IL PEGGIORAMENTO A “DENTE DI SEGA” DEI MASTER

Anche se sono forti, a lungo andare, i master peggiorano. Non c’è niente da fare, possono pure vincere medaglie e fare migliori prestazioni mondiali ma inesorabilmente a lungo andare peggiorano. Peggiorano in senso assoluto perché in senso relativo possono essere sempre più forti e trovarsi a vincere un titolo mondiale a 80 anni, per esempio, che non avevano mai vinto prima, ma con una prestazione che anche se eclatante e strabiliante per l’età è certamente inferiore a quella magari mediocre che ottenevano 40 o 50 anni prima. Al contrario, i giovani continuano a crescere di rendimento e crescono così tanto che se non crescono in modo clamoroso possono rischiare di non vincere nulla perché competono con coetanei che sono migliorati ancora di più. Mentre al giovane che è in stasi di rendimento si dice giustamente di non preoccuparsi perché dopo improvviso arriva un miglioramento decisivo di quelli consistenti chiamato in gergo “salto di qualità” in  grado di proiettarli verso nuovi traguardi, per il “vecchio” master il discorso è un po’ al contrario. Può vincere anche tutto quello che vuole ma se siamo obiettivi siamo costretti a metterlo in guardia sul fatto che il “salto di qualità in basso” è dietro l’angolo e quando arriva, se è un vero appassionato di sport, non deve prendere paura perché è assolutamente naturale che sia così. Così come i giovani a volte crescono improvvisamente anche i “non giovani” a volte invecchiano improvvisamente.

Questa filastrocca si risolve in un andamento grafico del peggioramento degli atleti delle categorie amatoriali che viene definito a “dente di sega” nel senso che per un po’ di tempo l’atleta master mantiene una certa costanza di rendimento, a dispetto dell’età poi, per motivi di vario tipo, a volte anche senza un motivo apparente, arriva il peggioramento abbastanza netto ed è quello che ti cala nella nuova realtà di soggetto che è ulteriormente invecchiato.

Tutto sommato, a ben pensarci, questo stramaledetto “dente di sega” che sta a ricordarci che invecchiamo tutti, anche i più forti, non deve essere visto proprio male perché girando la frittata può anche avere i suoi aspetti positivi. Premesso che tutti con l’età peggioriamo ci sono da valutare anche delle cose sull’andamento di questi peggioramenti. Una prima, piuttosto banale ma che non riguarda questo “dente di sega”, è il fatto che non tutti iniziamo a peggiorare alla stessa età. In genere chi ha fatto una buona attività fisica inizia a peggiorare verso i 35 anni, chi ne ha fatta meno può iniziare a peggiorare a 40 e chi proprio non ne ha fatta magari peggiora solo dopo i 45. Ciò è naturale perché chi non ha fatto nulla è come se avesse il motore nuovo, parte da livelli piuttosto scadenti e può permettersi il lusso di cominciare a peggiorare dopo di chi avendo fatto attività agonistica per una vita ha raggiunto ottimi risultati e giustamente se non continua ad allenarsi con grande foga può cedere già verso i 35 anni. Clamoroso e assolutamente da evitare quel fenomeno dei ragazzi che, decisamente performanti a 18-19 anni, sono già in peggioramento verso i 20-22 anni. Quelli creano le premesse per diventare degli ottimi master che torneranno ad andare forte magari a 50 anni ma se mollano l’attività sportiva a 20 anni perdono per sempre la possibilità di fare risultati veramente buoni.

Accantonato questo discorso piuttosto banale che si risolve semplicemente dicendo che ad ogni età va la sua attività sportiva e quella di un venticinquenne dovrebbe naturalmente essere più intensa di quella di un quarantenne, c’è da affrontare il discorso più fine di chi comunque peggiora perché inesorabilmente piombato nell’età dei peggioramenti conclamati. Ebbene il peggioramento a “dente di sega” ha anche un suo aspetto positivo nel senso che riesce a ridurre sensibilmente il periodo di peggioramento nella preparazione. Cosa vuol dire questo discorso? Pensiamo per un momento alla situazione contraria, se il dente di sega non esistesse. In questa situazione avremmo un lento peggioramento costante e progressivo. Per certi versi è ciò che si augurano tutti i master che fanno le gare di categoria: “Peggioro piano, peggioro meno degli altri e vinco le gare…” e questo, al di là della soddisfazione che possono dare le gare vinte, è un ottimo indice di salute. L’atleta che peggiora poco vuol dire che è sano, vuol dire che sta invecchiando poco. Ma tale situazione, anche in mancanza di patologie particolari, è piuttosto rara. E’ molto più facile che l’atleta, anche se allenato, abbia dei picchi di peggioramento seguiti da momenti dove questo peggioramento è quasi inesistente o addirittura regredisce temporaneamente.

Nella situazione auspicata in realtà l’atleta non migliora proprio mai, in altre parole si potrebbe dire che non va mai in forma, o meglio è sempre in forma, perché peggiora poco, meno degli altri comuni mortali ma non è mai decisamente in forma nel senso che non è mai meglio dell’anno prima o di due anni prima, non è gli è concesso dalla sua condizione di master.

Il master “umano” al contrario, quello che accusa normalissimi picchi di peggioramento, può anche andare in forma, è una forma relativa dettata dal fatto che solo poco tempo prima ha subito un notevole peggioramento delle prestazioni ma è comunque uno stato di forma. Si potrebbe dire che sia una mezza presa in giro ma in realtà è ciò che da entusiasmo al master, il vedere che al di là dei normali momenti di peggioramento delle prestazioni dovuti all’età ce ne sono anche di quelli dove pare che questa tendenza si inverta. E allora, non potendo evitare l’ineluttabile, possiamo accettare anche con ottimismo questo incubo del peggioramento delle prestazioni secondo l’andamento grafico del dente di sega: è quello che ci dice che stiamo inesorabilmente invecchiando ma è anche quello che ci può far illudere per brevi momenti di essere tornati giovani creando dei piccoli stati di forma. Il Leopardi diceva che la gioia è la cessazione del dolore. Da master la gioia può essere anche quel piccolo stato di forma che crei dopo aver appena avuto un crollo in verticale delle prestazioni. Vince chi quei crolli non li ha, ma non pare nemmeno umano. L’importante è partecipare.