INCUBI

Stanotte ho fatto un incubo.

Interrogazione di agricoltura. La profe era una bella signora distinta, molto a modo, forse un po’ troppo “sulle sue”. E qui già potrebbero scatenarsi gli psicologi. Forse io vedo la scuola italiana come una bella signora distinta, molto a modo e un po’ “troppo sulle sue ?!?. Non so, c’è qualcosa di complesso sotto… Di certo c’è che il mio profe di agricoltura era un maschio, era un bravissimo e stimato professionista, non riesco a dire se fosse bello (scusate la pochezza della mia descrizione) e quanto ad essere un po’ troppo sulle sue proprio non ci siamo perché, visto che in classe eravamo tutti maschi, ogni tanto partiva con qualche barzelletta “sporca” che lo calava completamente nel mondo degli umani.

L’interrogazione con questa bella e distinta signora va in modo semplicemente disastroso (evvai con lo psicologo che si scatena…) e lei, pur nella sua “altera rigidità” cerca tutti gli agganci per farla volgere al meglio ma la mia preparazione è talmente disastrosa che proprio non c’è verso. Non trova un appiglio, non trova un argomento per riabilitarmi. Ad un certo punto sono addirittura io che, in modo timido e non certamente impositivo, le spiego che forse per darmi la possibilità di dire qualcosa dovrebbe fare domande che escano un po’ dagli schemi, che escano da ciò che c’è scritto sul libro, che vadano al di là del programma effettuato (qui lo psicologo ormai si sta rotolando in preda a degli spasmi professionali). Niente, la distinta signora non riesce a cambiare registro e l’interrogazione (pure lunga) volge clamorosamente e tragicamente al peggio.

Per peggiorare questo quadro si aggiunga che io esco dal banco con credenziali tutt’altro che scadenti e vengo ritenuto un ottimo elemento di quella classe. Queste sono cose dei sogni che non si riescono a spiegare perchè il sogno non può durare due notti consecutive e sono credenziali di partenza che non hanno una motivazione apparente. Comunque senza affaticare l’ormai rantolante psicologo, spiego che io in effetti ero ritenuto un valido studente e se c’erano pregiudizi nei miei confronti semmai erano di tipo positivo non di tipo negativo, pertanto avrebbe fatto più sorpresa una pessima interrogazione di una buona.

Vado a casa e spiego a mio padre che l’interrogazione è andata male, la peggiore della mia vita (non penso di aver mai parlato di un’interrogazione di scuola a mio padre ma se ne fosse esistita una così forse avrei pure provato a parlarne) e che non è assolutamente colpa della profe, una bella signora distinta che ha fatto di tutto per far volgere le sorti dell’interrogazione al meglio.

Torniamo un attimo sulla realtà. Io in effetti in agricoltura non avevo le basi per essere un ottimo studente. Ho sempre vissuto in città, mai parlato di agricoltura con nessuno, al di là di quello che studiavo sui libri non sapevo proprio nulla. Ma me la sono sempre cavata perché in un utilitarismo che critico molto agli studenti contemporanei (la pagliuzza altrui e la trave propria)  studiavo quasi a memoria quella materia (e sottolineo “quella” materia perché io ho sempre odiato imparare a memoria le cose…) sui libri e pertanto riuscivo a ripetere ciò che era necessario ripetere per salvarsi. In agricoltura sono ancora un’autentica frana e ricordo benissimo che il profe molto simpatico che ebbe l’occasione di apprezzarmi di più in un buon estimo un  giorno, comprendendo le mie terribili basi ebbe modo di giustificarmi così: “Del resto da uno che è sempre vissuto in centro non  si può pretendere che sappia tutto dei campi…”.

Forse ne veniamo fuori. Ho sognato l’altra faccia della realtà, quella che non ho vissuto. Il mio profe era molto diverso da quella del sogno. L’esito dell’interrogazione altrettanto diverso. C’è una realtà che è venuta fuori in modo soft ai tempi che furono e che si è scatenata in modo tutt’altro che morbido stanotte: in agricoltura sono una frana. E’ più reale ciò che è accaduto stanotte di ciò che è accaduto davvero 40 anni fa.

Cosa vuol dire? Che devo chiedere scusa alla scuola italiana per quanto la critico? Non ho le basi di agricoltura e dunque devo stare solo che zitto? Spero di no, ma è certo che tutte le critiche vanno fatte in modo circostanziato, educato e, se possibile, pure produttivo.

Allora prima di spiegare perché c’è un aggancio reale con la scena del sottoscritto che prova a dare suggerimenti alla distinta professoressa per tentare di cambiare le sorti dell’interrogazione devo fare una premessa altrimenti il povero psicologo non si riprende più dalle convulsioni.

Ieri ho parlato di attività motoria dei ragazzini con un  mio collega che dirige un rinomato centro di riabilitazione e studio dell’attività motoria nella mia città. Questo era un po’ disperato sulle sorti dell’atletica italiana e cercava motivazioni nella strutturazione dell’attività a livello federale. Io ho “esteso” il campo di osservazione (affinità con le indicazioni alla professoressa…) ed ho osservato che il problema forse è più a livello generale che a livello specifico. E’ un problema di tutta l’attività motoria dei ragazzini italiani più che della singola federazione di atletica e i conti vanno fatti con telefonini, tablet, computer e televisione probabilmente prima che con un certo modello di organizzazione delle gare e dell’attività federale. Poi è chiaro che se nell’attività federale (giusto per non salvare nessuno) fin da ragazzini vengono incentivati solo i numeri uno e le comparse vengono subito ignorate abbiamo poche speranze di portare avanti un movimento importante.

Il cerchio si chiude aggiungendo che io ho fatto addirittura delle pseudo lezioni nelle quali spiegavo ad insegnanti della scuola primaria come si può gestire l’attività motoria dei ragazzini fornendo ottime basi per quella che è una propedeutica all’atletica leggera. Quelle lezioni erano state molto illuminanti per me (non so se anche per i maestri…) e avevo capito che il problema non è certamente di competenze.

La tragedia dell’attività motoria nella scuola primaria è una tragedia di paure e di responsabilità che devono essere smontate per non essere costretti a tenere i bambini fermi sui banchi. I maestri sanno benissimo cosa fare per far muovere in modo molto efficace i bambini, solo hanno una fifa blu degli infortuni e delle conseguenze legali che possono avere questi. Giusto aver paura di un infortunio e fare di tutto evitarlo ma se un bambino si rompe una gamba e può succedere dappertutto e dunque anche nella scuola italiana non solo in quella francese o tedesca non c’è da processare nessun insegnante. Un bambino non cade dal quinto piano giocando, ma cade a terra, il più delle volte si sbuccia e si procura una contusione, a volte può farsi male in modo più grave. Se cento bambini prendono una botta in testa durante l’anno scolastico (la botta in testa fa sempre paura, giustamente molto più di quella sul ginocchio) allora mando i bambini a scuola con il casco perché vuol dire che per colpa di telefonino, tablet, computer e televisione non sono più capaci di giocare come i bambini normali.

Sono passato dall’altera profe che mi bastona in agricoltura a proporre addirittura l’uso del  casco pur di non ridurre i tempi di gioco dei bambini a scuola, forse lo psicologo mi occorre per quello.

E’ certo che tutta la scuola italiana è un soggetto che ha bisogno di consigli. E’ un soggetto un po’ rigido e a volte appare pure disponibile ma è legato dentro a logiche che devono essere riviste.

Poi è chiaro che il ragazzino cresciuto in città se non ci mette del suo non diventerà mai un ottimo agronomo, così come quello che non sa giocare e casca ogni tre passi forse non diventerà un acrobata però dobbiamo provare a far qualcosa.

Che questo monito provenga da uno che di agricoltura non sa nulla forse non conta poi molto, apriamo gli orizzonti.