IL PROBLEMA E’ CHE A SCUOLA NON SE NE PARLA

“Come sei andato a scuola?” – “Bene, bene, ho preso 8 in latino…” – “No, no, intendevo se sei andato in auto o in bici…” – “Ahhh…”

Ecco, il problema è questo, i ragazzi sono troppo impegnati a sopravvivere alla marea di verifiche che hanno a scuola per aver il tempo e la voglia di discutere della mobilità urbana. Eppure l’unica speranza di cambiamento sono loro perché è su di loro che sono tarati i finti cambiamenti proposti dalle varie amministrazioni.

La cosa funziona più o meno così: a livello centrale parte una direttiva piuttosto poco chiara a fare qualcosa per la mobilità urbana anche perché è il Covid a richiedercelo oltre che l’inquinamento alle stelle (e poi è stata pure dimostrata scientificamente una correlazione netta fra diffusione del Covid ed inquinamento), le amministrazioni locali fanno finta di recepire in modo piuttosto maldestro le indicazioni per questi cambiamenti epocali nella mobilità urbana oppure davvero non le recepiscono anche senza far finta perché in realtà queste indicazioni non sono per niente chiare. La popolazione non si interessa minimamente all’argomento e non ne controlla l’evoluzione politica. Alla fine non succede nulla ed i destinatari ultimi delle iniziative che sono gli studenti non se ne occupano perché hanno il problema serio, immediato e concreto della versione di latino.

Domanda: della ciclabilità nelle nostre città chi deve occuparsene? Personal Trainer Gratuito? No, ditelo, perché se è così chiedo di andare a parlare nelle scuole perché io ho identificato che il problema è essenzialmente scolastico. Se gli studenti non si incazzano per questa situazione di presa in giro non vedo possibilità di evoluzione della faccenda, Covid o non Covid e quando avremo debellato questo stramaledetto Covid (spero a breve) la mobilità urbana nelle città italiane sarà praticamente identica a quella prima del Covid.

Dal convegno organizzato ieri da www.bikeitalia.it sono emerse delle cose abbastanza chiare. S’è visto che dove c’è stata solo la tracciatura delle corsie ciclabili non siamo riusciti a risolvere quasi nulla e queste corsie ciclabili sono solo una buona scusa per ricordarsi di affrontare il problema ma, per esempio, si ravvisa come l’applicazione di un limite di velocità sistematico dei 30 chilometri all’ora sia molto più utile della tracciatura delle corsie ciclabili. Non ha alcun senso una corsia ciclabile larga un metro se appena sbandi un attimo c’è un’ auto pronta a travolgerti ai 50 chilometri all’ora. E’ molto più efficace in tal senso una segnaletica che impone il limite di velocità dei 30 perché non essendoci alcuna pista ciclabile è evidente che le biciclette possono anche andare sulla strada e nelle strade frequentate dalle biciclette è opportuno che le auto vadano molto piano, corsia o non corsia.

Poi è emerso che la sensibilizzazione della popolazione (nel mio caso io dico degli studenti) è fondamentale ed anche una corsia ciclabile stretta e tracciata male può avere un significato se debitamente pubblicizzata: è quella pubblicità a segnalare il problema (o l’opportunità a seconda dei gusti) e non una linea per terra che la maggior parte dei cittadini non vedono nemmeno e non sanno neppure che esista perché non si sognano nemmeno di percorrere alcune strade in bicicletta.

Insomma se c’è una corsia ciclabile e tutta la popolazione lo sa e tutta la popolazione è seriamente interessata a risolvere il problema siamo a cavallo se invece c’è la corsia ciclabile e può pure essere tracciata bene e a regola d’arte ma il problema impellente resta la versione di latino allora non può cambiare niente.

Non sto dicendo che la professoressa di latino deve cambiare programma ma sto semplicemente affermando che anche lei come tutti i dirigenti scolastici deve porsi il quesito se la sua classe ha affrontato o almeno sta tentando di affrontare un problema che è di portata epocale ed è certamente importante come il risultato del compito di latino.

Dal convegno di ieri sono emerse anche cose piuttosto curiose, per esempio che il problema della sicurezza stradale non è del tutto nuovo se è vero che fra un paio di anni compie un secolo. Nel 1923 c’erano state forti pressioni per regolare il traffico automobilistico in modo da renderlo meno pericoloso e pareva che si fosse giunti ad importanti decisioni quando all’ultimo momento l’industria automobilistica s’è fatta sentire per tutelare i suoi interessi ed ha bloccato tutto. Siamo ancora fermi a quel lontano 1923 ed io mi auguro che i ragazzi che a scuola studiano storia (tutti, in tutti gli istituti scolastici si studia la storia) studino anche queste cose perché è solo in quel modo che possono capire l’osso duro con il quale si trovano a combattere quando chiedono di andare a scuola in bicicletta in sicurezza.

Per conto mio, come in molte altre cose, il cambiamento può partire solo dalla scuola. Se c’è la volontà politica di innescarlo basta parlarne. Se invece a scuola non si può fare politica e bisogna solo subire rassegnati allora continuiamo così. Ma poi non lamentiamoci se i nostri ragazzi mostrano il sano desiderio di abbandonare l’Italia appena sono in grado di farlo.