LA SOLITUDINE DEL CAMPIONE

Lo sport è palestra di vita.

Il fatto che alcune considerazioni sulla solitudine del campione siano traslabili ad altre situazioni di vita è la diretta conseguenza di questa cosa.

Così esistono i campioni dello sport, i campioni dell’arte, della politica, della finanza.

In ogni ambito esistono dei campioni, soggetti che si distinguono nettamente in qualcosa riuscendo ad affermarsi particolarmente in qualche attività.

Il campione. per certi versi, è un emarginato, è unico ed è la matematica a dircelo. Gauss per l’esattezza, che illustrando la sua famosa curva, ci dice che la gran parte della popolazione ottiene risultati normali, alcuni soggetti un po’ sfortunati ottengono risultati sotto alla media ed i più sfortunati, per loro ulteriore sfortuna, sono anche piuttosto pochi mentre i più performanti, man mano che si alza il livello prestativo, sono sempre meno, fino ad arrivare al campione che, per definizione appunto, è unico.

E’ per tale motivo che la teoria e metodologia dell’allenamento sportivo applicata allo sport di alto livello è un’arte e non una scienza. Siccome i veri campioni sono molto pochi non si può applicare a loro il metodo scientifico per mancanza di dati, non ci sono i numeri per farlo.

Noi possiamo sapere con sufficiente approssimazione cosa produce l’allenamento nella gran parte degli sportivi perché ciò si può studiare su grandi numeri, su una grande quantità di dati è così sappiamo che lo sport di base fa bene alla salute di tutti e pertanto può essere consigliato a tutta la popolazione ma sulle gesta del campione brancoliamo sempre al buio perché questo ci offre pochi dati per poter essere studiato a fondo.

Dell’utilità dello sport per tutti ho già scritto in tantissimi altri articoli, è la mia bandiera, è il mio chiodo fisso e sono convinto che uno stato evoluto deva concentrarsi su questo per poterlo offrire alla maggior parte della popolazione proprio per un discorso di profilassi sanitaria, oltre che per un discorso di qualità della vita.

Adesso vorrei concentrarmi un attimo su come il campione sia effettivamente solo. E’ un discorso anche abbastanza terra terra di sport, poi ognuno potrà trarne le conclusioni che vuole trasferendo questo discorso dallo sport ad altre questioni.

Il campione è solo perché apre nuove strade, nessuno prima di lui le aveva percorse e, per esempio, quando stabilisce un record del mondo è il primo uomo a fare quella determinata cosa, almeno in quei termini.

Ovviamente l’esclusività della cosa non si ferma al record e basta ma si estende a tutto il resto dell’esistenza. E’ l’unica persona che ha spinto in un certo modo le sue scelte esistenziali per arrivare a quel risultato, nel bene e nel male. Altri hanno percorso una strada simile alla sua per fare i record del mondo precedenti o anche per andarci vicino, lui è il primo che ha provato proprio quella strada. E’ a tutti gli effetti un pioniere. Poco male quando si avvicina a questo traguardo e bisogna proprio dire che la vita del campione oltre che una vita difficile è anche una vita entusiasmante ma il grande trauma arriva nel momento del successo massimo in quel momento nel quale il campione viene consacrato e dimostra tutto il suo valore. Quando raggiunge il top si trova in una posizione fantastica ma al tempo stesso scomoda. Da lì può ulteriormente migliorare, anche se è molto difficile, oppure cominciare a scendere e lì si vede l’abilità con la quale sa affrontare le problematiche ancora più toste del campione, quelle ancora più difficili della già difficile preparazione sportiva. Molti campioni non sono attrezzati a scendere pian piano dal piedistallo e così dopo un periodo più o meno lungo di fulgore intraprendono una strada verso la quasi normalità che non è mai facile.

Scendere da una vetta molto alta è molto più difficile che scendere da una morbida collina e a volte c’è il rischio di ruzzolare già rovinosamente. E’ questa la vera solitudine del campione. Il campione è solo anche quando si sta costruendo e quando sta intraprendendo la scalata verso risultati sempre migliori ma lo è ancor più e aggiungo “molto di più” nel momento in cui inizia la discesa. Molti si reinventano in altre cose che provano con altrettanto successo e così evitano un trauma assolutamente non trascurabile che è quello di dover passare dalle luci della ribalta all’oblio in breve tempo. Reinventandosi in qualche modo, anche se non nella disciplina che li ha lanciati, i campioni atterrano sul morbido, magari non sono più al centro dell’attenzione come prima ma continuano comunque a mantenere una posizione di privilegio dove il loro nome passa ancora molte volte sui giornali ed in televisione. La notorietà crea una grande assuefazione e se c’è chi ci sta a ritirarsi a vita tranquilla e discreta c’è invece anche chi proprio a questa cosa non ci sta e se ne inventa di tutti i colori per restare sempre al centro dell’attenzione.

Allora abbiamo l’abitudine di dire che il vero campione è quello che sa anche reinventarsi in altri ambiti quando potremmo semplicemente dire che può anche essere quello che accetta semplicemente di essere stato un campione per un certo periodo e conscio della non eternità delle questioni terrene si adatta a non fare più il campione per il resto della vita. Altri ancora dicono che il vero campione è destinato a tristezza cronica per il resto della sua vita confondendo un po’ lo sport con l’arte. Diciamo pure che l’arte tollera la malinconia molto di più dello sport ma se un ex campione gode di buona salute (se sa usare bene lo sport la cosa è molto probabile) non è assolutamente detto che deva vivere in modo malinconico la parte più “normale” dell’esistenza. Altri collegano i proverbiali problemi psicologici dell’ex campione alla situazione economica. Molto spesso il campione proviene da una famiglia abbastanza modesta, si trova, soprattutto nello sport moderno, a gestire una marea di danaro e si trova poi disorientato proprio perché non abituato a fare i conti con tutto quel danaro. Insomma il danaro, soprattutto quando è troppo, non è per niente detto che dia la felicità ma può, al contrario, dare problemi piscologici di non facile risoluzione, come insegnano, a livello statistico anche le grandi vincite delle mega lotterie dove se il supervincitore è una persona con la testa sulle spalle gestisce il tutto con grande maestria se invece è una persona debole rischia di fare una brutta fine sommerso da problemi che sono più gravi di quelli di chi danaro proprio non ne ha.

Il campione è in ogni caso un soggetto unico e lo è nella sua ascesa ma ancor più nel suo ritorno alla normalità. Purtroppo bisogna ammettere che nessun ritorno alla normalità di nessun campione è una cosa effettivamente normale. Come minimo diciamo che deve essere in grado di affrontare un certo tipo di solitudine che poi è una cosa che nella nostra esistenza prima o poi dobbiamo saper affrontare tutti. Forse, alla fin fine, il vero campione è il più normale di tutti, quello assolutamente confuso nella massa che senza rendersene conto è un numero uno anche lui, il più normale di tutti. Una cosa che può, dare una solitudine terribile, non a caso tutti tentano di diventare dei campioni, anche se sanno che dovranno fare i conti con la solitudine del campione e nessuno, proprio nessuno, punta alla normalità più assoluta. Solo quel campione, magari ignaro, che avrebbe potuto essere premiato magari da Gauss, indiscusso campione della matematica.