POSSIBILITA’ APPLICATIVE DEL “M.A.E.”

Per assurdo il vero limite del “M.A.E:” (Metodo di Amplificazione dell’Errore in italiano, la sigla in inglese lasciamola agli inglesi…) è proprio la sua efficacia. Il M.A.E. è l’unico modo per modificare in modo non artificiale ed in tempi forse “troppo” brevi un certo gesto sportivo, è per questo che viene considerato potenzialmente traumatico e dunque pericoloso soprattutto nei riguardi di atleti con schemi motori molto strutturati.

Succede che soprattutto nell’alto livello delle varie discipline sportive ci si fidi di più dei vari protocolli farmacologici che sono molto più standardizzati, diffusi, prevedibili nei loro effetti e con riferimento alle strutture esistenti, anche molto più facilmente controllabili del “M.A.E”.

Eppure, almeno sulla carta, il “M.A.E.” dovrebbe essere meno pericoloso dei vari supporti farmacologici che vengono sistematicamente adottati nelle preparazioni sportive molto consistenti in volume che vengono adottate più o meno in tutti gli sport.

Con riferimento all’alto livello dello sport probabilmente la risposta sta nella cospicuità delle cifre in ballo attorno ai risultati agonistici dei primattori delle varie discipline. Non ci si può permettere il lusso di “giocare” con i risultati perché nella ricerca dell’ottenimento di questi vengono investite grosse cifre e dunque non è un vero gioco ma piuttosto un lavoro oculato dove un’attenta analisi dei costi e benefici viene sempre affrontata prima di partire con qualsiasi programmazione e dove l’alta prevedibilità del risultato finale è una componente fondamentale per garantire gli investitori. Insomma lo sport di alto livello è tutt’altro che un giuoco e quando si afferma che non si può demedicalizzare lo sport da un giorno all’altro anche se spesso nei convegni ci riempiamo la bocca con parole roboanti, tale osservazione è dettata dal fatto che attorno alla ricerca medica applicata allo sport ci sono decenni e decenni di studi e il risultato finale è che l’atleta si fida molto di più di un protocollo farmacologico adottato da molte migliaia di atleti che non dell’adozione di una metodologia di allenamento, magari nemmeno supportata da un protocollo farmacologico (perché il M.A.E., almeno da un punto di vista teorico, non ne necessita visto che non persegue un miglioramento delle doti condizionali come obiettivo primario), che viene sperimentata con risultati alterni e difficilmente prevedibili da una ristretta elite di pionieri.

Dunque il M.A.E. non viene utilizzato su larga scala dagli atleti di alto livello che non vogliono fare esperimenti ma hanno bisogno di prepararsi in modo abbastanza “sicuro” per aver meno sorprese possibile durante lo svolgimento della preparazione. E’ curioso come in questo modo “sicuro” rientrino anche protocolli farmacologici che non dovrebbero supportare atleti che sono sicuramente sotto al carico fisiologico di preparazione. Forse la sicurezza di questi protocolli farmacologici è garantita dalla capillare azione dell’antidoping che fa si che ormai nessun atleta faccia più di testa sua e praticamente qualsiasi atleta che prova ad usare un farmaco di testa sua venga inesorabilmente pescato positivo dall’antidoping. Questa osservazione potrebbe generare nel lettore il quesito “Ma se l’antidoping è così preciso perché questo continua a lamentarsi che l’antidoping è decisamente inefficiente?” In effetti io non mi lamento del doping che secondo le definizioni della giustizia sportiva è praticamente stato sconfitto nello sport di alto livello, mi lamento del dilagare dell’utilizzazione dei farmaci per supportare la preparazione degli atleti di alto livello che negli ultimi 30-40 anni (ma soprattutto negli ultimi 20 e questo scagiona da tale accusa lo sport “pionieristico degli anni ’80) ha raggiunto livelli impensabili, grazie al controllo sistematico dei parametri bioumorali degli atleti suggerito appunto dall’attuale normativa antidoping.

Per cui c’è un circuito chiuso per il quale i farmaci inquinano sempre di più la preparazione ma siccome il controllo è elevatissimo il loro impiego è sempre più controllato, teoricamente sempre più sicuro (almeno con riferimento alla mannaia dell’antidoping che piglia solo chi non si fa assistere) gli atleti si fidano sempre di più di quel tipo di intervento che serve anche a sostenere la preparazione senza sorprese e prevenendo indesiderati squilibri biochimici e non ci sentono sull’idea di sperimentare fantomatici piani rivoluzionari di allenamento di presunti “stregoni” che non si sa che effetti possono sortire.

In una parola l’applicazione del “M.A.E.” negli atleti di alto livello viene vista come una specie di stregoneria e non a caso il tecnico che ha provato a diffondere tale metodo in Italia negli anni ’80 e ’90 veniva chiamato “il mago”, al secolo il prof Walter Bragagnolo, allora direttore tecnico dell’Isef di Verona che su queste cose era decisamente all’avanguardia.

Liquidata in modo non semplice ma, a questo punto, tutto sommato anche abbastanza comprensibile, la problematica dello sport di alto livello resta da capire perché il M.A.E. non sia molto diffuso almeno nel medio livello della pratica sportiva dove la sola utilizzazione dei farmaci non può certamente fare la differenza e dove davvero occorrerebbe qualche “stregoneria” per poter sperare di cambiare livello prestativo. Ebbene c’è pure da dire che il M.A.E., soprattutto se non usato con oculatezza, è anche fonte di infortuni e pertanto anche atleti di medio livello, nel momento in cui provano ad utilizzarlo ma si fanno del male si rassegnano all’idea che questo non è un metodo che fa per loro.

Allora, anche se pare un cane che si morde la coda, c’è da sperare che tecnici sempre più oculati siano a proporre il M.A.E. ad atleti sempre più evoluti e pertanto anche sensibili ad una corretta applicazione dello stesso. a quel punto, per contagio si potrebbe sperare che nuovi sistemi di applicazione del metodo vengano messi a punto e che ci si possa rendere conto che si può provare a fare sport di alto livello anche senza massacrarsi di allenamento e pertanto senza ricorrere a nessun intervento farmacologico sistematico.

Obiettivamente però c’è da rilevare come anche se il M.A.E. non insista su grandi volumi di preparazione sia un metodo che richiede comunque di molto tempo per essere messo a punto con precisione e pertanto almeno nella fase iniziale di diffusione sia un po’ difficile che possa essere adottato da chi si allena poco.

Probabilmente i limiti del M.A.E. sono semplicemente i limiti di tutti i sistemi di allenamento sperimentali che sono stati resi agonizzanti nell’ultimo periodo. Il tempo dei pionieri è finito quando la medicalizzazione ha preso il sopravvento perché se con i carichi di allenamento a rischio e pericolo dell’atleta si può giocare come si vuole con i farmaci non si può certamente fare così e pertanto tutte le scelte metodologiche si sono appiattite verso un unico metodo che, anche se c’è una certa reticenza nel volerlo ammettere, è il modello sovietico degli anni ’60. Il paradosso dello sport moderno del terzo millennio è che mentre tutto il mondo dello sport di alto livello usa il metodo sovietico (e lì ci tocca ammettere che, a differenza che nella politica e nell’economia, il sistema comunista fino ad ora ha vinto…) la Russia, che come Unione Sovietica (allora si chiamava così) ha diffuso questo metodo nel mondo, attualmente non può nemmeno far gareggiare i proprio atleti sotto la sua bandiera perché sta pagando colpe di mezzo secolo fa.

Per coerenza io dico che se si è voluta colpire l’Unione Sovietica (che poi l’Unione Sovietica non esiste nemmeno più, mi pare un po’ tardi per colpirla e rinfacciarle la responsabilità dell’impiego sistematico della chimica nello sport…) si sarebbe dovuto colpire anche chi con certosina pazienza ha rielaborato ed ulteriormente messo a punto il metodo sovietico, ma evidentemente tale modo di agire è considerato inopportuno perché si sarebbe andati a colpire ben oltre la cerchia dei paesi dell’orbita sovietica nel senso che il perfezionamento della medicina applicata allo sport di alto livello non ha avuto confini ed anzi negli ultimi venti anni ha fatto passi da gigante proprio in paesi che con l’ex blocco sovietico non c’entrano proprio nulla (paesi questi ultimi, che in crisi economica non hanno più avuto disponibilità finanziarie per evolvere i loro studi e forse anche per quello sono stati sanzionati in quanto fermi a tecniche del secolo scorso facilmente riscontrabili)

Insomma il metodo M.A.E. non è un metodo per bambini, perché molto poco istintivo, poco giocoso e pertanto potenzialmente noioso, non è un metodo per atleti evoluti perché hanno paura di farsi del male e sono coinvolti in ben altre problematiche. Potrebbe essere un metodo per gli atleti di medio livello se avessero la pazienza di mettersi lì a sperimentarlo con calma.

Indubbiamente occorrono i tecnici che ci provino e anche qui ci tocca dire che se c’è anche carenza di tecnici indubbiamente è più facile seguire gruppi di atleti individualizzando poco la preparazione (come è necessario fare con il M.A.E.) che non mettersi lì a perdere un sacco di tempo con un solo atleta che non è un atleta di alto livello e rischia pure di farsi del male ad applicare un metodo molto difficile da mettere a punto.

Probabilmente nello sport c’è ancora spazio per i pionieri però occorre tempo coraggio e bisogna trovare pure gli atleti che abbiano questo tempo e questo coraggio. Molto spesso io più che domande sul M.A.E. mi sono sentito chiedere: “Ma che integratore mi conviene usare per incrementare la massa muscolare?…” E’ anche un fatto culturale. Forse più che rispondere “Non so, non mi occupo di integrazione alimentare…” Avrei dovuto rispondere “Prova con il M.A.E., senza integratori sviluppi la massa muscolare in un modo pazzesco!”. Ma sarebbe stata una balla insostenibile perché una delle caratteristiche del M.A.E. è proprio quella di promuovere degli adattamenti tecnici che possano servire ad incrementare la prestazione sportiva senza modificare la struttura corporea. Nello sport di medio livello pare proprio che l’obiettivo sia l’opposto: non interessano i risultati, interessa solo lo specchio. E allora da quel punto di vista il M.A.E. è decisamente perdente perché allo specchio l’altista da un metro e novanta è uguale a quello da due metri e dieci: non è cambiata la sua forza, la sua struttura, ma la sua capacità di saltare. Se conta lo specchio i problemi sono ben altri. Io mi auguro che torni a contare più la sostanza dell’apparenza.