LA RIVOLUZIONE NON VIOLENTA

Secondo alcuni la rivoluzione “non violenta” non può esistere, è come dire l’acqua non bagnata, se è rivoluzione è violenta punto e basta, il concetto di violenza è insito nella rivoluzione altrimenti non la si può nemmeno chiamare rivoluzione ma “lenta evoluzione” o al più “rapida evoluzione” (quasi… rivoluzionaria appunto!).

E’ pure possibile che la rivoluzione “non violenta” sia un’utopia, purtroppo bisogna ammettere che di questi tempi è pure un’utopia piuttosto interessante e non è molto difficile spiegare perché.

Quando la povertà patologica sale e le disuguaglianze fra classi sociali si amplificano come in questo periodo la voglia di rivoluzione aumenta. La disperazione delle classi sociali disagiate alimenta la voglia di rivoluzione. I disperati non hanno proprio nulla da perdere da uno sconvolgimento repentino dell’ordine sociale, non si pongono nemmeno il quesito se questo possa portare a gravi danni per la società, loro sanno solo che questo sistema non funziona e hanno urgenza che cambi a costo di rischiare in un ulteriore peggioramento.

Agli antipodi di questa situazione disperata ci sono i benestanti che sono un numero relativamente ridotto di soggetti che però hanno un forte potere politico oltre che economico (non dimentichiamo che ad alti livelli economia e politica vanno a braccetto ed è difficile trovare un importante politico senza potere economico o un ricco possidente senza potere politico). Questi non hanno nulla da guadagnarci da alcun tipo di rivoluzione, sia essa non violenta o peggio ancora se violenta (la rivoluzione francese è “illuminante” in tal senso…).

Diciamo che sono refrattari ad alcun tipo di cambiamento salvo che tale cambiamento non sia di tipo fittizio e rigidamente controllato secondo un principio di mantenimento dei rapporti di forza attualmente esistenti. Praticamente un sistema politico che voglia capovolgere i rapporti di forza fra elite dominanti e categorie disagiate è abbastanza improponibile in un clima di politica governata dai ricchi dove anche il più eccentrico dei leader delle forze politiche cosiddette progressiste e sostenitrici delle esigenze dei poveri è comunque un benestante.

Premesso che in un paese civile l’unica rivoluzione possibile è quella “non violenta” perché quella violenta ci vuol gran poco a capire che non può portare benefici a nessuno ed è semplicemente l’ingrediente per la guerra civile, si tratta di capire se davvero il concetto di “rivoluzione non violenta” sia un concetto utopistico o se non sia invece un’opzione possibile in un clima di grande crisi sociale dove la politica si dimostra impotente e non attrezzata ad affrontare situazioni di rapido mutamento sociale.

Dopo aver dato ragione a chi sostiene che su questo sito mi occupo più di politica che di questioni legate al movimento vorrei spiegare perché anche le piccole rivoluzioni hanno a che fare con questo marchio di possibile “non violenza” che può convincere o meno sulla loro opportunità.

Ho già scritto che l’idea della “casetta avanzata delle  biciclette nelle città” era (mi tocca scrivere “era” o posso ancora scrivere “é”? E’ una possibile rivoluzione soffocata sul nascere o è ancora possibile?) una piccola grande rivoluzione. Piccola in un contesto sociale di grandi mutamenti, grande in un contesto di mobilità urbana ingessata da anni ormai decisamente insostenibile e costantemente congelata sul primato dell’auto.

Delle due cose promesse in tema di ciclabilità: il bonus per l’acquisto delle bicicletta e questa “rivoluzionaria” casetta per cambiare aspetto al traffico urbano, la prima delle due pare quella decisamente meno impattante sul tessuto sociale, quella che pur facendo piacere a molti cittadini (si parla di circa mezzo milione di beneficiari) non cambierà sostanzialmente il modo di usare la bici nelle nostre città. Era evidente che volendo mantenere solo una delle due promesse si sarebbe mantenuta la prima, anche se almeno in un primo momento pare non avere costi inferiori alla seconda.

Non sono i costi diretti dell’attuazione dell’idea della casetta a far paura (un po’ di vernice e molta manodopera ma non più onerosa del costo totale del bonus) bensì i costi indiretti derivanti dall’applicazione di tale progetto.

Tornando a bomba sul concetto iniziale dell’articolo si sarebbe trattato probabilmente di una rivoluzione a tutti gli effetti non una rivoluzione “non violenta” bensì di una rivoluzione decisamente violenta, potenzialmente letale nei confronti di una industria che per colpa del corona virus è già al tappeto: quella automobilistica. La gente è al verde, se dai la possibilità di non spendere più soldi per l’auto e di cominciare a usare la bici per la maggior parte degli spostamenti  quotidiani (anche quelli con i bambini che troppo volte nella nostra società vengono scarrozzati in fretta a destra e a manca a bordo di autovetture che tolgono troppe importanti occasioni di movimento sia a loro che a noi) non ci pensa su due volte a cambiare stile di vita (come continuano a ripeterci senza speranza i medici) e a mettere in atto una rivoluzione che indubbiamente ha ripercussioni economiche sostanziali.

Allora tanto per cambiare, dopo una premessa volo pindarico di carattere generale da filosofia della scienza, atterro sulla solita noiosissima questione della quantità di movimento dei cittadini e dico che se abbiamo il coraggio di cominciare a farli pedalare fuori dalle palestre inneschiamo una rivoluzione che può migliorare la salute di tutti.

E’ certamente una rivoluzione e si tratta di capire se può essere “non violenta” o meno perché se scopriamo (ma come si fa a scoprirlo?) che può essere solo violenta è giusto frenarla per impedire che faccia danni se invece esiste qualche modalità per renderla non violenta allora, almeno dal punto di vista della salute, è giusto perseguirla e tentare di metterla in atto.

Come sempre le elite dominanti lavorano per farti capire che la rivoluzione non violenta non può esistere e allora sostengono che le città con le auto subordinate alle bici,  oltre che un danno incredibile per l’economia sono la fine del mondo. Io sarò un pazzo utopista e persecutore di questo concetto idiota di “rivoluzione non violenta” ma sono convinto che questo tipo di rivoluzione non fa solo male alle tasche di tanti imprenditori ma può anche fare bene alla salute di tanti cittadini che non hanno alcun interesse economico nel mantenimento di questa situazione.

E’ una lotta sull’informazione. Chi controlla l’informazione sostiene che le città in “preda” alle biciclette sono un incubo che provoca un disastro economico che si ripercuote su tutta la popolazione. Chi è semplicemente stufo di queste città ipotizza che queste siano solo balle colossali per preservare gli interessi economici di chi non crede nella rivoluzione verde.

Se la rivoluzione verde potrà dimostrare di essere non violenta ha qualche speranza di partire altrimenti resterà una folle utopia. Anche se non era per nulla folle, ma con il sistema di informazione deve comunque farci i conti.