LO SPORT E’ VITA

A volte sembro cadere in contraddizione quando predico uno sport per tutti ed allo tempo stesso esalto il valore entusiasmante, perfino terapeutico, dell’agonismo.

In effetti io predico un agonismo mitigato ma la parola giusta, più che mitigato, è “razionale”, per tutti, che si discosta un po’ tanto da quello propinatoci in modo ossessionante dalla televisione. Non a caso sono un  grande critico della televisione. Grande critico nel senso che la critico punto e basta, nel senso che in riferimento all’immagine dello sport la televisione ritengo che ne dia una distorta punto e basta.

L’agonismo per tutti dice che anche se non sei un campione è giusto che tu ti impegni senza sputare l’anima ma per imparare a fare sport e per capire che il tuo sport non vale assolutamente neanche un po’ di meno di quello che vedi in  televisione, anzi in molti casi vale perfino di più perché è più autentico e non deve fare i conti con certe logiche che possono arrivare ad inquinare il risultato sportivo.

Io non sono a proporre equivalenze, a dire se il 10″8 sui 100 metri di uno che fa il carpentiere o il promotore finanziario sia più o meno significativo del 10″1 dell’atleta che si allena tutti i santi giorni due volte al giorno e pertanto non ha assolutamente tempo per lavorare, sostengo semplicemente che il 10″8 del pirla che non riesce e non vuole fare il professionista dello sport abbia pari dignità del 10″ 1 di chi sullo sport si gioca dieci o quindici anni pieni della propria esistenza. Non salva la patria il 10″8 non la salva il 10″1, la salvano entrambi nel momento in cui contribuiscono a diffondere una cultura dello sport che coinvolge tutta la popolazione nell’attività motoria praticata più che in quella “vista” per televisione.

Quando ho iniziato a fare atletica a 13 anni, notavo come l’atletica riuscisse a creare uno splendido ponte fra i ragazzini che venivano dalla strada ed i campioni che andavano in televisione a mostrare le proprie gesta eroiche. Questo per me era entusiasmante ed era un qualcosa impossibile per il grande calcio che, come sport nazionale, aveva certamente coinvolto anche me a livello emotivo. Mentre nel calcio il massimo che potevi fare era chiedere l’autografo al campione che si allenava a pochi chilometri da casa tua nell’atletica potevi fare allenamento fianco a fianco. Ovviamente quando passava il campione avevi un atteggiamento rispettoso e tentavi di non ingombrare la pista in modo inopportuno ma appena passato lui potevi partire anche tu quasi nello stesso momento a solcare le stesse tracce.

Purtroppo nell’atletica di oggi questo ponte è un po’ venuto meno e ciò è il frutto della politica delle medaglie che non ha fatto altro che creare una frattura fra gli atleti di alto livello e le seconde schiere. Se il mio vero sport era tentare di battere gli atleti delle squadre militari pur gareggiando in una squadra “civile” adesso questo sport è un po’ improponibile. Fra atleti di alto livello e seconde schiere si è scavato un baratro, complice anche l’evoluzione della farmacologia applicata allo sport e l’atletica sta un po’ riproponendo quello che propone il grande calcio che scinde fra uno sport televisivo di campioni da autografo da uno sport di basso livello di atleti che si impegnano ma non riescono minimamente ad offrire un rendimento sportivo che sia in qualche modo paragonabile a quello dei campioni.

Trattando di atletica tempo fa scrivevo di come possa essere importante avere un buon numero di atleti sul suolo nazionale che superano i due metri nel salto in alto, diciamo almeno uno per campo sportivo piuttosto che avere un solo atleta che magari sfiora i 2 metri e 40 ma quel grande livello prestativo te lo sfodera solo in televisione e non certamente in giro per le gare regionali o addirittura provinciali. Io mi ricordo un record provinciale sui 2000 metri massacrato di 10″ e portato a 5’28” quando ancora io correvo la distanza in più di 7 minuti che è stato molto più entusiasmante che vedere un record del mondo in televisione. Il modello non era un marziano della televisione ma un atleta che vedevi allenarsi tutti i giorni, che poi magari vedevi anche andare in televisione e tu che sapevi che c’era lo scorgevi un istante dietro al numero uno ma non aveva le luci della ribalta fisse su di lui. Ciò ti faceva anche capire che il numero uno in realtà non era un marziano ma un atleta che per una serie di motivi riusciva ad andare un po’ più forte di quello già molto forte che tu vedevi tutti i giorni.

E’ lecito più o meno per tutti provare a fare il record del mondo. E’ lecito a 13 anni e lo è ancora a 15 o a 16. Poi forse verso i 20 anni ti rendi conto che il record del mondo non lo farai ma intanto hai già fatto più di metà della strada che separava te dal record del mondo. Questo è il vero successo dello sport. Se fai sport solo per buttare giù la pancia fa comunque bene alla salute ma non può essere emotivamente coinvolgente. Quando scrivo record del mondo lo faccio in modo simbolico perché può essere molto semplicemente un record regionale, provinciale, sociale o, perché no, fare semplicemente meglio di quel disgraziato che ha conquistato la ragazzina che piaceva anche a te. Ma in ogni caso a me un ragazzino che punta a fare il record del mondo in una qualsiasi accidenti di disciplina sportiva mi è comunque molto simpatico e anche se potrei dirgli che l’impresa è molto difficile probabilmente sarò io l’ultimo ad accorgermi che forse non ce la fa e quel giorno che dovesse decidere che non vuol più provarci non starò certamente a dirgli che è diventato saggio…

Io sono per un agonismo per tutti, non esasperato ma nemmeno falso ed ipocrita. L’agonismo è il sale dello sport, deve esserci nello sport e non deve essere guastato dallo sport di alto livello. Non deve esistere un agonismo di serie A di quelli che fanno bene a rischiare di lasciarci giù pure la salute ed un agonismo di serie B di quelli che è “Inutile allenarsi tanto se non ci sono possibilità di arrivare al vertice non ne vale la pena”. L’agonismo autentico fa bene a tutti, quello esasperato fa male a chi lo pratica  ed anche a chi ne resta fuori che magari per colpa dell’esempio “esasperato” rinuncia a gettarsi in un’avventura che merita di essere vissuta. Sulla linea di partenza siamo tutti possibili vincitori. Poi ci sarà un vincitore ed un ultimo classificato che hanno pari dignità. Lo sport è vita, va vissuto più che guardato per televisione.