MA LO SPORT E’ DA RIDERE O E’ UNA COSA SERIA?

Per conto mio deve essere tutte e due le cose altrimenti non può funzionare bene. Mi spiego: se è solo una cosa seria è quello dei professionisti, è altamente drammatizzato, è addirittura una cosa di propaganda politica ed il fatto che sia pure inquinato dal doping (chiamiamola meglio “ricerca farmacologica applicata allo sport di alto livello”…) non deve scandalizzare nessuno, se invece è solo da ridere per conto mio non può funzionare bene perché perde quella possibilità di cacciare lo stress che solo uno sport veramente coinvolgente può avere. Una cosa da ridere fa certamente bene allo spirito ma non riesce a scavare in profondità quanto deve farlo per poter condizionare veramente in senso positivo la salute fisica e psichica. In breve se lo sport è solo da ridere è superficiale ed incide poco sulle emozioni profonde di chi lo pratica, forse è meno pericoloso dello sport altamente drammatizzato, anzi quasi si sicuro non è per niente pericoloso, ma perde una buona occasione per essere veramente terapeutico e trainante in una società che ha bisogno di punti di riferimento solidi ed attendibili.

Fare un bel mix fra spensieratezza e determinazione è un’impresa molto difficile ma non impossibile. E’ difficile perché sono le configurazioni di sport proposte dalla società che orientano verso un modello o verso l’altro senza mezze misure.

Esiste lo sport professionistico dove se lo sportivo non rende come si spera si vede decurtato lo stipendio (hai voglia tu a non usare i farmaci per provare a stare nel giro, li usa anche il commercialista che si rovina la vita stando in studio undici ore al giorno…) e li è praticamente impossibile non drammatizzare e sono fuori dai tempi io quando dico che lo psicologo al seguito del campione mi mette un po’ tristezza perché penso che quel ruolo dovrebbe rivestirlo un buon allenatore anche se di mestiere non fa lo psicologo.

Poi esiste lo sport da ridere ed è sacrosanto che esista anche se a me non fa per niente ridere che questo venga propagandato come il migliore e l’unico perseguibile anche per i giovani di 15-20 anni quando sono convinto che a quell’età, come si dice in gergo “si dovrebbe spaccare il mondo”.

Per me un diciottenne che fa sport solo per ridere è una grande tristezza ma, pur divertendosi, a diciotto anni si fa sport per spaccare tutto, nel rispetto delle regole ma con la convinzione che se ci si applica si può veramente andare forte perché è l’età nella quale si va forte.

Allora se manca un modello di sport che sia equilibrato dove si può ridere, si può sdrammatizzare, ma al tempo stesso si può avere la presunzione di batterli tutti o quasi tutti, io penso che questo modello possa essere preso dal modello di “sport per ridere” perché quello professionistico è inesorabilmente incanalato verso lo stile della drammatizzazione. Dallo sport professionistico si torna indietro solo a prezzo di grandi traumi, non ci sono dubbi, al punto tale che molti giovani presunti professionisti che non sono riusciti a stare nel giro quando abbandonano il sogno di fare una professione del loro sport preferito sono pure capaci di abbandonare lo sport completamente. Chi ama davvero lo sport non lo abbandona nemmeno se sa che da questo non potrà mai rimediare il becco di un quattrino ma la tensione spasmodica con la quale si punta a raggiungere certi livelli prestativi in età fin troppo precoce fa si che quando s’inceppa qualcosa si possa arrivare all’abbandono sia per problemi fisici (dovuti al sovraccarico patito con allenamenti molto spesso esagerati in volume) o anche psicologici (per il grosso contraccolpo dovuto all’arretramento ad uno sport “solo da ridere” appunto).

Per tali motivi io sono convinto che ad uno sport “equilibrato” veramente coinvolgente ma non drammatizzato si possa arrivare solo partendo dal cosiddetto sport “da ridere”.

Insomma mentre lo sport professionistico vive un suo mondo che non si può smontare e rimontare perché fa i conti con dinamiche non modificabili (raccontagli tu allo sponsor che il ragazzo è in ritardo di crescita e comincerà ad essere altamente performante verso i 23-24 anni…) lo sport cosiddetto “da ridere” a mio parere può essere modificato, può essere migliorato, può essere caricato di contenuti che non sono per niente da ridere e la vera risata la si fa quando un atleta che non ha rinunciato a cose importanti poi scopre che è pure più forte di chi ha iniziato a fare il professionista a quindici anni e tutto sommato si può entrare nel giro dello sport di alto livello anche molto più tardi del previsto anche se questa cosa non è incentivata in nessun modo nei circuiti dello sport spettacolo.

Allora, nei fatti tutta questa cosa si traduce in un cambio di atteggiamento nei confronti della pratica sportiva dei soggetti in età compresa fra i 15 ed i 25 anni circa. Che sia per ridere o per piangere a quell’età è buona norma di profilassi sanitaria allenarsi tutti i giorni e non solo due volte alla settimana. Se dopo c’è qualcuno che si allena due volte al giorno e per questo sacrifica anche gli studi, buon per lui, chiaramente questo è un tentativo di forzatura dei tempi che va nella direzione di un presunto professionismo ma anche il cosiddetto sport “per ridere”, scherzando e ridendo, va fatto tutti i giorni e, a quel punto il campione può pure venire fuori anche da chi salta qualche allenamento più che da chi non sgarra assolutamente mai, ma stiamo comunque parlando di soggetti che fanno almeno 4 o 5 allenamenti alla settimana non certamente solo due sedute settimanali.

Io ho la mania di coinvolgere sempre la scuola ma sono profondamente convinto che se tale conquista non parte dalla scuola, da un nuovo atteggiamento della scuola nei confronti dello sport, saremo ancora qui a chiederci se lo sport è una cosa seria o è una cosa da ridere.

Lo sport è una cosa seria che si fa ridendo e se uno è un campione lo diventa anche senza mettersi a fare il professionista prima del tempo, pertanto le aberrazioni vengono lasciate a chi ha poco senso dell’umorismo ma il desiderio di ridere di gusto e non solo due volte la settimana deve essere lasciato a tutti i giovani.

Se questa cosa accade poi, automaticamente, si sistema anche un atteggiamento fintamente drammatico ma semplicemente tragicomico legato allo spirito con il quale interpretano lo sport dilettantistico certi quarantenni che hanno perso il treno dello sport di un certo livello in tenera età, per motivi generalmente legati allo studio, e vogliono rifarsi una carriera sportiva nel momento sbagliato.

E’ tragicomico il fatto che da tale cerchia di atleti vengano fuori i dilettanti pescati positivi all’antidoping, quelli che creano nell’opinione pubblica l’illusione che l’antidoping funzioni. In effetti questi vengono pigliati positivi talvolta per il semplice motivo che si curano qualche patologia che non c’entra nulla con lo sport senza aver dichiarato il farmaco vietato, ma altre volte perché questi sono realmente pazzi scatenati e vogliono cercare di migliorare il rendimento sportivo scimmiottando i professionisti e avvalendosi pure di una parvenza di trattamento farmacologico (praticamente sempre “fai da te” assolutamente irrazionale e pure pericoloso). Questo fa dire ai sostenitori dell’antidoping (ricordo che l’antidoping funziona con danari pubblici…) che come minimo l’antidoping è utile per fermare questi pazzi scatenati, se poi non fa chiarezza sull’eccesso di medicalizzazione nello sport di alto livello, pazienza, almeno fermiamo quelli che rischiano la salute per niente.

Non mi addentro troppo su questa tematica per non creare inutili polemiche. Io sono convinto che si potrebbe creare una cultura dello sport senza farmaci illustrando in modo preciso tutto ciò che fanno veramente i professionisti e sono convinto che ciò servirebbe da deterrente per tutto il mondo sportivo ma evidentemente si ha paura di smontare un palco che non si vuole smontare ed allora è meglio credere che l’antidoping funzioni veramente bene e sia quello che istiga tutti ad andare a pane e acqua. Resta il fatto che attualmente l’antidoping praticamente piglia positivi solo cultori del doping “fai da te” che sono essenzialmente dilettanti oppure professionisti con qualche problema psicologico che fanno cose da dilettanti. Ma questo è un  discorso troppo complesso e diciamo semplicemente che fa parte di quel mondo molto difficile da modificare legato allo sport professionistico.

Nello sport da ridere i farmaci non servono e si può rendere ad altissimi livelli anche senza farmaci, chiaramente non allenandosi due volte la settimana ed è questa la cosa poco da ridere che, per conto mio (ma sempre per convinzioni personali molto strane),  senza coinvolgere la scuola un ragazzo qualsiasi (non un “probabile olimpico”) non può trovare il tempo per allenarsi serenamente tutti i giorni.

Ridiamoci su ma purtroppo lo sport è anche una cosa seria perché riguarda anche la salute, e se è quella dei professionisti avranno fior di equipe mediche ad occuparsene,  è un problema risolvibile, ma se è quella del pirla qualsiasi che “solo ridendo ” e solo due allenamenti alla settimana, o anche meno, non sono bastati a fargli mantenere un buon livello di salute allora diventa un problema sociale. Chi deve occuparsene? Se ti alleni troppo ti saltano addosso tutti per ipotizzare un tipo di preparazione più funzionale e che renda di più, ma se ti alleni troppo poco non gliene frega niente a nessuno perché pare che sia una cosa da ridere. Io riesco a ridere solo quando l’atleta normale batte quello superassistito perché questa è la magia dello sport che si può innescare solo con mosse molto serie e poi può pure far ridere di gusto.