IMPREVEDIBILITA’ DEGLI INCAPACI

E questo, anche se non sembra, è un articolo di sport e forse, almeno per i concetti che porta in campo, può pure essere considerato abbastanza tecnico.

Per incapaci intendo atleti non capaci di ottenere prestazioni brillanti, incapaci di ottenere prestazioni di alto livello, dunque soggetti “abbastanza” normali dove quell’abbastanza è riferito al fatto che è più anomalo il campione dell’atleta che non fa grandi risultati. Questo fino ad un certo punto. Io scrivo di sport poi qualcuno sarà libero di traslare questi concetti anche ad altri ambiti dell’esistenza umana. E’ abbastanza normale non vincere, come, se vogliamo è anche abbastanza normale vincere, e lì casca l’asino. E’ abbastanza normale vincere perché in qualche accidenti di sport (o in qualche accidenti di ambito dell’esistenza appunto) prima o poi uno vince. Diciamo che tutto sommato è abbastanza anomalo non vincere proprio in nulla. Parlando di normodotati (ed è di questi soggetti che stiamo trattando perché per quanto riguarda i disabili conclamati la faccenda si fa ancora più complessa) la normalità prevede che in un qualche settore si sia portati a vincere, magari non con continuità, in modo sporadico ma insomma ci può benissimo essere un’attività dove il soggetto normodotato è più portato a vincere che in altre attività, in quella precisa attività, per sue precise caratteristiche che magari non sono nemmeno molto anomale, riesce a vincere. Trattando di soggetti normodotati l’anomalia è la persistenza dell’atteggiamento perdente, in tutti gli sport, in tutti gli ambiti dell’esistenza (trattando la problematica in modo più ampio). D’altro canto, a volte si vuol fare passare per anomalo il campione perché vince sempre o perché vince in molti ambiti, il suo vincere tanto lo rende anomalo (vince molto più della media degli altri) e si può arrivare a dire che non è nemmeno normodotato, è superdotato. Così come si fanno delle categorie particolari per i soggetti disabili che presentano tratti piuttosto inequivocabili di disabilità, si vorrebbe quasi (ma è un problema inesistente perché è essenzialmente giornalistico e non è assolutamente un problema perché non necessita di alcun inquadramento legale) dare la patente di “superdotato” a soggetti che eccellono nello sport o in altri ambiti dell’esistenza.

Ebbene, lasciando perdere la grande immaginazione dei giornalisti ci tocca dire che esistono dei soggetti normodotati che vincono tantissimo, in modo anomalo. Per fare un esempio banale per non perdersi in fiumi di parole, Pietro Mennea, almeno da un punto di vista medico era un soggetto normodotato nel senso che aveva un fisico abbastanza normale, poi aveva delle capacità di recupero fisico e delle capacità di sopportazione dei carichi di allenamento decisamente superiori alla norma degli altri atleti di alto livello ma, insomma, dire che non fosse normodotato per queste sue capacità è un po’ tirata. Non altrettanto si può dire di Usain Bolt. Usain Bolt ha delle leve assolutamente fuori del comune e associa a queste leve capacità coordinative che non sono assolutamente da soggetto che sfiora i 2 metri di altezza. Fisicamente Bolt è certamente un personaggio del tutto particolare.

Fin qui concetti semplici, facilmente intuibili. Poi arriva la complessità degli incapaci. Soggetti apparentemente normali senza disabilità apparenti che nello sport (o anche nella vita…) hanno solo un grande problema: non vincono proprio in nulla. E questo, per quanto sopradescritto, può essere un comportamento anomalo. Tendiamo a chiamarli sfortunati ma sfortunato può essere definito uno  che non vince mai nemmeno una mano al casinò pur puntando molte volte, si fa fatica a dire che è sfortunato un soggetto che, pur normodotato, non vince mai assolutamente nulla in nessuna disciplina sportiva.

Gli incapaci sono complessi e imprevedibili perché questa loro incapacità non è silente. Può passare inosservata ai più ma non passa certamente inosservata a loro che cominciano a farsi dei complessi ed a sviluppare delle tare psicologiche su questo non vincere mai. Il normodotato sa di essere normodotato, ne è perfettamente consapevole, ma si rende anche conto che non vince mai  e riscontra questa anomalia.

Torniamo indietro su un altro concetto molto più semplice. In Italia abbiamo tantissimi atleti molto forti nelle categorie giovanili in tanti sport (nonostante un sistema sportivo basato sull’improvvisazione, a parte che nel grande calcio, e dove la scuola è praticamente assente). Questo gran numero di atleti dimostra che gli italiani geneticamente sono ben dotati per offrire buone prestazioni sportive. Poi, però ci accorgiamo che un gran numero di questi talenti si perde per strada e ciò può anche avvenire per colpa di un sistema sportivo che non valorizza molto il campione ma avviene anche per un motivo molto più semplice. Psicologicamente è abbastanza normale vincere qualcosa in un certo momento dell’esistenza ed è abbastanza normale anche tornare a perdere in un momento successivo. Molto semplicemente gli atleti italiani tendono a concentrare i loro successi in una fase piuttosto precoce della loro carriera sportiva un po’ per motivi di organizzazione del sistema sportivo, un po’ per motivi culturali, un po’ per motivi psicologici. Non c’è molto di anomalo in tutto questo, io direi che la vera anomalia è invece tutta quella serie di tecnici che pur perfettamente a conoscenza di questo andamento delle cose non riescono a far nulla per indirizzare questi atleti verso successi in fasi più importanti della loro carriera sportiva (in breve a 25-30 anni e non a 16-18).

Torniamo alla complessità degli incapaci. L’incapace si rende conto sempre di più, giorno dopo giorno di essere incapace, ma non per questo si arrende all’evidenza che non riuscirà mai a vincere nulla di importante nello sport e/o nella vita (traslando alla vita come italiani, Paolo Villaggio si è inventato il mitico “Fantozzi” che però, alla fine ha vinto più di tutti…).  Questo grado di consapevolezza è la molla, il fattore decisivo per far sì che l’incapace diventi del tutto imprevedibile nel suo rendimento sportivo. A volte si devono sbloccare semplicemente dei circuiti nervosi di cui non si riesce a comprendere il funzionamento ma una volta che è innescato il fenomeno di controtendenza il soggetto incapace ha dei margini di miglioramento che sono decisamente superiori a quello capace di rendimenti normalmente accettabili. La risposta va ricercata sul piano della motivazione, da un punto di vista emotivo l’incapace ha decisamente una marcia in più e delle motivazioni molto forti che risultano decisive per la produzione di un risultato di alto livello. Tutto sommato una volta concretizzatasi l’inversione di tendenza non è nemmeno difficile prevedere il grande miglioramento delle prestazioni dell’incapace, ciò che è difficile prevedere sono i perché e la durata del blocco che ha prodotto questa situazione. Una tale imprevedibilità degli eventi dovrebbe portarci a cercare il campione del futuro proprio fra gli incapaci ma il problema persiste nel fatto che gli adattamenti di tipo nervoso di questi soggetti sfuggono del tutto ad ogni previsione. Per assurdo è più facile prevedere la discreta attendibilità del campione in erba verso un futuro di risultati abbastanza normali che non gli exploit degli incapaci e pertanto, tornando sulla difficoltà di prevedere il campione di domani, l’unica risposta piuttosto attendibile che possiamo dare è che il campione di domani quasi di sicuro non è quello che offre risultati di alto livello in tenera età.

Alla luce di ciò ci si chiede se possa avere senso frenare l’evoluzione agonistica di un talento sportivo che mostra di avere grandi mezzi fisici e sta cominciando a vincere un po’ troppo presto. Da un punto di vista teorico questo modo di agire potrebbe avere proprio delle motivazioni sostenibili: visto che questo è un potenziale campione facciamo in modo che non si scarichi precocemente a livello nervoso ed a livello motivazionale e preserviamolo da quei notevoli risultati che ci hanno mostrato essere segnale pericoloso nella maturazione dell’atleta di alto livello. Da un punto di vista pratico poi si agisce con molto pressapochismo, senza alcuna programmazione e lasciandosi andare ad un fatalismo clamoroso: se questo è un atleta precoce lasciamolo crescere come atleta precoce, lasciamolo vincere tutto quanto può vincere ora e non preoccupiamoci del futuro anche se siamo quasi certi che in futuro questo non vincerà più quasi nulla ed invece sarà soggetto ad un ritiro anticipato dalla carriera agonistica.

Se questo atteggiamento può anche essere quasi tollerabile perché il ragazzino ci tiene sempre a vincere e non molla mai l’uovo oggi per la presunta gallina domani, non è assolutamente razionale da operatori sportivi disinteressarsi completamente di quel grande numero di incapaci dai quali in modo abbastanza imprevedibile uscirà il campione di domani. Non sappiamo chi sarà ma sappiamo che il campione di domani quasi di sicuro, se ha già cominciato a gareggiare (perché talvolta è pure un ragazzino che giunge all’agonismo anche abbastanza tardi) è uno di quelli che attualmente non fanno i risultati migliori.

C’è un paradosso nell’alta imprevedibilità degli incapaci: che non sappiamo qual’è l’incapace che si scatenerà in risultati di valore assoluto ma sappiamo quasi per certo che questa è una categoria di eletti. Lo sport molto spesso è una bella favola.