LINGUAGGIO DEL TECNICO E SENSAZIONI DI CORSA

Lasciate perdere per un attimo i cardiofrequenzimetri. Ho scritto molto di cardiofrequenzimetri su questo sito, essenzialmente per dirvi sempre di lasciarli perdere. Con questo articolo vi farò capire perché la tentazione di rifugiarsi nell’interpretazione dei numeri dati dal cardiofrequenzimetro è tanta ma in ogni caso vi chiedo un minimo di concentrazione su un argomento che con i cardiofrequenzimetri non c’entra proprio nulla. Il problema è la qualità della comunicazione fra tecnico ed atleta quando si parla di sensazioni di corsa. Siccome parlare di ciò è difficilissimo verrebbe molto più facile dare i numeri del cardiofrequenzimetro che sono dati oggettivi inequivocabili e non si può sbagliare leggendoli (a meno che uno non sia diventato talmente miope che proprio non riesce più nemmeno a leggerli…).

Intanto fa una fatica terribile l’allievo a parlare di sensazioni di corsa. Essenzialmente perché non ci è allenato. Dice: “Ho fatto tanta fatica, ne ho fatta poca, ne ho fatta abbastanza, avevo le gambe “pesanti”, non ho sentito i piedi reattivi…” ma la di là di quelle quattro cose in croce fa un po’ fatica ad andare.

Forse oltre che correre molto, almeno se si vuole sviluppare una buona comunicazione fra tecnico e atleta, bisogna che si cominci a parlare in termini di corsa con sfumature un po’ più complesse. Quando parliamo di un buon vino usiamo un vocabolario che ha una infinità di sfumature, perché quando parliamo della corsa usiamo sempre solo quelle tre o quattro espressioni scontate?

L’atleta deve sviluppare le sue capacità percettive in materia del gesto corsa e pure la sua fantasia. Quando sviluppa le capacità percettive gioca senz’altro un’ottima carta per aumentare il grado di comprensibilità delle informazioni trasferite al tecnico, quando sviluppa la fantasia crea le condizioni per aumentare l’incomprensibilità ma è un rischio che deve correre se vuole aumentare il bagaglio delle sue possibilità interpretative del fenomeno corsa. Insomma è un rischio da correre, non possiamo restare fermi ad “uno più uno fa due” altrimenti restiamo su un livello troppo elementare che non può far evolvere la corsa. Se scappiamo da quello perchè è troppo complesso e torniamo ai confortanti numeri del cardiofrequenzimetro perdiamo una grossa opportunità per evolverci.

Rischiamo di restare fermi a quel mitico e leggendario “alza le ginocchia” che è il simbolo del tecnico che non ha voglia di entrare nel cuore del problema.

“Alza le ginocchia” è un po’ come dire “Prendi la medaglia d’oro!”. Devi dirmi come si fa a prendere la medaglia d’oro perchè se è semplicemente per prenderla io la rubo e faccio letteralmente quello che mi hai detto tu. Se invece devo vincerla io sono l’allievo, tu sei il tecnico, io ci metto tutta la buona volontà e tu mi dai le indicazioni per vincerla.

E così se il problema è alzare le ginocchia io ti prendo alla lettera, alzo le ginocchia in modo spropositato, produco una corsa decisamente antieconomica dove le ginocchia sono alte ma l’avanzamento è nullo e obbedisco al tuo ammonimento ma da un punto di vista tecnico ho fatto una cosa che non serve assolutamente a nulla se non un esercizio di preatletica generale per stimolare particolarmente il flessore della coscia.

Quando si dice una cosa bisogna andare a fondo nella comunicazione, bisogna sviscerare il nocciolo della questione.

Così, per esempio il problema dell’atleta che sembra che non alzi molto le ginocchia sarà che ha un passo troppo compatto e quindi il problema della sua azione di corsa non è che non produce un significativo sollevamento del ginocchio bensì che c’è poco avanzamento. Data una certa ampiezza di falcata, normalmente efficace per una certa andatura di corsa se il ginocchio si solleva anche solo un centimetro in più del necessario per quel tipo di ampiezza ci sarà comunque una dispersione di energia, quella corsa sarà meno economica di quello che potrebbe essere e più che “alza le ginocchia” sarà proprio il caso di dire “aumenta l’ampiezza” oppure se l’andatura è quella “Non alzare troppo le ginocchia…” cioè proprio il contrario di quello che verrebbe istintivo suggerire.

Purtroppo istinto e tecnica di corsa non vanno molto d’accordo quando si tratta di scatenare delle modificazioni del gesto corsa.  La prima cosa che dobbiamo umilmente chiederci come tecnici è se è davvero conveniente per il rendimento sportivo di un determinato atleta scatenare delle reazioni di adattamento che possano modificare il normale gesto corsa. Dobbiamo chiederci se la serie di stimoli (anche semplicemente di natura verbale) che andiamo a somministrare per provocare quelle variazioni nella tecnica di corsa non possono avere un’alta probabilità di causare degli infortuni nel breve o nel medio periodo. Diciamo che se l’infortunio da sovraccarico non si presenta in breve tempo, man mano che si consolida la nuova tecnica di corsa, soprattutto se questa è più razionale e più idonea alla caratteristiche fisiche dell’atleta che la va a produrre, non dovrebbe presentare il conto in tempi molto differiti rispetto all’intervento tecnico. Questo è uno dei motivi per cui sulla tecnica di corsa sarebbe opportuno intervenire soprattutto d’inverno o comunque lontano dal periodo agonistico. Se c’è un rischio di infortuni questo è piuttosto immediato e si ha tutto il tempo di sistemarlo prima che arrivi il momento delle gare.

Poi dobbiamo sfatare dei luoghi comuni sul gesto corsa che ci sono tramandati dalla leggenda. Dopo il mitico “solleva le ginocchia” c’è da lottare contro l’altrettanto potente “spingi di più!” che forse ha fatto ancora più danni del primo.

In realtà la differenza fra un atleta di alto livello ed un mediocre è proprio che per produrre una certa velocità di corsa al primo occorre molta meno forza che al secondo e dunque, alla faccia degli splendidi luoghi comuni, il campione è proprio quello che spinge meno di tutti. Poi siccome la forza ce l’ha anche lui (e talvolta con l’intervento della chimica ne ha anche più degli altri…) la impiega anche lui, ma la impiega per andare veloce e non solo per il gusto di “spingere di più” che non serve proprio a nulla. Ad essere precisi bisogna osservare che il campione essenzialmente è quello che “frena meno” nel senso che ha degli equilibri di corsa che fanno sì che la sua tecnica non sia per niente dispersiva e pertanto la gran parte dell’energia utilizzata per spingere viene riutilizzata per produrre avanzamento e non viene scaricata a terra. La differenza fra un atleta mediocre ed un buon atleta è più o meno quella che passa fra un vecchio inceneritore dei rifiuti ed un moderno impianto di smaltimento a freddo. Con il primo bruciavi e basta ed era piuttosto semplice ma producevi diossina e non avevi un buon rendimento delle sostanze conferite alla discarica (forse un po’ di calore: non a caso li chiamavano erroneamente termovalorizzatori anche se erano dei “termodistruttori”…) con i secondi riutilizzi davvero i rifiuti ma ti costano un sacco di manodopera. Alla fine hai un prodotto che vale. Ecco, la tecnica di corsa dell’atleta di valore costa un sacco di manodopera (anni ed anni di messa a punto) ma alla fine hai un prodotto che vale nel senso che riutilizzi davvero l’energia cinetica del gesto corsa per produrre avanzamento senza disperderla a terra (“bruciandola”).

Dunque anche lì non il solito “Spingi di più” bensì un più originale “Frena di meno!”. Ma ovviamente per frenare di meno occorrono certi equilibri e quando l’atleta ti chiede “Come faccio a frenare di meno?” ti crea un bel problema perché ti ha messo in un istante di fronte al suo vero problema esistenziale sulla tecnica di corsa.

Facendo una classifica degli “ammonimenti inutili” potremmo passare all’altrettanto famoso “Senti i piedi!”.  Ed in realtà l’atleta che corre bene i piedi proprio non dovrebbe sentirli perché viaggiano in automatico, spingendo meno possibile, sbattendo (e quindi frenando) a terra meno possibile, più silenziosi ed inesistenti possibile. Tutto il contrario di quello che abbiamo sempre pensato sentenziando che il buon atleta corre “con i piedi”. Il buon atleta corre certamente con i piedi perché non se li toglie assolutamente per correre ma li usa in modo molto discreto, talmente discreto che se non si sentono nemmeno vuol dire che li sta usando bene, se invece si sentono delle gran “zompate” a terra ci tocca dire che forse è un buon lunghista con una potenza che può fargli spiccare notevoli salti ma non è uno che sta correndo in modo corretto. E’ chiaro che chi viaggia a 40 chilometri all’ora rischia addirittura di stracciare il tartan dalla forza che imprime a terra ma non per questo la forza deve essere più possibile. Deve sempre essere quella stretta necessaria a produrre quell’avanzamento e nulla più altrimenti ciò crea problemi per importanti fasi della gara (anche se non pare esiste una componente di economizzazione del gesto tecnico addirittura nella gara dei 100 metri che, ad alto livello, dura meno di 10 secondi).

Quando, in un altro degli ammonimenti celebri, si dice “Usa le braccia” non si va molto distante dal dire una cosa sensata. Anche le braccia, ovviamente, devono essere usate in modo economico e dunque non ha nessun senso sbracciare energicamente ad andature dove l’azione riequilibratice delle braccia è molto contenuta. Però in realtà se nel gesto corsa noi freniamo con i piedi (e non potremmo certamente frenare con le braccia visto che siamo bipedi e le braccia proprio non le mettiamo a terra…) è anche vero che, per certi versi, spingiamo con le braccia. O meglio, con le braccia ci creiamo un problema di equilibrio al quale saranno deputati nella fase successiva i piedi a porre rimedio. Praticamente l’azione di spinta parte dalle braccia. Sono le braccia che dicono ai piedi “Guarda che adesso spingo di più arrangiatevi voi a vedere come si può sistemare l’azione di corsa…” L’idea parte dalle braccia, il lavoro sporco viene fatto dai piedi. Se i piedi non lavorano e le braccia danno lo stesso l’input… caschi per terra ed è quello che succede a volte anche agli atleti di alto livello quando stramazzano al suolo in vista del traguardo perché le braccia vogliono vincere a tutti i costi ma i piedi… non ci sentono più. Si casca a terra perché si frena troppo poco non perché non si spinge più. Si è talmente stanchi che non si riesce più a frenare. E allora l’atleta di classe è anche un atleta che ha una frenata efficiente, economica e che non si guasta mai. L’atleta di classe è un atleta che sa frenare. E’ chiaro che se la mettiamo in questi termini il linguaggio del tecnico può diventare molto complesso e se un buon tecnico va a parlare così con un atleta che non ha mai pensato alla tecnica di corsa questo può pure dirgli “Ma va a ‘mmorì ammazzato!”. I gatti non pensano tanto alla tecnica di corsa ma hanno una efficacia della tecnica di corsa che anche i nostri migliori keniani possono scordarsela. E comunque i keniani molto probabilmente non dedicano alla tecnica di corsa più tempo di quanto ne dedichino i bianchi. C’è da dire che se uno non è un talento naturale ed in qualche modo vuole migliorare può pure avere la presunzione di meditare attorno alla tecnica di corsa. Ed allora, nel ventunesimo secolo può trovarsi costretto a demolire i vecchi detti popolari sulla tecnica di corsa di un tempo che fu. Con quei detti sono stati siglati innumerevoli records del mondo, senza quei detti ci sono animali che continuano a correre in modo decisamente più veloce del più veloce degli uomini, con altri detti molto diversi può migliorare lievemente l’efficacia della sua corsa qualche homo sapiens del ventunesimo secolo. Siamo una razza complessa, che fa ben altro che alzare le ginocchia, spingere con i piedi ed usare le braccia.