L’UNO CONTRO UNO NEL CALCIO

Non sperate che in questo articolo dia la formula magica per imparare a “saltare l’uomo” nel calcio. In tal caso probabilmente potrei diventare il nuovo commissario tecnico della nazionale perché questo problema dei giocatori che non sanno saltare l’uomo è pure un problema della nostra nazionale. Saltare l’uomo o “dribblarlo” nell’uno contro uno è un’arte che richiede grandi doti genetiche e allenamento, allenamento, allenamento.

E’ su questo “allenamento” ripetuto in modo ossessionante tre volte che voglio soffermarmi. Intanto se non ci sono le doti genetiche questo allenamento estenuante potrà dare solo la grande soddisfazione al giocatore poco dotato di riuscire talvolta, in modo sporadico,  a saltare l’uomo anche lui come i campioni ma sarà per lo più in circostanze del tutto fortuite perché se non partiamo da doti genetiche sopraffine quest’arte non si può apprendere nemmeno con allenamenti infiniti.

E su queste quantità di allenamento voglio partire da distante da un qualcosa che oggi non esiste praticamente più (e forse potrebbe spiegare anche almeno in parte perché abbiamo pochi campioni in grado di affrontare l’uno contro uno con alte percentuali di successo).

Nelle parrocchie di una volta dove molto spesso si spaccava qualche vetrata ed il parroco si infuriava non poco in un pomeriggio di calcio solitamente tre contro tre o quattro contro quattro (ma talvolta era pure due contro due) quante volte secondo voi un ragazzino andava all’uno contro uno in un pomeriggio? Facciamo 500? No? Forse 450? Siamo cattivi e diciamo solo 400 perché quel ragazzino aveva una mamma severa che mandava il fratello più grande a chiamarlo perché dopo tre ore di gioco doveva pure fare i compiti? Bene, solo 400 volte uno contro uno in un pomeriggio. Qualcosa imparava. Nelle nostre scuole calcio che sono il fiore all’occhiello della prevenzione sanitaria e se non ci fossero dovrebbero inventarle perché altrimenti i ragazzini si rimbecilliscono con telefonino, tablet, computer e televisione quante volte pensate che il ragazzino in un allenamento vada all’uno contro uno (e che non sia un terzino perché se gioca in questo ruolo è già tanto che non gli vietino di “azzardare” l’uno contro uno)? Forse 50? Temo di no, forse 50 proprio se è un ragazzino molto dotato che non  ha paura di prendersi un richiamo dall’allenatore ma se è un ragazzino “normodotato” forse 20, 30 massimo 40 volte. C’è una certa differenza con i 400 dribbling che faceva il ragazzino dell’oratorio. D’accordo che quelli non erano tutti dribbling di qualità e delle volte ci si trovava a scartare dei ragazzini che sembravano messi lì per scommessa ma negli spazi angusti della parrocchia anche scartare un “brocco” poteva creare dei problemi se non si avevano grandi doti di agilità e rapidità.

Il tempo non torna indietro, all’oratorio non si gioca più a calcio, nemmeno per le strade. I tempi non sono più quelli liberi che venivano autogestiti dai ragazzini in una grande contrattazione con le mamme ma sono quelli della seduta di allenamento che non può protrarsi più di tanto perché dopo i ragazzini piccoli arrivano quelli più grandi a fare allenamento e devono usare lo stesso campo perché non è che ci sia questa grande abbondanza di strutture.

Non solo, il gioco è più controllato e, diciamola pure tutta, non è più nemmeno tanto di moda esagerare con l’uno contro uno nemmeno a undici anni perché se esageri i compagni di squadra si arrabbiano e l’allenatore da pure ragione a loro perché bisogna far giocare soprattutto la squadra e pensare meno alle soluzioni individuali. Insomma si stava meglio quando si stava peggio. E’ vero che il calcio è un gioco di squadra e bisogna far girare la palla invece di tenersela fra i piedi come se fosse personale ma è anche vero che la presenza costante dell’allenatore nelle squadre può anche finire per essere una “palla al piede” per i più dotati che finiscono per essere soffocati dalle troppe direttive tecniche che impartisce il “mister”. Per costruire il campione occorre anche un po’ di sano egoismo e la squadra può pure essere ostacolata dalla fantasia di questo talento. Poi, altra cosa, i ragazzini giocano sempre meno su spazi ristretti e in situazioni di “intimità numerica” (due contro due oppure tre contro tre). Insomma nelle scuole calcio si impara quanto prima una buona visione di gioco e a giocare per la squadra ma si impara meno bene l’uno contro uno di quanto si faceva un tempo per strada o in parrocchia.

Senza stravolgere molto gli allenamenti delle scuole calcio si potrebbe semplicemente ricominciare a considerare l’importanza dell’uno contro uno che, se vogliamo, è un  fondamentale di gioco al di là di avere il piede e la rapidità per fare delle triangolazioni di gioco che possano portare la propria squadra alla superiorità numerica.   Poi gli allenatori possono benissimo dire che tempo per allenarsi ce n’è troppo poco e non si può prescindere dalla spiegazione alla squadra di quelle elementari norme tecnico tattiche che fanno sì che la squadra non si prenda otto reti tutte le domeniche. E’ un  calcio dove i bambini sono meno bambini di una volta ed è un segno dei tempi. A scuola sono diligenti e ad allenamento sono ubbidienti e rispettosi delle regole. Tale atteggiamento purtroppo non  li mette nella condizione di apprendere tutte ma proprio tutte le cose che possano fare grande un campione e l’arte dell’uno contro uno è una di quelle.

I problemi della nazionale di calcio sono molteplici, quello dell’uno contro uno “difficoltoso” non è certamente l’unico anche se forse non uno dei meno importanti. Per affrontarlo oltre che tempo e spazi ci vuole una bella fantasia, la possibilità di far tornare tutti a catechismo purtroppo pare non rientri nel novero delle situazioni auspicabili. Però se non sai saltare l’uomo fai fatica a creare la superiorità numerica, anche se fai girare la palla come il Barcellona, prima o poi qualcuno la faccia deve mettercela e qui vediamo se c’è qualcuno che almeno gli hanno spiegato cosa succedeva a catechismo…