LA DEPRESSIONE DA CARENZA DI MOVIMENTO

Sgombriamo subito il campo da un equivoco: non voglio trattare su questo articolo un tipo di depressione cronica che può anche essere collegata alla mancanza di attività fisica, che può colpire indistintamente tutte le persone, bensì un quadro un po’ più particolare di depressione che si potrebbe quasi definire in modo improprio di tipo “reattivo” conseguente ad uno stop o ad un deciso rallentamento dell’attività fisica di chi è abituato a muoversi molto. Una volta tanto questo tipo di problematica non riguarda i sedentari che non hanno nessun motivo di svilupparla, almeno nella sua fase “acuta” e riguarda invece esclusivamente la popolazione abituata a muoversi molto.

Purtroppo (e daje e ridaje…) è un argomento molto correlato alle problematiche di questi giorni relative al corona virus e, tanto per essere chiari, distinguiamola anche da un altro tipo di problema psicologico, che non posso certamente affrontare io perché non è mio campo di competenza, che è la “claustrofobia reattiva” che può pigliare tante persone costrette a stare a casa. La claustrofobia reattiva è un problema di natura squisitamente psicologica e potrebbe addirittura scatenare orde di nuovi podisti nati in seguito a queste misure restrittive. E con questo posso affrontare un altro discorso che è stato fatto in questi giorni.

E’ stato vivamente sconsigliato di uscire a tutti  se non per seri motivi di salute. Si scopre che ci sono milioni di nuovi podisti che hanno “bisogno” di correre per stare bene. Questa è una balla a metà e delinea bene quella che è la problematica che voglio analizzare. Perché scrivo che è una balla a metà? Il claustrofobico “reattivo” prende la scusa di diventare podista pur di uscire dalla porta ma da un punto di vista fisico non ha nessuna esigenza di correre se non è mai stato un podista perché non è assuefatto alla corsa, ha delle problematiche di tipo psicologico ma non di tipo fisico. Se dicessero che si può uscire dalla porta solo se si va in motocicletta questo probabilmente diventerebbe un motociclista anche se non ha mai guidato una moto in vita sua. Queste problematiche di tipo psicologico (o psichiatrico se sono veramente importanti e patologiche) non possono essere trattate dal punto di vista del movimento perché vanno prima inquadrate da esperti del settore, tipo psicologi e psichiatri. Con questo non sto dicendo di sottovalutarle, anzi, ma che non si creda che il neopodista abbia improvvisamente bisogno di fare il podista per motivi che può spiegare l’insegnante di educazione fisica, la questione è ben altra.

Esiste il podista di lungo corso, quello veramente assuefatto alla corsa, che corre da anni e che corre in modo sistematico. Quello ha davvero bisogno di correre da un punto di vista fisico e quello può pure sviluppare una depressione diciamo “simil-reattiva” dettata anche da cause fisiologiche,  questo è il punto, e bisogna spiegarla per non prendere in giro nessuno e, nei limiti del possibile, come insegnante di educazione fisica devo pure tentare di dare dei consigli a questo soggetto perché, anche se è un argomento che coinvolge i medici, può essere affrontato specificamente dagli esperti del movimento che possono provare a suggerire soluzioni applicative per affrontarlo in qualche modo.

Il podista di lungo corso che improvvisamente non corre più va incontro ad una serie di disturbi. E’ lo stesso motivo per cui un atleta ospedalizzato non può essere trattato come una persona qualsiasi. Se è vero che nel lungo periodo ha probabilmente più possibilità del sedentario di affrontare con successo la patologia in un primo tempo ha un problema in più rispetto al sedentario: la variazione piuttosto improvvisa di alcuni parametri bioumorali che cambiano in modo sensibile anche solo dopo aver saltato sei o sette sedute di allenamento. Per certi atleti sei o sette sedute di allenamento possono essere anche solo tre o quattro giorni e questo in 4 giorni di ospedale si trova già con dei problemi di mancanza di movimento che il sedentario non sa proprio cosa siano.

Allora, premesso che la cura migliore per questa cosa sarebbe prendere e andare a correre, ovviamente ciò non è concesso a chi ha un arto fratturato ma, e qui ci casca il corona virus, pare che ciò non sia consentito nemmeno a chi sta bene ma è residente sul territorio italiano in questo momentaccio. La motivazione sarebbe che se le forze di polizia devono stare a selezionare fra chi ha bisogno davvero di correre e chi fa finta di averne bisogno per uscire dalla porta si sovraccarica chi fa i controlli di un onere ingestibile. Poi io i dettagli applicativi dei vari provvedimenti che si susseguono in modo frenetico in questi giorni faccio fatica a capirli e per cui parto dal presupposto di dover dare consigli ad un podista al quale è stato vietato correre anche se ha realmente bisogno di farlo.

Quello che si trova in questa condizione (e mi auguro che siano pochi e che si riesca a trovare a breve una soluzione concreta per questi…) ha bisogno solo di una cosa: di muoversi in qualche modo. Faccio un esempio brutale: come quel ciclista dopato che si sveglia la notte con la necessità di mettersi a pedalare sui rulli per far circolare il sangue perché da tanto denso che è crea problemi seri se uno sta fermo troppe ore.

Ecco, alla stessa stregua il podista assuefatto deve muoversi come un dopato anche se non è per nulla dopato ma ha delle esigenze particolari che il sedentario non ha. E pertanto anche se non ha uno stramaledetto tapis roulant (i veri podisti difficilmente hanno un tapis roulant, non lo considerano nemmeno) o una vecchia cyclette in cantina, deve provare a muoversi in qualche modo. Muoversi come? Facendo circolare il sangue e pertanto azionando la pompa cardiaca in modo adeguato. Un podista che si fa in casa una seduta di ginnastica di allungamento che non stimola in modo adeguato la circolazione del sangue è come se non avesse fatto nulla, ha proprio bisogno di un’attività dinamica che stimoli un buon consumo di ossigeno. E allora l’esigenza di arieggiare i locali e di inventarsi qualcosa che riesca ad elevare il ritmo del movimento.

Non ho mai trattato volentieri il tormentone delle frequenze cardiache ma un podista che è abituato a correre la sua ora di corsa a 120-130 battiti al minuto deve trovare le strategie applicative per riuscire a fare in casa  qualcosa che porti la frequenza cardiaca a livelli simili a quelli. E allora anche qui l’eterno discorso della fantasia, qualsiasi cosa va bene purché sia sopportabile psicologicamente. E’ chiaro che non si può fare un ora di corsa sul posto perché ti internano in manicomio ma alternando con altri esercizi anche la corsa sul posto può essere un ottimo contorno alla seduta per tenere un buon ritmo di esecuzione.

Tutti questi discorsi ovviamente subordinati alla lecita speranza che le limitazioni drastiche di questi giorni possano essere corrette a breve. Se il decorso della patologia in Italia è simile a quello verificatosi in Cina fra pochi giorni si potrebbe anche iniziare a vedere la luce in fondo al tunnel. A quel punto chissà che non si capisca che in mezzo ai 60 milioni di italiani che si dichiarano podisti da sempre ce ne sono anche di quelli che hanno bisogno di correre davvero. Fortunati in genere, sfigati quando si tratta di dover stare a casa per problemi inimmaginabili.