L’ECOLOGIA NON E’ NE’ DI DESTRA NE’ DI SINISTRA

Ed io aggiungerei nemmeno “radical chic” perché se ignoriamo ancora i colossali problemi ecologici rischiamo di ritrovarci a breve termine con tragedie di portata superiore a quella dello stramaledetto Covid.

Il mondo si divide in due: fra quelli che sperano che dopo il Covid torni tutto come prima e quelli che sperano che dopo il Covid non torni proprio niente come prima perché già prima c’erano troppe cose che non andavano per niente bene.

Siamo tutti d’accordo sul fatto che dobbiamo uscire prima possibile da questa situazione ma sul “come” uscirne ognuno la vede a modo suo, anche e soprattutto in base a come viveva prima del Covid.

Anche nello sport c’è questo sentimento e c’è chi spera che dopo il Covid ci si possa inventare uno sport davvero per tutti a costo di sacrificare lo sport ipertrofico dello spettacolo televisivo che è un gigante che rischia di soffocare lo sport di base.

Lo sport per tutti non è né di destra né di sinistra come l’ecologia ma è solo una necessità in una popolazione che ha problemi di tutti i tipi ed anche se deve confrontarsi con l’incubo della disoccupazione ha comunque bisogno di pensare alla salute vera, non a quella data dalle medicine tanto scandalosamente pubblicizzate in televisione dal sistema dei consumi.

Chiaro che in un sistema economico al collasso, che fa acqua da tutte le parti, il concetto di sport per tutti può sembrare un vezzo radical chic al pari di un certo ecologismo un po’ strano. In questa società la povera gente non ha tempo per fare sport e la pastiglietta pubblicizzata per televisione che risolve tutto subito pare l’unico rimedio. Non c’è tempo per una vera profilassi sanitaria così come non c’è tempo per occuparsi di certe istanze di vera urgenza ambientale che ad un esame superficiale sono meno urgenti di altri problemi sociali.

In realtà il problema ecologico è fortemente collegato con l’assetto sociale così come il concetto di sport per tutti è fortemente collegato all’organizzazione di vita delle fasce più deboli della popolazione.

Così come una grande industria che da lavoro a migliaia di operai non ha i mezzi per occuparsi dell’ambiente, un sistema del lavoro che arranca per offrire opportunità a tutti non ha strategie per progettare orari che possano essere umanamente tollerabili per tutti. Prendere o lasciare.

Una società dove tutti sopravvivono con un lavoro e con una quota minima di tempo libero per fare attività fisica invece di guardarla stando stravaccati sul divano pare un’utopia.

E’ una società che non esisteva nemmeno prima del Covid e ci si domanda con che basi potrà essere inventata dopo.

Che il Covid sia stato un vero disastro (e non è finita…) per l’economia mondiale non ci sono dubbi. Quello che è poco chiaro è che l’economia mondiale era al collasso già prima del Covid non per un problema di ricchezza globale quanto per un problema di folle distribuzione della ricchezza e pessima gestione del problema del lavoro. La disoccupazione dilagante ha funzionato da blocco per questo sistema economico che non si è minimamente evoluto verso un sistema più equo ed è invece rovinato verso una distribuzione della ricchezza sempre più irrazionale, concentrata nelle mani di pochi a danno delle fasce più deboli della popolazione alle prese con problemi sempre più gravi.

Così come il Covid fa i suoi morti un po’ dopo il momento di sua massima diffusione ci tocca ammettere che anche la guerra fredda ha fatto il massimo dei suoi danni un bel po’ di tempo dopo la sua fine. Stiamo pagando adesso il disastro della guerra fredda, della corsa agli armamenti, dei tempi nei quali la disputa ideologica era se fosse meglio il sistema comunista o quello consumista.

Io trovo che lo sport sia un’ottima chiave di lettura per la società in generale e sono convinto che lo sport ipertrofico che da tanto spazio ai grandi campioni e ben poco alle mezze calzette si sia evoluto proprio grazie alla cultura della guerra fredda, grazie alla contrapposizione ideologico-politica fra blocco occidentale e blocco comunista. Così come in campo economico politico c’è stata la corsa agli armamenti per “potenziare” l’idea del primato di un sistema sull’altro, in campo sportivo c’è stata una corsa alle medaglie dello sport spettacolo per pubblicizzare l’efficienza di un regime rispetto all’altro. La propaganda di regime tramite lo sport di chiara ispirazione sovietica è stata accettata di buon grado anche dal sistema occidentale che ha visto in questa sfida un’ottima opportunità per sviluppare un certo tipo di sport che faceva comunque molto comodo al mercato e, pertanto, in ultima istanza, anche alle esigenze di sviluppo del modello occidentale. Lo sport ipertrofico delle televisioni ha avuto la sua bomba atomica nella corsa all’evoluzione del doping. Quella che in campo politico economico è stata la corsa agli armamenti in campo sportivo è stata la corsa all’alta medicalizzazione dello sport, lanciata prima dal blocco sovietico fin dall’inizio degli anni ’60 e poi portata avanti con grande vigore anche da tutti i paesi occidentali.

Attualmente stiamo pagando ancora molto questo atteggiamento patologico di eccessiva attenzione verso i risultati dello sport di facciata e si può ben dire che mai come ai giorni nostri la differenza fra un dilettante ed un professionista seguito costantemente da equipe mediche sia semplicemente abissale.

I miei continui confronti fra ecologia e sport per tutti possono sembrare molto fantasiosi e a chi  mi accusa di vedere l’ecologia dappertutto rispondo che in effetti io, probabilmente sarei un ecologista anche se non mi occupassi di sport ma, in ogni caso, sono convinto che sia il sistema politico ad informare lo sport e non il contrario.

Noi viviamo ancora uno sport poco “ecologico” perché è stato informato da una cultura che non era minimamente attenta all’ecologia. Così come non c’era nulla di ecologico nella corsa agli armamenti non c’era nulla di ecologico nemmeno nella strutturazione di uno sport che aveva grande attenzione per i risultati dei campioni e quasi nulla per i risultati degli atleti di medio livello.

Continuando in questa fantasia ecologista io sostengo che lo sport spettacolo non sia ecologico perché ha prodotto una cultura dello scarto. Nello sport spettacolo molti fanno sport perché bisogna a tutti i costi produrre il campione ma poi, una volta selezionato il campione, bisogna concentrarsi su quello, sperare che tenga in alto i colori della bandiera nazionale e fermarsi tutti a guardarlo per televisione.

In uno sport cosiddetto “ecologico” tale necessità non esiste, tanti complimenti a chi vince, se vince bene altrimenti amen, l’importante per la nazione è che tutti facciano sport e si mantengano in salute e se si ha il tempo per guardare in televisione il grande campione bene altrimenti è comunque importante che nessuno rinunci al proprio sport e non conta che i grandi campioni abbiano un numero smisurato di spettatori. In sintesi in uno sport “ecologico” non vi sono scarti perché tutti sono protagonisti, tutti sono ugualmente importanti in una lotta che non è di propaganda politica ma di miglioramento della salute dell’intera popolazione. Per tale atteggiamento sono stato definito fascista perché mi si fa rilevare che fino ad ora l’unica cultura che ha considerato l’attività fisica in questo modo è stata quella fascista. Bene, allora per quanto riguarda questo aspetto posso essere considerato fascista, io non mi sono mai considerato fascista né comunista e penso che come l’ecologia non sia né di destra né di sinistra anche una cultura dello sport per tutti non possa essere considerata né fascista né comunista.

E’ chiaro che quando propagando una cultura dello sport per tutti non alludo ad un sistema coercitivo di diffusione della pratica sportiva e quando mi lamento che a scuola lo sport pesa troppo poco non voglio affermare che sarebbe giusto bocciare qualche ragazzo che non si impegna nello sport ma semplicemente suggerire che potrebbe essere sensato aiutare un ragazzo che si applica molto nello sport e magari proprio per questo è un po’ disastroso come rendimento scolastico generale. Sport visto come opzione, come possibilità di integrazione e non come coercizione e fonte di nuovi problemi che la scuola riesce ad offrire in grande quantità ai nostri giovani.

Una società del genere dopo il Covid è difficile da immaginare se tenteremo a tutti i costi di ripristinare ciò che c’era prima ma se passa l’idea che prima molte cose non funzionavano bene e questa, per fortuna, è un’idea che hanno maturato molte persone, allora si potrebbe anche presentare uno scenario di vera attenzione all’ecologia perché i problemi dell’ecologia nonostante esistano i negazionisti non sono un’invenzione dei mass media, anzi si potrebbe anche dire che i mass media tendono pure un po’ a sottovalutarli. La consapevolezza dell’urgenza del problema ecologico è ciò che ci può far pensare ad un nuovo tipo si società. In un nuovo tipo di società, con meno squilibri sociali, con più gente che lavora ma con orari meno massacranti (“lavorare meno, lavorare tutti”, questa era proprio di stampo comunista: allora sono comunista o fascista?!?) è pure possibile far passare un concetto di sport per tutti che in uno scenario simile non è più certamente un vezzo “radical chic” (alla fine so che l’accusa che mi tengo sempre appiccicata è proprio quello di “radical chic”, allora vuol dire che andrò via con le pezze al culo per far vedere che non sono proprio “chic”).

Il problema ecologico non lo si può ignorare, come il Covid. Se vogliamo il Covid ha offuscato molto la popolarità di Greta ma temo che, una volta passato il Covid, Greta torni a far parlare molto di sé perché non era lì per far pubblicità al dentifricio. E’ chiaro che dopo un terremoto prima di ricostruire ti occupi di vedere cosa è andato giù. Io spero solo che non dicano che sono “belle e stabili” istituzioni che avevano crepe terribili  già prima del Covid.