti le ore di educazione fisica da due a quattro alla settimana. Quell’intervento per quanto utile può anche essere una clamorosa presa in giro se non è accompagnato da una presa in carico del problema. Il ragazzo per crescere sano e migliorare l’autostima ha bisogno di almeno dieci ore di attività fisica alla settimana non di due o quattro. Che la scuola riesca ad offrire due o quattro ore di educazione fisica alla settimana poco cambia, quello è un fatto marginale legato anche a problemi strutturali di non facile risoluzione. Le strutture scolastiche sono carenti e probabilmente non sono nemmeno sufficienti a garantire un aumento del numero di ore di attività fisica gestite direttamente dalla scuola. La scuola deve farsi carico di garantire l’attività fisica iniziando a coagire con le altre realtà esistenti sul territorio che per fortuna esistono già solo che fanno fatica a sopravvivere proprio perché sono ostacolate dalla scuola stessa.

Senza nascondersi dietro ad un dito è proprio giusto chiarire che il numero di giovani praticanti attività sportiva nella fascia di età compresa fra i 15 ed i 18 anni potrebbe tranquillamente raddoppiare se la scuola non esercitasse di fatto un’azione di potente freno nei confronti della pratica sportiva di questi giovani.

Siccome nessun preparatore sportivo potrà mai permettersi il lusso di andare a scuola a dire che ci sono problemi con il tale atleta che non riesce più a tenere in piedi pratica sportiva ed impegni scolastici, il clamoroso rigiramento di frittata corrisponde all’idea che la scuola si faccia carico di vigilare sul “non precoce abbandono della pratica sportiva fra i quindicenni” e, non solo, che si faccia pure carico di indagare su tutte le situazioni dove una sana attività fisica non viene praticata con continuità ed in modo adeguato alle esigenze di tutela della salute del giovane, promovuendo di fatto iniziative concrete che agevolino l’attività sportiva in collaborazione con enti extrascolastici.

La terza cosa è consequenziale e, messe in campo queste si realizza da sola: creare opportunità di dialogo franco e schietto fra professori e studenti nella scuola aggiungendo la possibilità di favorire eventuali incontri con i dirigenti scolastici laddove necessario ma tenendo alla larga da tutto ciò i genitori che non hanno alcun diritto di intervenire nelle questioni scolastiche spiando le questioni dei figli. Il giovane responsabilizzato non ha certamente bisogno che il genitore si faccia gli affari suoi in materia di scuola e questo, che è il risultato finale di un processo di emancipazione che deve vedere i giovani protagonisti all’interno della scuola, è probabilmente anche il primo obiettivo di un programma teso a creare una scuola davvero nuova, a portata di studente.

Sono idee semplici ma tutto sommato rivoluzionarie. I giovani ce le hanno in testa ma non hanno la capacità di tirarle fuori, è un po’ come la lingua straniera che studiano ma hanno paura a parlare comunemente. Dobbiamo far passare mille paure ai giovani, dobbiamo dare loro fiducia se vogliamo dare loro la possibilità di cambiare la società e di non subire da eterni bambinoni la società che gli adulti hanno costruito per loro, dobbiamo dargli la possibilità anzitutto di cambiare l’ambiente dove, si passi il termine orrendo, “lavorano” attualmente.

Forse, si tratta semplicemente di mettersi d’accordo proprio su questo: la scuola non è un “lavoro” ma un’ occasione di crescita. Il “lavoro” è quello che fanno i bambini dei paesi poveri per produrre cose inutili per la società dei ricchi. I nostri ragazzi a scuola, anche se ormai siamo anche noi un paese povero, non devono “lavorare” ma semplicemente “imparare” ed in primo luogo “imparare a vivere” perché puoi anche sapere centomila cose a memoria ed aver studiato alla perfezione tutti i libri che vuoi ma se non sai vivere nella società sei fregato.