LE PROVE “RIPETUTE” DEL VELOCISTA

Il primo a pensare ad un concetto di “prove ripetute” del velocista in Italia è stato il prof. Carlo Vittori, allenatore del grande Pietro Mennea, che sosteneva come anche nella velocità (pure sui 100 metri) esista comunque una componente di resistenza che va ad incidere sul risultato finale.

Non c’era bisogno di lui per scoprirlo, lo si sapeva già ben prima, a lui l’onore di affrontare in qualche modo il problema visto che non era una fantasia.

Un passo indietro su una questione curiosa. Siamo portati a pensare che ci siano certi allenatori cosiddetti “innovatori” che si inventano qualcosa e lo vanno a sperimentare su un certo atleta. A volte accade proprio il contrario: esistono degli atleti che hanno caratteristiche pariticolari per cui l’allenatore deve prendere atto che un certo tipo di allenamento può andare bene per quell’atleta e forse, potrà essere utile anche per atleti che praticano la stessa disciplina.

Io penso che nel caso della coppia Vittori-Mennea sia andata un po’ così. Carlo Vittori ha avuto semplicemente l’elasticità di capire che con quell’atleta potevano tornare utili allenamenti che altri atleti non avevano mai provato. Ottenuto il riscontro positivo su questi allenamenti Vittori ha avuto l’idea che forse questi allenamenti sarebbero andati bene anche per altri velocisti. e qui è stato un po’ criticato ma l’intento non era per nulla deplorevole. Determinare l’etichetta di Vittori come allenatore di Mennea punto e basta è troppo restrittivo nei suoi confronti, dire che Vittori abbia ottenuto il massimo proprio con Pietro Mennea probabilmente corrisponde proprio al vero a prescindere dalle doti di Mennea.

Insomma Pietro Mennea oltre che un grande talento aveva una capacità di sopportare certi carichi di allenamento fuori dal comune e non a caso qualcuno sosteneva che era un “velocista che si allenava come un mezzofondista”.

Non è facile trovare atleti simili io direi che nemmeno Tortu e Jacobs lo sono perché, per quanto fortissimi hanno caratteristiche diverse, come minimo valuterei l’intuizione di Vittori nel capire che non tutti i velocisti sono uguali e ve ne sono alcuni che hanno insperate doti di recupero e, pur senza avere il talento di Pietro Mennea, possono essere allenati in un certo modo.

E’ qui che nasce la problematica delle “prove ripetute” per il velocista. Dire “prove ripetute” per il velocista non è una parolaccia e per certi atleti invece è una componente dell’allenamento decisiva per portarli a nuovi livelli prestativi. Insomma diciamo che i tempi di Livio Berruti sono finiti anche se probabilmente un atleta come Livio Berruti al giorno d’oggi andrebbe allenato proprio come Livio Berruti allora perché con quelle cartteristiche fisiche non poteva fare altrimenti.

Vediamo qual’è l’insidia principale della prova ripetuta riferita al velocista per capire i suoi limiti ed i suoi ambiti di applicazione. Ripetere una prova più volte implica necessariamente che si faccia fatica e tenere una grande qualità di esecuzione in tutte le prove. Diciamo pure che quella massima è praticamente impossibile. Già fai fatica a ripetere la qualità massima di una prova il giorno dopo, figuriamoci nella stessa seduta di allenamento.

Allora nella velocità il problema è duplice perché alla necessità di raggiungere elevate qualità per stimolare davvero la velocità massima in modo specifico si aggiunge quella di non sovraccaricare l’atleta che quasi sempre è più delicato muscolarmente rispetto al mezzofondista e più soggetto ad infortuni.

Accade che per ottenere queste elevate qualità e non scadere su velocità non utili si adoperino distanze molto brevi dove le doti di resistenza sono poco intaccate e consentono di ripetere la prova più volte tenendo una discreta qualità. Il centometrista non ripete più volte i 100 metri bensì i 60 metri o i 50 o addirittura i 30 dove non fa nemmeno in tempo a lanciarsi completamente. Ecco queste prove hanno già una problematica che è completamente diversa da quella del mezzofondista.

Mi spiego: il mezzofondista puà fare un qualcosa di quasi specifico con riferimento alla sua gara anche correndo 30 volte i 100 metri. Magari in gara corre gli 800 metri o addirittura i 1500 e dunque i 100 metri sono 8 volte nel primo caso o addirittura 15 volte nel secondo caso più brevi della distanza di gara però può accadere che il mezzofondista corra in modo abbastanza specifico anche in un allenamento simile. Partiamo dall’aspetto biomeccanico. da quel punto di vista non c’è nemmeno da far riferimento ai recuperi fra le varie prove. Anche senza guardare a quelli possiamo tranquillamente dire che quando un mezzofondista corre i 100 metri in 14″8-14″9 corre più o meno con le stesse tensioni di quando corre gli 800 metri in 1’52”-1’50” circa. La fatica è ben diversa ma la meccanica di corsa è molto simile. Tolto il lancio, che a quelle andature dura pochi metri, la parte restante della prova sarà corsa da un un punto di vista biomeccanico molto simile a quella della prestazione sugli 800 corsi al ritmo di quelle prove. Se addirittura andiamo a lavorare sui recuperi, proponendo recuperi molto brevi, anche da un punto di vista organico potremo proporre un qualcosa che è molto simile alla gara, per cui, non solo da un punto di vista biomeccanico, ma anche da un punto di vista delle sensazioni di fatica anche solo con delle frazioni di 100 metri possiamo andare a creare una situazione che è abbastanza simile a quella della gara degli 800 metri anche se, ovviamente, non da un punto di vista tattico dove l’unica simulazione interessante purtroppo è la gara vera e propria per molti motivi.

Nella velocità il discorso è molto diverso. Quando il centometrista corre i 30 metri per non affaticarsi troppo e tenere buone qualità per più prove in realtà non corre mai con le tensioni di una certa parte della gara e non sono simili né da un punto di vista della fatica né dal punto di vista biomeccanico. Diciamo che chi corre più volte dei buoni 30 metri stimola ripetutamente l’accelerazione ma praticamente mai la fase lanciata. La fase lanciata vera e propria si concretizza infatti dopo i 30 metri e se uno ha lacune in quella hai voglia a tentare a porci rimedio ripetendo più volte i 30 metri. Per assurdo, ripetendo più volte i 30 potrai anche stimolare un certo tipo di resistenza specifica che ti potrebbe anche aiutare a tenere elevate frequenze più a lungo ma quanto alla fase lanciata è proprio un altro gesto meccanico.

Problema dei problemi fare un qualcosa di specifico dove si corra in modo molto simile alla gara e che si possa ripetere più volte. E qui si va in cerca dei miracoli perché se voglio stimolare la fase lanciata e voglio farlo più volte dovrei avere a diposizione un duecentista o un quattrocentista. Il centometrista quando gli hai fatto sparare un paio di cartucce sulla distanza quasi intera è già a posto.

Un’ alchimia può essere che invito l’atleta a raggiungere con calma la fase lanciata dicendo che può accelerare in tutta tarnquillità prendendosi tutto il tempo che vuole e pertanto eliminando il problema di dover correre veloce “prima possibile” e poi dire che quella fase lanciata va tenuta pochissimi metri, solo giusto per sentirla un attimo. In ogni caso, anche con questo sistema, un lanciato dove si raggiunge la massima velocità è un qualcosa di “costoso” e se ne potranno fare forse tre invece che due ma non certamente dieci o “trenta” che spesso sono la cifra delle prove brevi (e talvolta neanche tanto brevi) dei mezzofondisti. Insomma trenta volte un qualsiasi tratto lanciato a buona velocità è comunque una cosa da mezzofondista (e che ti bastona pure abbastanza…) e non da velocista, per quanto resistente sia quel velocista.

Allora l’idea di adottare delle prove ripetute anche per il velocista non è certamente un’ idea da buttare ma bisogna tenere presente che con questo tipo di atleti il rischio di cadere su qualcosa di aspecifico esiste perché è molto difficile ricreare le condizioni di gara senza provocare un affaticamento repentino che rende impossibile ripetere un certo numero di prove. Una strategia potrebbe essere quella di adottare recuperi molto lunghi fra una prova e l’altra per garantire un miglior ripristino delle condizioni iniziali ma purtroppo tale strategia non è tanto perseguibile nei climi freddi nella stagione invernale dove dopo una pausa di un quarto d’ora l’atleta è praticamente obbligato a ripetere il riscaldamento perché è ormai ghiacciato.

Pertanto mantenere un’ elevata specificità diventa ancora più difficile con i climi rigidi e non a caso si dice che nel Nord Italia il velocista in inverno fa finta di fare velocità ma in effetti si sottopone ad un lungo periodo di rigenerazione dove al ritmo gara ci corre gran poco perché altrimenti si rischia di farsi del male.

Insomma chiamiamole pure “prove ripetute” ma con riferimento al velocista sono un qualcosa di molto più complesso dove non è certamente sufficiente impostare una certa velocità e mettersi a ripeterla più volte su un certo tratto con una pazienza certosina. Da questo punto di vista ci tocca ammettere che il mezzofondista, abituato ad ammazzarsi di chilometri, ha il compito facilitato. Ad ognuno la sua fatica.